Traduzione di Alessandro Selli dell'originale sito in: http://sdhammika.blogspot.com/2008/08/marriage.html
Tradotto ad agosto 2008
Ultima revisione: 30 agosto 2008
Il sesso nel buddhismo III
Giovedì 14 agosto 2008
Il matrimonio nel buddhismo
Il matrimonio (avaha vihaha) è
il legame formale e legale che unisce un uomo e una donna. È
un'istituzione secolare, un contratto tra due persone o due famiglie e
perciò il buddhismo non insiste sulla monogamia, la poligamia, la
poliandria o qualsiasi altra forma di matrimonio. C'erano
numerose forme di matrimonio nell'antica India, il più comune era
quello concordato da parte dei genitori o tutori, c'erano poi quelli in
cui ciascuno della coppia sceglieva l'altro con l'approvazione dei
genitori, e la fuga per amore. Gli antichi codici di legge
chiamavano questa seconda forma svayamvara
mentre la terza gandharva.
Secondo il Buddha i monaci e le monache non dovrebbero occuparsi del
"dare o prendere in matrimonio" e perciò non si sono mai prestati ad
officiare matrimoni (D.I,11).
Non abbiamo quasi nessuna informazione nel tipitaka sull'antica
cerimonia nuziale buddhista oltre al fatto che la sposa era adorna di
ghirlande (A.V,264) e che suo padre versava acqua sulle mani sue e
dello sposo a simboleggiare il suo darla via [in sposa] (Ja.III,286).
Tradizionalmente i buddhisti praticano la forma di matrimonio
che prevale nella società in cui vivono. Per quanto il Buddha non
raccomandasse alcuna particolare forma di matrimonio si può assumere
che
preferisse quello monogamo. Suo padre Suddhodana aveva due mogli
e come principe avrebbe potuto avere più mogli anche lui, ma scelse
invece di averne solo una. In un discorso sul matrimonio il
Buddha parlò della monogamia, il che implica di nuovo che lui
accettasse questa come la migliore formula di matrimonio
(A.IV,91). Essendo stato sia un marito che un padre il Buddha
poteva parlare del matrimonio e dell'essere genitore forte della
propria esperienza.
Un marito,
disse, dovrebbe onorare e rispettare sua moglie, non dovrebbe mai
disprezzarla, dovrebbe esserle
fedele, concederle la sua autorità e badare a lei
finanziariamente. Una moglie dovrebbe compiere il suo lavoro
appropriatamente, amministrare i domestici, essere fedele al marito,
proteggere le sostanze della famiglia ed essere capace e diligente
(D.III,190).
Il Buddha disse che se un marito ed una moglie si amassero
profondamente e avessero un kamma simile, potrebbero poter rinnovare il
loro legame nella vita successiva (A.II,161). Disse anche che una
coppia che segue il Dhamma "parla parole d'amore l'un l'altro" (annamannm piyamvada,
A.II,59) e che "aver cari i propri figli e sposa è la più alta
benedizione" (puttadarassa samgaho
etam mamgalam uttamam, Sn.262). Criticò i brahmani che
compravano le loro mogli piuttosto che "unirsi insieme in armonia e per
affetto reciproco" (sampiyena pi
samvasam samaggatthaya sampavattenti, A.II,222), il che implica
che ritenesse questo motivo per il matrimonio molto migliore.
Nel sostenere la fedeltà nel
matrimonio insegnò che l'adulterio (aticariya)
è contro il terzo precetto.
La coppia ideale nelle scritture buddhiste sono Nakulamata e
Nakulapita. Nakutapita
[Nakulapita o Nakutapita? NdT]
disse che da quando sua moglie "è stata portata alla mia casa quando io
ero un
giovanotto e lei una ragazza, non ho mai mancato nei suoi confronti
neppure in pensiero e tanto meno nei fatti" (A.II,61). Il Buddha
gli disse che era per lui "una benedizione, un'autentica benedizione
l'avere
Nakulamata così piena di compassione per te, preoccupata del tuo
benessere, tua guida e consigliere" (A.III,298).
Sembra che nella storia la maggior parte dei buddhisti ordinari siano
stati
monogami, sebbene i re siano stati a volte poligami e la poliandria
fosse
comune in Tibet fino a tempi recenti. Negli altipiani dello Sri
Lanka
durante il medioevo si praticava la poliandria. Oggi la monogamia
è la sola forma legalmente accettata di matrimonio in tutti i paesi
buddhisti, per quanto il re del Bhutan abbia due mogli, due
sorelle. Non c'è una cerimonia buddhista specifica per il
matrimonio; ciascun paese ha le proprie usanze senza che i monaci vi
officino o vi partecipino. Tuttavia, appena prima o dopo il
matrimonio, la sposa e lo sposo vanno spesso in un monastero per
ricevere la benedizione di un monaco.
Considerando il buddhismo il matrimonio un accordo sociale e non
un sacramento come nel cristianesimo, accetta il fatto che se due
persone sposate concordano di porre fine alla loro relazione ciò
succeda.
Il
buddhismo e tutti i paesi buddhisti hanno sempre considerato il
matrimonio un'istituzione degna di
sostegno e attenzione, ma allo stesso tempo non hanno mai imposto
limitazioni
sul divorzio. Non sono stato capace di trovare nel tipitaka una
qualsiasi informazione sul divorzio. Si direbbe che, almeno
all'epoca del Buddha, il divorzio fosse una faccenda informale.
Se a una donna non piaceva più suo marito se ne andava e basta, per
tornare a casa sua e, se voleva, cercare di trovarsi un altro
marito. I libri delle leggi come il Manusurti
dimostrano che il divorzio, almeno per gl'induisti, divenne oggetto a
vari limiti e obblighi legali.
Le immagini riportate sopra sono di sposi (dall'alto in basso)
birmani, thailandesi, srilanchesi e tibetani.
Inviato da
Shravasti Dhammika at 12:58 mattutine
I diritti d'autore sono detenuti dall'Autore dell'originale.
I diritti della traduzione in italiano sono del traduttore.
La traduzione italiana è coperta, ove compatibile con la licenza dell'originale,
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