Traduzione dell'originale sito in:
http://www.buddhismtoday.com/english/buddha/life/004-buddhasdeath.htm
Tradotto da: Alessandro Selli nel luglio 2005
Ultima revisione: 17 maggio 2008
Come
morì il Buddha
Venerabile dott.
Mettanando Bhikkhu
Bangkok
Post, 17 maggio 2000
©
The Post Publishing Public Co.
1 -
Quello che sappiamo
2 -
Cronologia
3 -
Diagnosi
4 -
Infarto mesenterico
5 -
Evoluzione della malattia
6 -
Analisi retrospettiva
7 -
Conclusione
-oOo-
Il dott. Mettanando Bhikkhu è stato medico prima di entrare
nell'ordine monastico. Risiede adesso al monastero Wat Raja Orasaram.
-oOo-
I testi antichi hanno intessuto due storie sulla morte del
Buddha. Fu una morte pianificata e voluta dal Buddha, oppure causata da
avvelenamento da cibo, o fu forse scatenata da tutta un'altra causa?
Il Mahaparinibbana Sutta, della sezione "I discorsi lunghi" del
Tipitaka Pali, è senza dubbio la più affidabile fonte di informazioni
dettagliate sulla morte di Siddhattha Gotama (563-483 aC), il Buddha. È
scritto in uno stile narrativo che permette al lettore di seguire le
vicende degli ultimi giorni del Buddha, a partire da pochi mesi prima
della sua morte.
Capire cosa veramente successe non è una faccenda semplice, però.
Il sutta, o discorso, rappresenta due personalità reciprocamente
in conflitto del Buddha, ciascuna escludente l'altra. La prima
personalità è quella di un operatore di miracoli, capace di proiettare
sé stesso e il suo seguito di monaci al di là del fiume Gange (D II,
89), capace di avere la visione divina dell'accampamento degli déi
sulla terra (D II, 87), capace di vivere fino alla fine del mondo a
condizione che qualcuno lo invitasse a farlo (D II, 103), capace di
determinare il momento della sua morte (D II, 105) e la cui morte fu
glorificata da una pioggia di petali celesti e di polvere di sandalo e
musica divina (D II, 138).
L'altra personalità è quella di un vecchio uomo, che lamentava
il declino della sua salute e la senilità incombente (D II, 120), che
fu quasi ucciso da un intenso dolore durante il suo ultimo ritiro a
Vesali (D II, 100), e che dovette arrendersi alla sua inattesa malattia
e morte dopo aver consumato un pasto speciale offerto da un ospite
generoso. Queste due personalità si alternano in diversi punti del
racconto. Inoltre, compaiono anche due diverse spiegazioni della causa
della morte del Buddha: una è che il Buddha morì perché il suo
assistente, Ananda, mancò di invitarlo a prolungare la sua vita fino
alla fine del mondo o ancora più a lungo (D II, 117). L'altra è che
morì a causa di un'improvvisa malattia che lo colpì dopo aver mangiato
un cibo chiamato "sukaramaddava" (D II, 127-157).
La prima storia è probabilmente una leggenda, oppure il
risultato di un conflitto politico interno alla comunità buddhista
durante uno stato di transizione, mentre la seconda appare molto più
realistica ed accurata nella sua descrizione degli ultimi giorni del
Buddha. Alcuni studi si sono concentrati sulla natura del cibo che il
Buddha mangiò come suo ultimo pasto quale agente della sua morte.
Tuttavia, c'è ancora un altro modo di affrontare la questione, che la
conoscenza medica moderna ci mette a disposizione, che si basa
sull'analisi dei sintomi e dei segni come sono descritti nel sutta. C'è
un dipinto murale nel Wat Ratchasittharam dove il Buddha è prossimo
alla morte, eppure dedica ancora del suo tempo a rispondere alle
domande che gli sono rivolte dall'asceta Subhadda, il suo ultimo
convertito che, dopo essere stato ammesso nell'ordine buddhista,
divenne un arahant (un monaco illuminato).
1.
Quello che sappiamo
Nel Mahaparinibbana sutta si racconta che il Buddha si ammalò
subito dopo aver mangiato una speciale prelibatezza, sukaramaddava,
letteralmente tradotto in "maiale morbido", che fu preparato dal suo
generoso ospite, Cunda Kammaraputta.
