Primo
articolo, di Robert Freeman, CommonDreams;
Secondo
articolo, di John
Pilger, The Guardian, e
Terzo articolo,
di Mark Weber, Institute for Historical Review.
Articolo
originalmente pubblicato domenica 6 agosto 2006 da CommonDreams.org, http://www.commondreams.org/views06/0806-25.htm
Tradotto da Alessandro
Selli; ultima revisione: 08
agosto 2008
Era necessario il bombardamento atomico del
Giappone?
di Robert Freeman
Poche discussioni riguardo eventi della storia degli Stati Uniti
- forse solo lo schiavismo - sono tanto animati come quello dell'uso
delle bombe atomiche sul Giappone. Era necessario? Il solo
fare questa domanda provoca indignazione, persino rabbia. Si
prenda ad
esempio il clamore isterico sorto intorno alla mostra del 1995 dello
Smithsonian che aveva semplicemente osato discutere il tema a
cinquant'anni dal fatto. Oggi, dopo altri undici anni, gli
statunitensi hanno ancora difficoltà a guardare in faccia la
verità su quelle bombe.
Ma la rabbia non è una tesi. L'isteria non è
la storia. La decisione di sganciare la bomba è stata
sottoposta al lavaggio della fabbrica americana di miti tanto da essere
trasformata a volontà: dall'autoconservazione degli statunitensi
ad una preoccupazione nei confronti degli stessi giapponesi, come se
l'incinerazione di duecentomila esseri umani in un secondo possa essere
stato per qualche ragione un atto di generosità morale.
Eppure la domanda non si estinguerà, né deve
farlo: l'uso delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki è
stata una necessità militare? Era giustificabile questa
decisione dall'imperativo della salvaguardia di vite umane, o dietro
c'erano altre ragioni?
La domanda sulla necessità militare può essere
messa a tacere rapidamente. "Il Giappone era già
militarmente sconfitto e l'uso della bomba era completamente
inutile." Queste non sono le parole di uno storico revisionista
postumo o di uno scrittore di sinistra. Certamente non sono le
parole di qualcuno preso dall'odio per gli Stati Uniti. Sono le
parole di Dwight D. Eisenhower, Comandante Supremo delle Forze Alleate
in Europa e futuro presidente degli Stati Uniti d'America.
Eisenhower sapeva, come lo sapeva l'intero corpo degli ufficiali
superiori degli Stati Uniti, che verso la metà del 1945 il
Giappone era privo di difese.
Dopo la distruzione della flotta giapponese nel golfo di Leyte
nell'ottobre del 1944, gli Stati Uniti potevano bombardare
incontrastati le città del Giappone, come fecero con
gl'infernali bombardamenti incendiari di Tokyo e Osaka. Questo
è quello che intendeva Henry H. Arnold, Comandante generale
dell'Aeronautica militare degli Stati Uniti, quando dichiarò che
"la situazione dei giapponesi era disperata perché ancora prima
del lancio della prima bomba atomica i giapponesi avevano perso il
controllo del loro proprio spazio aereo." Inoltre, senza una
propria marina militare, un Giappone povero di risorse autonome aveva
perso la capacità di importare il cibo, il carburante e i
rifornimenti industriali necessari a portare avanti una guerra mondiale.
Consci dell'evidente futilità della loro difesa i
giapponesi contattarono i russi per ottenere il loro aiuto nel
negoziare una pace che mettesse fine alla guerra. Gli Stati Uniti
avevano già da tempo imparato a decodificare le trasmissioni
giapponesi e sapevano che tali negoziati erano in corso, sapevano che i
giapponesi erano mesi che cercavano un modo [accettabile] di arrendersi.
L'ammiraglio di squadra navale Chester W. Nimitz, comandante in
capo della flotta USA del pacifico, evidenziava questo fatto quando
scriveva che "I giapponesi avevano infatti già chiesto la
pace. La bomba atomica non ebbe alcun ruolo decisivo, da un punto
di vista puramente militare, nella sconfitta del Giappone."
