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Data:
Mon, 06 Aug 2007 00:19:50 +0200
Oggetto: Il Buddha sofferente
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Ultima modifica: 28 giugno 2010 (piccole correzioni)

  Perché il Buddha insegnava una dottrina così tanto incentrata sulla sofferenza?  Perché la conosceva, l'aveva vissuta fino in fondo per tutta la sua vita, anche da asceta, anche da illuminato, anche da maestro di un ordine di rinuncianti, anche da insegnante di déi e uomini, satthā devamanussānam.  Non s'ingannava più dunque sulla sua esistenza e natura, sul suo essere parte integrante del mondo che non risparmia nulla e nessuno, che ignora le barriere sia fisiche che mentali e dottrinali che gli uomini tentano di erigergli contro.

  Ancora neonato, con la perdita della madre.  Già bambino, con l'assistere ai giochi violenti dei suoi amici e cugini che compivano crudeltà agli animali e con l'osservare la durezza del lavoro dei campi sia sugli uomini che sugli animali da tiro.  Appena adulto, con la presa di coscienza della malattia, della vecchiaia e della morte come realtà ineludibili della vita.  Fattosi asceta per trovare una via d'uscita dal mondo della sofferenza, con l'affanno e le paure della vita eremitica (Il Buddha storico, I, 10):

    Per il nobile trentenne di Kapilavatthu i primi tempi
    trascorsi nella foresta furono duri. «È difficile da
    sopportare la solitudine della foresta, è difficile provare
    gioia nello stare da soli...  Quando di notte me ne stavo in
    questi posti spaventevoli e terrificanti e un animale mi
    sfiorava passando o un pavone spezzava un ramo o il vento
    frusciava tra le foglie, mi assalivano angoscia e paura».
    Solo poco per volta, così egli continuava il racconto al
    bramino Jāṇnussoṇi (in Majjhimanikāya, 4), gli riuscì di
    superare la paura grazie all'autodiscipIina spirituale.

  Ma una cosa è vedere altre persone malate e sofferenti, un'altra è esserlo se stessi.  Quale essere pienamente consapevole, il Buddha non si fa illusioni su quale sia il suo destino e l'autentica natura del suo corpo (Saṃyutta Nikāya V, II, 16):

    8. Appena i Sakka di Kapilavatthu se ne furono andati il
        Sublime si rivolse al venerabile Mahāmoggallāna: "Moggallāna,
        rimuova l'Ordine dei bhikkhu sonnolenza e torpore: fa' ai
        bhikkhu un discorso sulla Dottrina, Moggallāna; mi fa male la
        schiena, pertanto mi distenderò".
        "Sì, signore" assentì il venerabile Moggallāna al Sublime.
    9. Allora il Sublime, ripiegato in quattro il mantello, si
        distese sul fianco destro, alla maniera del leone, un piede
        sull'altro, consapevole, attento, tesa la mente al tempo di
        levarsi.

  Il Maestro vive nel corpo quello che insegna come dottrina (Saṃyutta Nikāya IV, II, 17):

    1. Così ho udito: una volta il Sublime dimorava presso Rājagaha,
        nel Parco Veḷuvana, nella Riserva degli Scoiattoli.
    2. In quella circostanza il Sublime era ammalato, sofferente,
        gravemente infermo.
    3. Allora il venerabile Mahācunda andò da lui, lo riverì e
        sedette da parte.
    4. Al venerabile Mahācunda che sedeva da parte così disse il
        Sublime: "Cunda, rammenta i fattori del risveglio"."
        Questi sette fattori del risvegIio, o signore, che il
        Sublime ha rettamente illustrato, coltivati, intensamente
        praticati, conducono alla suprema conoscenza, al perfetto
        risveglio, al nibbāna ... [consapevolezza, investigazione sulla
        Dottrina, energia, estasi, calma, concentrazione ed
        equanimità]".
        "Certo, o Cunda! Certo, o Cunda! I fattori del risveglio!".
    5. Questo disse il venerabile Mahācunda, e il Maestro approvò.
        Il Sublime si levò guarito da quella malattia. Così iI Sublime
        superò quella malattia.

  Ben diversa da quelle figure idealizzate e mitizzate dei grandi maestri delle religioni antiche appare il Tathāgata quando deve affrontare il fatto di non essere lui stesso diverso da qualsiasi essere vivente, da qualsiasi essere composto di aggregati (Saṃyutta Nikāya IV, IV, 41):

    1. Così ho udito: una volta il Sublime dimorava presso
        Sāvatthi, nel Pubbārāma, nel Palazzo della madre di
        Migāra.
    2. In quella circostanza il Sublime, ritornato un pomeriggio
        dal suo ritiro, sedeva dalla parte dell'occaso scaldandosi la
        schiena ai raggi del sole.
    3. Allora il venerabile Ānanda si avvicinò al Sublime, lo
        riverì e, lisciandogli le membra con la mano, gli disse: "È
        strano, signore, è insolito, signore: attualmente il colore
        della pelle del Sublime non è più chiaro e terso [come prima];
        e le sue membra sono tutte flaccide mentre prima erano
        toniche, il suo corpo è curvo e si nota un'alterazione dei
        suoi sensi: della vista, dell'udito, dell'olfatto, del gusto e
        del tatto!".
    4. "È così infatti, Ānanda! La giovinezza è soggetta all'
        invecchiamento, la salute è soggetta alla malattia, la vita
        è soggetta alla morte; il colore della pelle non si mantiene a
        lungo chiaro e terso, tutte le membra che già sono state
        toniche divengono flaccide, il corpo s'incurva e i sensi si
        alterano".
    5. Questo disse il Sublime; e avendo il Beato detto questo il
        Maestro aggiunse:

                "È uno squallore, ohimè, l'invecchiare!
                La vecchiaia è apportatrice di bruttezza;
                un aspetto un tempo affascinante
                viene annientato dalla vecchiaia.