Il nome del piatto ha attirato l'attenzione di molti studiosi ed
ha costituito il tema di ricerche accademiche sulla natura del pasto o
degli ingredienti utilizzati nella preparazione di questo piatto
speciale. Lo stesso sutta fornisce alcuni dettagli sui segni e
sui sintomi di questa malattia oltre ad alcune informazioni affidabili
sulle sue circostanze nei quattro mesi precedenti, dettagli che sono
rilevanti dal punto di vista medico. Il sutta inizia con il complotto
del re Ajatasattu per conquistare uno stato rivale, Vajji. Il Buddha
era stato in viaggio nel Vajji per entrare nel suo ultimo ritiro delle
piogge. Fu durante questo ritiro che si ammalò. Il sintomo del
malessere fu un dolore improvviso e acuto. Tuttavia, il sutta non
dice dove si manifestò o quale caratteristica avesse questo
dolore. Fa un breve cenno al suo male e dice che il dolore fu
intenso e che quasi lo uccise.
In seguito il Buddha ricevette la visita di Mara, il dio della
morte, che lo invitò ad estinguersi. Il Buddha non accettò subito il
suo invito. Fu solo dopo che Ananda, il suo attendente, mancò di
comprendere il suo suggerimento perché fosse invitato a rimanere che
morì. Questa parte del messaggio, sebbene tenuta insieme dal mito
e il sovrannaturale, ci fornisce alcune informazioni significative dal
punto di vista medico. Quando il sutta
fu scritto, il suo autore aveva l'impressione che il Buddha morì non a
causa del cibo che aveva mangiato, ma a causa di una malattia pregressa
che era sia grave che acuta - e che aveva gli stessi sintomi della
malattia che alla fine lo uccise.
2.
Cronologia
La tradizione buddhista theravada ha accettato l'assunto che il
Buddha storico si sia estinto nella notte di luna piena del mese lunare
di Visakha (tra maggio e giugno). Ma questa cronologia contraddice le
informazioni che ci sono fornite dal sutta che dichiara che il Buddha
morì poco dopo il ritiro della stagione delle piogge, molto
probabilmente durante l'autunno o a metà inverno, cioè tra novembre e
gennaio.
La descrizione del miracolo dello sbocciare delle gemme di
foglie e fiori fuori stagione negli alberi di sala, quando il Buddha fu
deposto ai loro piedi, è compatibile con la stagione dichiarata nel
sutta. L'autunno e l'inverno, tuttavia, non sono stagioni favorevoli
alla crescita dei funghi, che alcuni studiosi ritengono essere stati
causa di un avvelenamento del quale il Buddha sarebbe stato vittima
consumando il suo ultimo pasto.
3.
Diagnosi
Il sutta ci dice che il Buddha si sentì male immediatamente dopo
aver mangiato il sukaramaddava. Siccome non sappiamo nulla sulla natura
di questo cibo, è difficile dirlo causa diretta del malore che colpì il
Buddha. Ma dalla descrizione che ne è data, l'instaurarsi della
malattia fu rapido. Mentre mangiava, sentì che c'era qualcosa che
non andava nel cibo e chiese all'ospite che seppellisse il cibo
[avanzato]. Subito dopo soffrì un dolore acuto allo stomaco e perse
sangue dal retto. Possiamo ragionevolmente assumere che la
malattia si scatenò mentre stava consumando il pasto, facendogli
pensare che ci fosse qualcosa che non andava nella prelibatezza alla
quale non era abituato. Per compassione degli altri lo fece
seppellire. La causa del suo malessere fu forse avvelenamento
alimentare? Sembra improbabile. I sintomi descritti non fanno
propendere all'avvelenamento da cibo, che può sì essere molto acuto, ma
che difficilmente causa diarrea con perdita di sangue.
Normalmente l'avvelenamento alimentare batterico non si
manifesta immediatamente, ma richiede un'incubazione dalle due alle
dodici ore prima che si manifesti, normalmente con diarrea e vomito, ma
senza efflusso di sangue. Un'altra possibilità è l'avvelenamento
chimico, che pure può avere un effetto immediato, ma una grave
emorragia intestinale non è tipica dell' avvelenamento chimico.
L'avvelenamento alimentare accompagnato da un'immediata emorragia
intestinale può solamente essere causata da agenti chimici corrosivi
quali sono gli acidi forti, che possono produrre effetti
immediati. Ma agenti chimici corrosivi avrebbero dovuto causare
un'emorragia nel tratto intestinale superiore, cosa che avrebbe
provocato il vomito di sangue. Di nessun tale grave segno [di
avvelenamento] si fa menzione nel testo.