L'ammiraglio William D. Leahy, Capo del gabinetto del presidente
Truman, disse la stessa cosa: "L'uso de[lle bombe atomiche] a Hiroshima
e Nagasaki non fu di alcun beneficio pratico nella nostra guerra contro
il Giappone. I giapponesi erano già sconfitti e pronti
alla resa."
Le autorità civili, in particolar modo lo stesso Truman,
avrebbero in seguito tentato di riscrivere la storia sostenendo che le
bombe fossero state sganciate per salvare le vite di un milione di
soldati statunitensi. Ma non esiste nessuna circostanza concreta
a
sostegno di questa tesi in un qualsiasi documento dell'epoca. Al
contrario, la 'Analisi dei bombardamenti strategici' degli Stati Uniti
rilevava che "Certamente il Giappone si sarebbe arreso prima del 31
dicembre 1945, e con ogni probabilità prima del 1° novembre
1945, anche se le bombe atomiche non fossero state sganciate." La
data del primo novembre è importante perché quella era la
prima data utile dell'invasione statunitense delle isole giapponesi che
era stata pianificata.
In altre parole, l'opinione virtualmente unanime e condivisa dei
comandanti di lunga esperienza e più informati delle forze
militari
statunitensi non lasciava spazio a dubbi: non c'era alcuna urgente
necessità militare di sganciare le bombe atomiche sul Giappone.
Ma se l'impiego delle bombe non fu dettato da necessità
militari, allora perché furono usate? La risposta emerge
quando si considera l'atteggiamento degli U.S.A. nei confronti dei
russi, come la guerra era finita in Europa e la situazione in Asia.
Da tempo i leader degli U.S.A. avevano in odio il governo
comunista russo. Nel 1919 gli U.S.A. avevano condotto
un'invasione in Russia, la famigerata "Contro-Rivoluzione Bianca", nel
tentativo di battere la rivoluzione rossa bolscevica che aveva portato
i comunisti al potere nel 1917. L'invasione fallì e gli
U.S.A. non riconobbero diplomaticamente la Russia fino al 1932.
Poi, durante la Grande Depressione, quando l'economia degli
U.S.A. crollò, l'economia russa era invece in espansione
esplosiva, essendo cresciuta di quasi il 500%. I leader degli
U.S.A. temevano che con la fine della guerra il paese potesse cadere di
nuovo preda della depressione. E la seconda guerra mondiale non
fu vinta dal sistema lassista americano, ma da quello
verticistico, di dirigenza e controllo sull'economia che rappresentava
il
sistema russo. In altre parole, il sistema russo sembrava
funzionare mentre quello americano soffriva per il recente crollo e una
dubbia fiducia in se stesso.
Inoltre per sconfiggere la Germania l'esercito russo era giunto
a
Berlino attraversando l'Europa orientale. Aveva occupato e posto
sotto il suo controllo 150.000 miglia quadrate [388 mila chilometri
quadrati, NdT] di territorio nelle odierne Polonia, Cecoslovacchia,
Ungheria, Romania, Bulgaria e Jugoslavia. A Jalta, nel febbraio
del 1945, Stalin aveva chiesto di tenere il controllo di questo
territorio di nuova occupazione. La Russia, Stalin giustamente
osservava, era stata ripetutamente invasa dagli europei dell'ovest, da
Napoleone ai tedeschi nella prima guerra mondiale e in ultimo da
Hitler. La Russia aveva perso oltre 20 milioni di vite nella
seconda guerra mondiale e Stalin voleva una zona cuscinetto contro
ulteriori invasioni.
