Traduzione di Alessandro Selli dell'originale sito in: http://sdhammika.blogspot.com/2008/07/vegetarianism-ii_02.html
Tradotto ad agosto 2008
Ultima revisione: 17 agosto 2008

Il vegetarianismo II

Mercoledì 2 luglio 2008

Il movente e la carne

  Vivere in ossequio al Dhamma in generale e al primo precetto in particolare sembrerebbe richiedere l'essere vegetariani.  Non tutti la pensano così e la maggior parte dei theravadin e quasi tutti i vajrayana non li interpretano in questo modo.  Oggi vorrei esaminare i moventi della pratica dei precetti e vedere come questo possa essere rilevante nel problema del mangiare carne e del vegetarianismo.

  Il Buddha dette tre ragioni sul perché si debba intraprendere seriamente la disciplina etica.
  1. La prima è per evitare gli effetti negativi delle cattive azioni, spesso chiamato 'cattivo kamma' ma più correttamente 'cattivo vipaka'.  A ciò il Buddha fa riferimento un gran numero di volte ed è l'unico dei tre moventi cui si faccia mai cenno negli insegnamenti tradizionali theravada, il che fa sorgere la critica, piuttosto verace, che il theravada sia egoista.
  2. La seconda ragione è che seguire i precetti getta le fondamenta di qualità positive quali il contenersi, la consapevolezza, la limpidità mentale, la felicità dell'avere una coscienza pulita (anavaja sukha, Digha Nikaya I) e che conduce al bene ultimo, il Nirvana.
  3. E la terza ragione è l'amore e la premura per gli altri.
  Evito di uccidere gli altri perché ho a cuore il loro benessere, non rubo agli altri perché bado alla loro proprietà, non li sfrutto sessualmente perché rispetto la loro dignità e il loro diritto di scegliere, non gli mento perché rispetto il loro diritto di ricevere e di sapere la verità, e non mi intossico perché quando li incontro voglio che si instauri una comunicazione sensata tra di noi.  In breve, la fedeltà ai precetti è un atto di amore, non solo nei confronti della persona con cui ho direttamente a che fare, ma della comunità nel senso più ampio.  Il Buddha sottolineò questo punto quando disse che le rette azioni esprimono un genere di considerazione o di presenza mentale (saraniya) nei confronti degli altri che conduce all'"amore, rispetto, considerazione gentile, armonia e pace" (... piyakarana garukarana sangahaya avivadaya samaggiya ..., Anguttara Nikaya III, 289).  Perché non ci siano dubbi su cosa il Buddha abbia detto in questa circostanza, piya = amore, affetto; karana = produrre, causare; garu = rispetto, stima; sangaha = compartecipazione, unità, reciprocità; avivada = assenza di contesa, armonia; samagga = pace, concordia.

  Quelli che non accettano il fatto che mangiare carne crei kamma negativo non dovrebbero avere problemi sul mangiare carne.  Si sentissero di poter sviluppare buone qualità come la pazienza, la determinazione, la presenza mentale, la generosità, il coraggio e l'onestà mentre seguono un regime alimentare con carne, lo stesso non dovrebbero preoccuparsi di farlo.  Ma chiunque senta una genuina ispirazione allo sviluppo di un amore e di una gentilezza estesi verso gli altri, tutti gli altri (e il Buddha disse che dovremmo), dovrebbe sentirsi a disagio riguardo l'avere in qualche modo a che fare con il modo in cui gli animali sono uccisi.  Il sapersi parte di una catena che conduce al verificarsi di cose molto brutte (e non voglio farvi banchettare con gli orrori dei mattatoi) dovrebbe farli sentire a disagio.  Dovrebbe dare la motivazione ad un buddhista attento almeno di tentare di fare qualcosa a proposito di questa crudeltà; e il minimo che uno possa fare è di non essere un anello della catena astenendosi dal mangiare carne.

  Domani vi proporrò un autentico dilemma.  Rimanete sintonizzati.

Inviato da Shravasti Dhammika alle 5:31 AM


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