Indice degli articoli di questa serie: 

  1. Le tesi buddhiste a favore del vegetarianismo
  2. Il movente e la carne
  3. L'ultimo anello della catena
  4. Alcuni problemi sull'essere vegetariani
  5. La carne nelle tradizioni buddhiste
  6. Come sono diventato vegetariano


Traduzione di Alessandro Selli dell'originale sito in: http://sdhammika.blogspot.com/2008/07/vegetarianism-i.html
Tradotto ad agosto 2008
Ultima revisione: 26 gennaio 2009

Il vegetarianismo I

Martedì 1 luglio 2008

Le tesi buddhiste a favore del vegetarianismo

  Sono state proposte numerosi tesi in sostegno del vegetarianismo, quella salutista (una dieta a base di carne causa diverse malattie), quella biologica (gli esseri umani non sono carnivori di natura), quella economica (l'allevamento degli animali è un metodo di produzione del cibo inefficiente) e quella umana (il consumo della carne richiede l'uccisione di animali e ciò è crudele).  Alcune di queste tesi sono molto deboli, altre di meno.  Ma da un punto di vista dell'etica buddhista l'unica testi che deve essere presa in considerazione è l'ultima.  C'è nulla nel Tipitaka pali, il più antico documento degl'insegnamenti del Buddha, che indichi che i buddhisti debbano essere vegetariani?

  Da nessuna parte né nel Sutta, né nel Vinaya o nell'Abhidhamma Pitaka il Buddha dice che i suoi discepoli, monaci o laici, non debbano mangiare carne.  Una volta, e a quanto sappia solo una volta, è scritto che abbia mangiato carne.  In A[nguttara Nikaya].III,49 si riferisce che al Buddha fu servito sukaramamsa con frutta jujube.  Questo vocabolo può essere tradotto con certezza con sukara = maiale e mamsa = carne.  È importante notare come nel Tipitaka molto raramente è specificato cosa mangiasse il Buddha, non essendo questo lo scopo [dei suoi rendiconti].  Nel Vinaya più volte si fa cenno a, oppure è implicito, il mangiare carne; ad esempio quando dice che certi tipi di carne non devono essere mangiati (carne di leone, si serpente, di iena ad es.), il che implica che altri tipi lo possono essere (Vin.I,218-8); e [ci sono passi in cui] il brodo di carne è consigliato come medicina (Vin.I,206).  Tuttavia non c'è dubbio che gran parte del Vinaya sia successivo al Buddha, con alcune parti che sono molto più tarde, e così è ragionevole escludere questi documenti dalla nostra discussione.  Difensori del vegetarianismo buddhista come Philip Kapleu Roshi hanno ipotizzato che il Buddha insegnasse il vegetarianismo ma che tutti i brani in proposito siano stati cancellati dai monaci ghiotti di carne nei secoli successivi.  Non c'è però alcuna prova che una tale cosa sia stata fatta e la sua tesi può essere scartata senza ripensamenti.  Insomma, il vegetarianismo non era insegnato dal Buddha e non faceva parte della più antica tradizione buddhista.  Il Lankavatara Sutra, un'opera Mahayana composta nel corso di quattro o cinque secoli, raccoglie una lista di tesi contro il cibarsi di carne.  Molte di queste sono incontrovertibili, la maggior parte sono piuttosto deboli e prive di fondamenta, ad es. [perché] si mangiasse carne si avrebbe un cattivo odore.

  La domanda successiva è questa: può il vegetarianismo essere implicito oppure essere più coerente con gli insegnamenti del Buddha in generale?  La virtù cardinale del buddhismo è di rispettare la vita. Questo principio è scolpito nel primo precetto, di non offendere gli esseri viventi.  Uso il termine 'offendere' piuttosto che uccidere perché in molte occasioni il Buddha specificò che non solo l'uccisione ma anche la crudeltà e la violenza siano contemplati nel [primo] precetto.  Disse ad esempio che si è di errata condotta (adhamma) nel corpo se si 'uccidono esseri viventi, assassina, si hanno le mani sporche di sangue, si è dediti al colpire e alla violenza e si è senza pietà' (M.I,286).  È chiaro che l'uccidere infrangerebbe il primo precetto, ma lo sarebbe anche il tirare la coda al gatto, frustare un cavallo o dare un pugno in faccia a qualcuno, per quanto queste azioni sarebbero meno gravi dell'uccidere.  E allora questo è il primo punto: (1) uccidere o essere crudeli nei confronti di esseri viventi è contro il primo precetto.

  Che quest'autentica adesione al primo precetto vada al di là del diretto coinvolgimento di una persona nell'atto dell'offesa o dell'uccisione è chiaro negl'insegnamenti del Buddha che chi abbia preso sul serio il Dhamma non debba "né uccidere, né far uccidere ad altri né incoraggiare a che si uccida" (A.II,99).  Qui il Buddha dice molto chiaramente che si deve tenere conto anche degli effetti indiretti e persino remoti delle proprie azioni.  E questo è il secondo punto: (2) cercare di influenzare ed incoraggiare gli altri perché non offendano o uccidano esseri viventi ed essere gentili nei loro confronti è un atteggiamento coerente con il primo precetto.

  Come spesso si fa notare, il primo precetto ha due aspetti: da una parte l'evitare di procurare danno (varita), e dall'altro sostenere, proteggere e promuovere la vita dell'altro (carita, M.III,46).  Questo è il senso che racchiude la spiegazione esaustiva che il Buddha ha dato dei precetti quando dichiara: 'Evitando di prendere la vita, dimora trattenendosi dal prendere la vita.  Privo sia di bastone che di spada vive con attenzione, gentilezza e compassione per gli esseri viventi' (D.I,).  Questo è il terzo punto: (3) provare gentilezza e agire con gentilezza nei confronti degli esseri fa parte del primo precetto.