A questo punto, nel febbraio del 1945, gli Stati Uniti non
sapevano se la bomba avrebbe funzionato oppure no. Ma è
fuori di dubbio che avevano bisogno dell'aiuto della Russia per portare
a termine sia la guerra in Europa che quella nel pacifico. [Il
presidente] Roosevelt non aveva perso di vista queste necessità
militari: senza un esercito capace di affrontare quello di Stalin in
Europa e anzi in necessità dell'aiuto di Stalin, Roosevelt
concesse l'Europa orientale, mettendo in mano ai russi la più
grande conquista territoriale della guerra.
Come ultimo punto, e forse più importante di tutti,
Stalin concordò a Jalta che una volta finita la guerra in Europa
avrebbe fatto trasferire le sue forze dall'Europa all'Asia per entrare
entro 90 giorni in guerra nel Pacifico contro il Giappone.
È a questo punto che le date diventano criticamente
importanti. La guerra in Europa finì l'otto maggio del
1945. L'otto maggio più 90 giorni fa l'otto agosto.
Avessero voluto gli U.S.A. impedire alla Russia l'occupazione di altro
territorio nell'Asia orientale così come aveva occupato i
territori dell'Europa orientale, dovevano far finire questa guerra nel
più breve tempo possible.
Questo problema territoriale dell'Asia orientale era
specialmente rilevante perché prima della guerra contro il
Giappone la Cina era piombata in una guerra civile interna. Ad
affrontarsi erano i nazionalisti guidati dal generale Chiang Kai Shek
con l'aiuto degli Stati Uniti e i comunisti guidati da Mao Ze
Dong. Si fosse permessa alla Russia comunista la conquista di
altro territorio nell'Asia orientale, avrebbe messo la sua
considerevole potenza militare a disposizione di Mao, il che avrebbe
portato quasi sicuramente alla vittoria i comunisti una volta finita la
guerra mondiale e riavviata la guerra civile.
Una volta dimostrata la funzionalità della bomba il 15
luglio 1945, gli eventi si inseguirono con una urgenza furiosa.
Non c'era tempo per negoziare con i giapponesi. Ogni giorno di
ritardo voleva dire altra terra persa alla Russia e, quindi, una
maggiore probabilità di una vittoria comunista nella guerra
civile cinese. Tutta l'Asia avrebbe potuto diventare
comunista. Sarebbe stata una catastrofe strategica per gli U.S.A.
conseguire la vittoria nella guerra contro i fascisti per poi finire
col cederla nelle mani dei suoi altri nemici giurati, i
comunisti. Gli U.S.A. dovevano arrivare alla fine della guerra
non in mesi, neanche in settimane, ma in giorni.
E così il 6 agosto 1945, due giorni prima che spettasse
ai russi di dichiarare guerra al Giappone, gli Stati Uniti sganciarono
la bomba su Hiroshima. Le forze statunitensi sul campo, in attesa
di una risposta giapponese alla richiesta di resa, non correvano alcun
pericolo. La prima data pianificata per l'invasione delle isole
giapponesi era ancora tre mesi a venire e gli U.S.A. avevano sotto
controllo il calendario di tutte le operazioni belliche nel
Pacifico. Ma la faccenda russa incombeva e dettò il
calendario. E così, solo tre giorni più tardi,
gli U.S.A. sganciarono la seconda bomba su Nagasaki. I
giapponesi si arrenderono il 14 agosto 1945, otto giorni dopo
l'esplosione della prima bomba.
Il Maggior Generale Curtis LeMay disse a proposito dell'uso
della bomba: "La guerra sarebbe finita nel giro di due settimane senza
che i russi vi avessero partecipato e senza la bomba atomica. La
bomba
atomica non ha avuto nulla a che fare con la fine della guerra, per
niente." Tranne che per aver accelerato drasticamente la fine
della guerra per impedire ai russi [la conquista di altro] terreno
nell'Asia orientale.