Anche le malattie correlate ad ulcere peptiche possono essere
escluse dalla lista dei possibili mali. Nonostante queste si
manifestino immediatamente, è raro che siano accompagnate da feci
sanguinose. Un'ulcera gastrica con emorragia intestinale
causa feci sanguinose nere quando l'ulcera penetra un vaso
sanguigno. Un'ulcera più in alto nel tratto digestivo è più
facile che si manifesti con vomito sanguinoso che non con la perdita di
sangue per il retto.
Un altro elemento contro questa possibilità è che un paziente
con una vasta ulcera gastrica solitamente non ha appetito. Avendo
accettato l'invito a pranzo dell'ospite, possiamo ritenere che il
Buddha si sentisse tanto sano quanto può sentirsi un uomo che abbia
appena raggiunto gli ottant'anni. Data la sua età non possiamo
escludere che non avesse una qualche malattia cronica quale il cancro o
la tubercolosi oppure un'infezione tropicale come la dissenteria o il
tifo, che dovevano essere frequenti al tempo del Buddha. Queste
malattie possono provocare emorragia del basso intestino, a seconda di
dove colpiscono il fisico. Sono anche compatibili con i malori
pregressi che lo colpirono durante il ritiro. Ma anche loro
possono essere scartate, perché sono di regola accompagnate da altri
sintomi quali letargia, perdita di appetito, perdita di peso e perdita
di massa corporea nell'addome. Di nessuno di questi sintomi si fa
cenno nel sutta. Una vasta emorroide può sì causare una grave
emorragia rettale, ma è improbabile che un'emorroide possa causare
dolori addominali intensi a meno che non sia strangolata. Ma in
questo caso per il Buddha incamminarsi dalla casa del suo ospite
avrebbe dovuto essere stato considerevolmente disagevole, oltre al
fatto che è raro che un'emorragia emorroidale sia scatenata da un pasto.
4.
Infarto mesenterico
Una malattia che corrisponde ai sintomi descritti - accompagnata
da dolori addominali acuti e dall'efflusso di sangue, caratteristica
dell'età avanzata e scatenata da un pasto - è l'infarto mesenterico,
causato dall'ostruzione di un vaso sanguigno del mesentere. È
letale. L'ischemia mesenterica acuta (una riduzione del flusso
sanguigno al mesentere) è un malore grave che ha un'elevato tasso di
mortalità. Il mesentere è una zona della parete intestinale che
collega l'intero tratto intestinale alla cavità addominale.
Un infarto dei vasi del mesentere normalmente causa la morte del
tessuto di un'ampia sezione del tratto intestinale, che comporta la
lacerazione della parete intestinale. Questo normalmente causa un
dolore addominale acuto e la perdita di sangue. Il paziente di
solito muore di emorragia acuta. Questa catena di eventi
corrisponde alle informazioni fornite dal sutta. È confermata
anche nel seguito quando il Buddha chiese ad Ananda di prendergli
dell'acqua da bere, che indica un'assetamento intenso. Stando
alla narrazione, Ananda rifiutò, che non trovava nessuna sorgente
d'acqua limpida. Sostenne di fronte al Buddha che il vicino
torrente era
stato reso fangoso dal recente passaggio di una grande carovana.
Ma il Buddha insistette perché lo stesso gli procurasse dell'acqua.
A questo punto sorge una domanda: perché il Buddha non andò lui
stesso al corso d'acqua, invece di insistere perché lo facesse il suo
attendente evidentemente non accondiscendente? La risposta è
semplice. Il Buddha stava soffrendo lo shock causato dalla sua
forte emorragia. Non poteva più camminare e da quel momento fino
alla sua morte dovette con ogni probabilità essere stato trasportato su
una barella. In ogni caso il sutta non dice nulla sul tragitto
che il Buddha percorse fino ad essere deposto sul suo letto di morte,
forse perché l'autore sentì che la cosa sarebbe stata imbarazzante per
il Buddha.