  Gli insegnamenti del Buddha sul rispetto della vita modellano diversi altri suoi insegnamenti, dei quali il Retto Sostentamento (samma ajiva) è solo un esempio.  Come esempi di cattivi mezzi di sussistenza elencò la vendita (e/o la produzione?) delle armi, di esseri umani, di carne (mamsavanijja), di alcool e veleni (A.III,208).  Per quanto il Buddha non l'abbia specificato esplicitamente è facile vedere che la ragione perché questi mezzi di sostentamento sono antietici è che comportano una qualche forma di danneggiamento o di uccisione di esseri viventi.  E quindi questo è il quarto punto: (4) non uccidere o danneggiare esseri viventi ed essere gentili nei loro confronti è parte integrale di tutto il Dhamma, non solo del primo precetto.

  Un altro degl'insegnamenti importanti del Buddha è che le cose non vengono ad esistere per caso o per volere di un essere divino, ma per via di una causa o di cause specifiche.  Il più noto esempio di ciò è quando il Buddha descrive le cose che fanno sorgere la sofferenza (DII,55.).  Tuttavia ci sono altri esempi di genesi dipendente: la sequenza di cause che fanno sorgere l'illuminazione (S.I,29-32), gli scontri sociali (Sn.862-77), ecc.  L'uso di questo stesso principio può chiarire i dubbi a proposito del consumo di carne.  Gli allevatori non crescono vacche o galline per divertimento; lo fanno perché possono guadagnarsi da vivere vendendoli ai mattatoi.  I mattatoi a loro volta vendono la loro carne agl'impianti di lavorazione, che la vendono al supermercato o al macellaio locale che a sua volta la vende al consumatore.  Ritengo che qualsiasi persona ragionevole concorderebbe che c'è un collegamento causale(*) diretto e percepibile tra l'allevatore o il mattatoio e il consumatore.  Magari alla lontana, ma c'è.  Per dirla semplice: i macelli non abbatterebbero animali se la gente non comprasse carne.  E quindi questo è il quinto punto: (5) il consumo di carne è causalmente(**) collegato con il danno o l'uccisione di esseri viventi e quindi all'infrazione del primo precetto.

  Consideriamo adesso cosa implicano questi cinque punti.  Lasciando da parte per il momento le complicazioni della lavorazione e della produzione industriale moderna del cibo, diamo un'occhiata alla sua versione semplice come sarebbe esistita al tempo del Buddha e come potrebbe esistere ancora in alcune nazioni in via di sviluppo e forse in alcune aree rurali dell'occidente.  Supponiamo che al tempo del Buddha alcuni monaci siano stati invitati alla casa di una famiglia devota per mangiare e che gli sia stata servita, tra le altre cose, della carne.  Seguendo le istruzioni del Buddha esposte nel Jivaka Sutta (M.II,369) i monaci mangiano la carne perché non hanno né visto, né sentito né sospettato che gli ospiti siano andati da qualcuno per chiedergli esplicitamente di macellare un animale così che potesse essere dato in pasto ai monaci.  Mentre mangiano il loro pasto questi monaci non coltivano intenti sanguinari, né rabbia assassina, né subiscono il fascino perverso del vedere morire una creatura.  È probabile che non si siano posti alcun problema sulla provenienza del cibo o su cosa sia stato fatto per procurarsene.  Dal punto di vista della sua interpretazione di più stretta manica, più letterale, diretta nel senso più limitativo, il primo precetto non sarebbe così stato infranto.  Ma questo punto di vista di così stretta manica fa sorgere, almeno nella mia mente, alcune domande scomode. (a) Per prima cosa, come abbiamo già visto, ci sono molte ragioni di ritenere che il Buddha voleva che il primo precetto fosse interpretato in un senso ampio e che si tenesse conto di tutto quanto ciò implichi.  (b) Forse i monaci avrebbero dovuto soppesare un po' che cosa le loro azioni implicavano e alle loro conseguenze.  Non ha forse detto il Buddha: "Perciò, mentre state compiendo un'azione e dopo averla fatta una persona deve riflettere: 'Questa azione sarà a me stesso o ad altri d'impedimento?'" (M.I,416).  (c) Per quanto possano non aver visto, sentito o sospettato che un animale sia stato ucciso apposta per loro, i monaci devono essere stati coscienti che è stato ucciso per gente che mangia carne, e che loro rientrano in questa categoria.  (d) Anche se il loro ruolo nella morte di una creatura è solamente indiretto e remoto, una metta genuina spingerebbe una persona a non voler essere coinvolta in questa uccisione neanche in tale misura.  Il Buddha disse che dovremmo "sviluppare una mente senza confini nei confronti di tutti gli esseri e [sviluppare] amore verso tutto il mondo.  Si dovrebbe sviluppare una mente sconfinata, verso l'alto, verso il basso e nelle direzioni intermedie, senza blocchi..." (Sn.149-50).  Dire: "Non è stato ucciso apposta per me e mentre lo mangiavo la mia mente era piena di amore" da l'impressione che si stia erigendo un 'blocco' all'amore genuino, da l'impressione che si stia costringendo l'amore entro un confine.

  Le conclusioni di tutto ciò mi sembrano non lasciare scampo: una pratica di Dhamma intelligente e matura richiede che si sia vegetariani.

  Domani continuerò su questo tema e attenderò i vostri commenti.

Inviato da Shravasti Dhammika alle 1:29 AM

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*) L'Autore scrive "casuale", ma direi ovvio un errore di battitura da parte sua. Torna su
**) L'Autore scrive "casualmente", ma direi ovvio un errore di battitura da parte sua. Torna su

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