La storia della necessità militare, goffamente messa in
piedi in fretta e furia dopo la fine della guerra, semplicemente
non regge di fronte alla soverchia realtà della situazione
militare dell'epoca dei fatti. Dall'altra parte, l'uso della
bomba per limitare l'espansionismo russo e per rendere i russi, come
ebbe ad esprimersi in termini rivelatori Truman, "più
malleabili", si conforma appieno con tutti i fatti noti, in particolar
modo con le motivazioni e gli interessi degli U.S.A..
Quale storia dovremmo accettare, quella che non sta in piedi ma
è stata santificata come dogma nazionale? Oppure quella
che invece sta in piedi e però mortifica la nostra
presunzione? La nostra risposta testimonierà della nostra
maturità e capacità di essere intellettualmente onesti.
A volte è difficile per un popolo conciliare la propria
storia con le mitologie nazionali, le mitologie dell'eterna innocenza e
della rettitudine che discende dalla Provvidenza. È ancora
più difficile farlo quando il proprio paese è invischiato
ancora una volta in una guerra e la forza di questi miti si rende
necessaria per mantenere fermo il senso del dovere della gente di
fronte alla disarmante forza dei fatti.
Ma lo scopo della storia non è di tenere in vita i
miti. Il suo scopo è piuttosto quello di smontarli
perché le generazioni future possano agire con maggiore
consapevolezza per evitare le tragedie del passato. Potrebbero
volerci altri sei o anche sessanta decenni, ma alla fine la
verità sull'impiego della bomba sarà scritto non nella
mitologia, ma nella storia. Speriamo quindi che, di conseguenza,
il mondo diventi un luogo più sicuro.
Robert Freeman scrive di
economia, di storia e di educazione. Può essere contattato
all'indirizzo robertfreeman10@yahoo.com.
Un altro
articolo sullo stesso
argomento.
Se ne traducono i primi sei capoversi sugli undici totali, quelli
cioè che riguardano
direttamente il bombardamento nucleare del Giappone. Articolo
comparso su http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2008/aug/06/secondworldwar.warcrimes e sul sito dell'Autore, http://www.johnpilger.com/page.asp?partid=499
Tradotto da Alessandro
Selli; ultima revisione: 09
agosto 2008
.oOo.
Le menzogne su Hiroshima vivono ancora, a sostegno dei crimini di
guerra del XX secolo
Di John Pilger
The Guardian,
Mercoledì 6
agosto 2008
L'attacco del 1945 fu un assassinio di massa su scala epica.
Nel
nome delle sue vittime, non dobbiamo permettere che si ripeta nel medio
oriente
La prima volta che andai a Hiroshima nel 1967, l'ombra sui
gradini era ancora li. Era la rappresentazione quasi perfetta di
un essere umano che stava a suo agio, con le gambe divaricate, seduta
reclinata con una mano sul fianco mentre aspettava che aprisse la
banca. Alle otto e un quarto del mattino del sei agosto 1945 lei
e la sua silhouette sono state bruciate nel granito. Fissai
quell'ombra per almeno un'ora, poi andai a piedi al fiume dove
incontrai un uomo chiamato Yukio, il cui petto era ancora scolpito
della
trama della camicia che indossava quando la bomba atomica fu sganciata.
Lui e la sua famiglia vivevano ancora in una baracca tirata su
nella polvere di un deserto atomico. Parlò di un enorme
lampo sulla città, "una luce bluastra, come quella di un corto
circuito elettrico", dopo di che il vento soffiò come una tromba
d'aria e cadde una pioggia nera. "Fui scagliato per terra e notai
che dei miei fiori erano rimasti soltanto i gambi. Tutto era
fermo e silenzioso, e quando mi alzai intorno c'erano persone nude, che
non dicevano nulla. Alcuni di loro non avevano più la
pelle o i capelli. Ero certo di essere morto." Nove anni
dopo, quand'ero tornato per cercarlo, era morto di leucemia.