                "Anche se uno vive cento anni
                non può in alcun modo evitare,
                superando la morte,
                che tutto venga annientato."

  E ancora, asceta anziano, stimato e riverito da moltitudini di persone, venerato da un ordine di asceti di cospicuo numero e fama, giungono le sofferenze inattese della morte dei suoi discepoli più cari (Saṃyutta Nikāya V, III, 14):

    1. Una volta il Sublime dimorava fra i Vajji, a Ukkacelā,
        sulle rive del fiume Gaṅgā, con una gran moltitudine di
        bhikkhu, poco dopo la totale estinzione di Sāriputta e di
        Moggallāna1.
    2. In quella circostanza il Sublime sedeva all'aperto,
        circondato dall'assemblea dei bhikkhu; dopo aver guardato
        quell'adunanza silenziosa il Sublime si rivolse ai bhikkhu:
    3. "O bhikkhu, quest'assemblea mi appare come vuota;
        totalmente estintisi Sāriputta e Moggallāna quest'assemblea,
        o bhikkhu, è vuota per me; e non importa in quale regione
        dimorino [adesso] Sāriputta e Mogallāna.
    4. "Quelli che in passato, o bhikkhu, furono Arahant,
        Perfetti perfettamente Svegliati, anche quei Sublimi ebbero
        un'eccelsa coppia di discepoli come i miei Sāriputta e
        Moggallāna. E quelli che in futuro, o bhikkhu, saranno
        Arahant, Perfetti perfettamente Svegliati, anche quei
        Sublimi avranno un'eccelsa coppia di discepoli come i miei
        Sāriputta e Moggallāna.
    5. "Portento dei discepoli, o bhikkhu, prodigio dei
        discepoli essi saranno un modello di conformità all'
        insegnamento del maestro degnamente contraccambiandolo;
        saranno cari e graditi alle quattro classi2 e saranno
        riveriti come istruttori.  Portento del Tathāgata, o bhikkhu,
        prodigio del Tathāgata!  Pur essendosi totalmente estinta
        una tale coppia di discepoli il Tathāgata non si affligge né
        si lamenta; e come potrebbe essere altrimenti, o bhikkhu?
        Che ciò che è nato, divenuto, prodotto, soggetto a
        dissolvimento non si dissolva, questo caso non si verifica.
    6. "Come i più grandi, saldi e imponenti tronchi d'albero si
        dissolvono, così, o bhikkhu, si sono totalmente estinti
        Sāriputta e Moggallāna del grande, saldo e imponente Ordine
        dei bhikkhu. E come potrebbe essere altrimenti, o bhikkhu?
        Che ciò che è nato, divenuto, prodotto, soggetto a
        dissolvimento non si dissolva, questo caso non si verifica.
    7-8. "Pertanto, o bhikkhu, dimorate facendo di voi stessi
        un'isola ... [segue ammaestramento sulla contemplazione del
        corpo]
    9. "Tutti quei bhikkhu, o bhikkhu, che presentemente o dopo
        il mio trapasso dimoreranno facendo di se stessi un'isola
        [...] in null'altro rifugiati, tutti quei bhikkhu, amanti
        della disciplina, vinceranno le tenebre".

    Note:
    1) Due settimane dopo la morte di Sāriputta avvenuta il
        plenilunio del mese di kattikā (ottobre-novembre), era
        morto anche Moggallāna, ucciso da sicari assoldati dai
        nigaṇṭa.
    2) bhikkhu e bhikkhunī, seguaci laici e seguaci laiche.

  Per quanto precisi che il Tathāgata non si affligga né si lamenti, la sensazione emotiva del dolore per la perdita dell'"eccelsa coppia di discepoli", cari, graditi e riveriti appare evidente.  Il brano si apre con una scena che trasuda il gelo dei grandi lutti, che lascia muta un'intera comunità e il suo maestro.  Colui che si è liberato, finanche un Buddha, non è immune neanche dal dolore emotivo, ma solo dalle riverberazioni e dalle conseguenze che questo porta con sé nelle menti non addestrate.  Non si affligge né si lamenta, ma la cosa non lo lascia indifferente.  Nulla è più come prima, il Sangha non è più lo stesso dopo la dipartita dei due discepoli principali.  Presto sarebbe toccato lo stesso anche a lui.

  Tanto mi ha portato alla mente due eventi recenti: da una parte un brano che riassume tutta l'essenza di un film di questi ultimi anni, "The village", sulla futilità dei tentativi anche i più estremi e arditi di scansare i dolori che l'essere in vita comporta:

    August Nicholson: «È come i cani, sente l'odore.»
    Lucius Hunt: «Perdonate signore, che cosa?»
    AN: «Ci si può sottrarre al dolore come abbiamo fatto noi,
        ma lui ti trova. Sente l'odore.»

  Dall'altro un recentissimo scambio di battute con un compagno di pizzata, che mi aveva rammentato, a proposito della mia pizza ai funghi, che il Buddha sarebbe morto per aver mangiato dei funghi.  Improbabile, il Buddha morì con ogni probabilità delle conseguenze di una malattia tipica dell'età senile, l'infarto mesenterico acuto, come ben esposto in questo articolo del dottor Mettanando bhikkhu:

http://alessandro.route-add.net/Testi/Dhammico/la_morte_del_Buddha.html

  Dukkha, dukkha dukkha dall'inizio alla fine.  Per tutti: volgari esseri comuni oppure eccelsi esseri svegliati.
E con questo chiudo e vado a nanna.

  Pace a tutti.



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