Dal punto di vista geografico, sappiamo che la distanza tra il
luogo che si ritiene fosse la casa di Cunda e il luogo dove il Buddha
morì sia tra i quindici e i venti chilometri. Non è possibile che
un paziente con una così grave malattia possa aver percorso a piedi una
tale distanza. Con ogni probabilità il Buddha dovette essere
stato trasportato su di una barella da un gruppo di monaci verso
Kusinara (Kushinagara). È un punto dibattuto se il Buddha avesse
veramente intenzione di trapassare in questa città, probabilmente non
molto più grande di un paese. A giudicare dalla direzione che il
Buddha seguiva mentre era in viaggio, che ci è fornita dal sutta,
[capiamo che] era diretto a nord, proveniente da Rajagaha. È
possibile che non intendesse morire là [a Kusinara], ma nella città
dov'era nato, che avrebbe potuto raggiungere dopo un viaggio di tre
mesi. Dal sutta è chiaro che il Buddha non aveva pronosticato il
suo improvviso malessere, altrimenti non avrebbe accettato l'invito del
suo ospite. Kusinara probabilmente era la città più vicina dove
si sarebbe potuto trovare un dottore che lo potesse assistere.
Non è difficile immaginarsi un gruppo di monaci affrettarsi per portare
di corsa il Buddha su di una barella alla città più vicina per potergli
salvare la vita. Prima di estinguersi il Buddha disse ad Ananda
che Cunda non doveva essere biasimato e che la sua morte non era stata
causata dal sukaramaddava che aveva mangiato.
Questa dichiarazione è importante. Il pasto non fu la
causa diretta della sua morte. Il Buddha sapeva che il sintomo
era un ripetersi dell'esperienza che aveva subìto pochi mesi prima,
quella che lo aveva quasi ucciso. Il sukaramaddava, quali che
fossero i suoi ingredienti o come fosse stato cucinato, non fu la causa
diretta del suo improvviso malore.
5. Evoluzione della malattia
L'infarto mesenterico è una malattia che colpisce di frequente
le persone anziane, causata dall'ostruzione dell'arteria principale che
fornisce di sangue la sezione media delle viscere - il piccolo
intestino. La causa più comune dell'ostruzione è la degenerazione
della parete del vaso sanguigno, l'arteria mesenterica superiore, che
causa un forte dolore addominale, noto anche come angina
addominale. Normalmente il dolore è scatenato da un pasto
abbondante, che richiede un flusso sanguigno più elevato verso il
tratto digestivo.
Con il persistere dell'ostruzione le viscere sono private del
loro flusso sanguigno, che di conseguenza causa un infarto, o cancrena,
di una sezione del tratto intestinale. Ciò a sua volta provoca
una lacerazione della parete intestinale, un'emorragia diffusa nel
tratto intestinale e quindi diarrea sanguinosa. La malattia
peggiora quando il liquido e il contenuto dell'intestino invadono la
cavità peritoneale, causando una peritonite o un'infiammazione delle
pareti addominali. Questa è già una condizione letale per il
paziente, che di solito muore a causa della perdita di sangue e di
altri liquidi corporei. Quando non è curata chirurgicamente la
malattia di solito evolve in uno shock settico a causa delle tossine
batteriche che penetrano nella circolazione sanguigna.
6.
Analisi retrospettiva
Dalla diagnosi esposta possiamo essere piuttosto certi che il
Buddha sia stato affetto da un infarto mesenterico causato
dall'occlusione dell'arteria mesenterica superiore. Questa fu la
causa del dolore che quasi lo uccise pochi mesi prima durante il suo
ultimo ritiro della stagione delle piogge. Con il progredire
della malattia una parte del rivestimento delle mucose intestinali si
dovette staccare, dando qui origine ad un'emorragia.
L'arteriosclerosi, l'indurimento del vaso sanguigno causato dall'età,
fu la causa dell'occlusione arteriosa, un piccolo blocco che non causò
la diarrea sanguinosa, ma è un sintomo noto oggi anche con il nome di
angina addominale. Subì quindi un secondo attacco mentre stava
mangiando il sukaramaddava.
Il dolore probabilmente non fu intenso all'inizio, ma gli dette
l'impressione che ci fosse qualcosa che non andava. Sospettando
del cibo, chiese al suo ospite di farlo seppellire, così che altri non
ne dovessero patire. Presto però il Buddha comprese che la sua
malattia era grave, accompagnata da perdita di sangue e dolori ancora
più forti nell'addome. A causa della perdita di sangue subì uno
shock. La disidratazione fu così grave che non poté più stare
eretto e dovette riparare ai piedi di un albero lungo la via.