Immediatamente dopo il bombardamento i vertici alleati
dell'occupazione proibirono qualsiasi cenno all'avvelenamento
radioattivo e insistettero che la gente era morta o era stata ferita
solamente per l'esplosione della bomba. Era la prima grande
menzogna. "Nessuna radioattività nelle rovine di
Hiroshima" recitava la prima pagina del New York Times, un classico di
disinformazione e di abdicazione giornalistica che il reporter
australiano Wilfred Burchett smentì nel suo scoop del
secolo. "Scrivo questo perché sia di monito al mondo"
scrisse Burchett al Daily Express raggiunta Hiroshima dopo un viaggio
pericoloso, il primo corrispondente ad aver osato tanto.
Descrisse le corsie degli ospedali piene di gente che non mostrava
alcuna ferita visibile, ma che moriva di quella che chiamò "una
peste atomica". Per aver detto questa verità le sue
credenziali giornalistiche furono ritirate, fu messo alla gogna e
infangato, ma alla fine fu riscattato.
Il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki fu un atto
criminale su scala epica. Fu un assassinio di massa premeditato
scatenato da un'arma di una criminalità intrinseca. Per
questa ragione i suoi apologeti hanno cercato di rifugiarsi nel mito
della guerra fondamentalmente "buona", il cui "bagno etico", come lo
chiamò Richard Drayton, aveva permesso all'occidente non solo di
espiare il proprio sanguinoso passato imperiale, ma anche la promozione
di un sessantennio di guerre rapaci, sempre sotto l'ombra della Bomba.
La menzogna più tenace è che la bomba fu sganciata
per far finire la guerra nel Pacifico e per salvare vite. "Anche
senza gli attacchi di bombardamento atomico", era la conclusione della
'Analisi dei bombardamenti strategici' degli Stati Uniti del 1946, "la
supremazia aerea sul Giappone avrebbe potuto esercitare la pressione
sufficiente per portare alla resa incondizionata e ovviare alla
necessità di un'invasione. Basandosi su una ricerca
dettagliata di tutti i fatti e supportati dalla testimonianza dei
leader giapponesi sopravvissuti coinvolti, è opinione di questa
Analisi che ... il Giappone si sarebbe arreso anche se le bombe
atomiche non fossero state sganciate, anche se la Russia non avesse
fatto il suo ingresso nella guerra e anche se non fosse stata
pianificata o contemplata la possibilità di un'invasione."
Gli Archivi Nazionali a Washington hanno documenti del governo
USA che fanno risalire la manifestazione giapponese di un intento alla
pace già al 1943. A nessuna di queste fu dato
seguito. Un cablogramma inviato il 5 maggio del 1945
dall'ambasciatore tedesco a Tokyo e intercettato dagli USA elimina
qualsiasi dubbio che i Giapponesi stessero disperatamente perseguendo
un epilogo di pace, inclusa la "capitolazione anche a dure
condizioni". E invece il segretario statunitense per la guerra,
Henry Stimson, disse al presidente Truman di "temere" che la forza
aerea degli USA avrebbe ridotto a tal mal partito il Giappone a "suon
di bombardamenti" che la nuova arma non avrebbe potuto "dimostrare la
sua forza". Più tardi ammise che "non era stato fatto
alcuno sforzo, perché non ne era stato seriamente contemplato
alcuno, di arrivare alla resa solamente perché non si avrebbe
avuto [più] bisogno di usare la bomba". I suoi colleghi di
politica estera erano ansiosi di "intimidire i russi tenendo la bomba
ben in vista sul fianco". Il generale Leslie Groves, direttore
del Progetto Manhattan che produsse la bomba, così
testimoniò: "Non c'erano mai state illusioni da parte mia che la
Russia era il nostro nemico, e che la conduzione del progetto andava
avanti su queste basi." Il giorno dopo l'obliterazione di
Hiroshima il presidente Truman espresse la sua soddisfazione per il
"fantastico successo" dell'"esperimento".
[...]
I diritti
d'autore sono detenuti dall'Autore e/o dell'Editore dell'originale.
I diritti della
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La traduzione
italiana
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