Sentendosi molto assetato ed esausto, chiese ad Ananda di
prendergli dell'acqua da bere, pur sapendo che l'acqua [più vicina] era
infangata. Fu lì che subì un collasso fino a che quanti lo
accompagnavano lo portarono alla città più vicina, Kusinara, dove ci
sarebbe stata una possibilità di trovargli un dottore o un alloggio
dove potesse essere ricoverato. Fu probabilmente vero che il
Buddha si sentì meglio dopo aver bevuto per reintegrare i liquidi persi
ed aver riposato sulla barella.
Avendo già avuto esperienza degli stessi sintomi si rese conto
che la sua improvvisa malattia era il secondo attacco di una malattia
preesistente. Disse ad Ananda che il pasto non era la causa della
sua malattia e che
Cunda non ne doveva essere biasimato. Un paziente che subisce uno
shock, disidratazione e una forte emorragia di solito sente molto
freddo. Questa fu la ragione per la quale chiese al suo
attendente di preparargli un giaciglio usando quattro strati di sanghati. Stando alla
disciplina monastica un sanghati
è un mantello, o una veste supplementare, molto grande, delle
dimensioni di un lenzuolo, che il Buddha aveva permesso ai monaci e
alle monache di indossare durante la stagione fredda. Questa
informazione ci dice quanto il Buddha sentisse freddo a causa della sua
emorragia. Clinicamente non è possibile che un paziente in uno
stato di shock con un forte dolore addominale, con molta probabilità
una peritonite, pallido e tremante, possa mettersi in cammino. Il
Buddha con ogni probabilità fu messo in un alloggio dove fu curato e
riscaldato, vicino alla città di Kusinara.
Questo quadro è confermato anche dalla descrizione di Ananda
che, piangente, barcolla e si afferra alla porta del suo alloggio dopo
aver appreso che il Buddha era prossimo alla morte.
Normalmente un paziente con infarto mesenterico può vivere dalle dieci
alle venti ore. Dal sutta apprendiamo che il Buddha morì dalle
quindici alle diciotto ore dopo l'attacco. In questo intervallo
di tempo i suoi attendenti devono aver fatto del loro meglio per
procurargli qualche conforto, ad esempio riscaldandogli la stanza
mentre riposava, oppure sgocciolandogli dell'acqua nella bocca per
calmargli la sete perdurante, o dandogli da bere erbe medicinali.
Ma è molto improbabile che un paziente tremante necessiti di qualcuno
che lo sventoli com'è descritto nel sutta. Di tanto in tanto
potrebbe essersi ripreso dalla spossatezza, riuscendo a continuare i
suoi dialoghi con alcune persone. La maggior parte delle sue
ultime parole possono essere autentiche, e sono state apprese
mnemonicamente da generazioni di monaci fino ad essere state
trascritte. Ma alla fine, in tarda notte, il Buddha morì di
una seconda ondata di shock settico. La sua malattia ebbe
origine
da cause naturali combinate alla sua tarda età, come può succedere a
chiunque altro.
7. Conclusione
Le ipotesi fin qui delineate spiegano molti eventi narrativi del
sutta ossia: l'insistenza perché Ananda prendesse dell'acqua, la
richiesta del Buddha di un quadruplo mantello per la preparazione di un
giaciglio, l'ordine dato perché il cibo fosse seppellito e così
via. Rivela anche un'altra possibilità sui veri mezzi di
trasporto sui quali il Buddha arrivò a Kusinara e la collocazione del
suo letto di morte. Sukaramaddava, qualsiasi cosa fosse, è
improbabile sia stata la causa diretta della sua malattia. Il
Buddha non morì per avvelenamento alimentare. Piuttosto fu la
quantità del pasto, relativamente troppo abbondante per il suo tratto
intestinale già in difficoltà, che scatenò il secondo attacco di
infarto mesenterico che portò a conclusione la sua vita.
-oOo-
Un sincero ringraziamento al dott. Binh Anson per averci
procurato questo articolo.
< Torna
al livello superiore <
<< Torna
alla pagina iniziale <<
I diritti d'autore sono detenuti dall'Autore dell'originale.
I diritti della traduzione in italiano sono del traduttore.
La traduzione italiana è coperta, ove compatibile con la licenza dell'originale,
dalla licenza Creative Commons versione 3.0 Attribuzione - Non commerciale -
Condivisibile alle stesse condizioni
http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/deed.it