Traduzione di Alessandro
Selli dell'articolo pubblicato su: http://www.ihr.org/jhr/v16/v16n3p-4_Weber.html
Ultima revisione: 16
agosto 2008
Institute for
Historical Review
Journal of Historical Review
Perché i bombardamenti atomici potevano essere evitati
Di Mark Weber
[...]
Tra i due bombardamenti la Russia sovietica si unì agli
Stati Uniti nella guerra contro il Giappone. Dietro la forte
insistenza degli USA, Stalin
ruppe il trattato di non aggressione del 1941 che il suo regime aveva
con Tokyo. Lo stesso giorno
che Nagasaki fu distrutta le truppe sovietiche cominciarono a
rovesciarsi nella
Manciuria. Per quanto la partecipazione sovietica
contribuì poco o nulla nel cambiare le
sorti della guerra, Mosca trasse un enorme beneficio dall'ingresso nel
conflitto.
[...]
Oltre alla questione morale sulla faccenda, erano militarmente
necessari i bombardamenti atomici? Sotto qualsiasi metro
razionale, non lo
erano. Il Giappone era già stato sconfitto militarmente
nel giugno del 1945. Non
rimaneva quasi nulla della già potente marina militare imperiale
e l'aeronautica militare era stata
totalmente distrutta. Incontrando una resistenza solo simbolica,
gli aerei
militari americani scorrazzavano a piacimento sul paese e i bombardieri
USA facevano
piovere la devastazione sulle sue città, riducendole in poco
tempo in briciole.
Quello che rimaneva delle fabbriche e delle officine giapponesi
si sforzava a produrre con irregolarità armi e altri strumenti
lavorando materie prime
inadeguate (i rifornimenti di idrocarburi non erano più
disponibili da
aprile). A luglio circa un quarto di tutte le case giapponesi
erano state distrutte e il suo
sistema di trasporti era prossimo al collasso. Il cibo era
diventato
così scarso che la maggior parte dei giapponesi si mantenevano
su una alimentazione sotto la
soglia della fame.
[...]
Persino prima dell'attacco a Hiroshima il Generale
dell'Aeronautica Militare USA Curtis LeMay si vantava che i bombardieri
americani stavano "riportando [i
giapponesi] indietro all'età della pietra a suon di
bombe". Henry H. ("Hap")
Arnold, Generale Comandante dell'Aeronautica dell'Esercito, disse nelle
sue memorie del 1949: "Ci
era sempre apparso evidente, bomba atomica o no, che i giapponesi erano
già
sull'orlo del collasso". Questo fu confermato dall'ex primo
ministro giapponese Fumimaro Konoye, che
disse: "Fondamentalmente, quello che condusse alla decisione di
giungere alla
pace furono i bombardamenti prolungati dei B-29".
Mesi prima della fine della guerra i leader giapponesi
riconobbero che la sconfitta era inevitabile. Nell'aprile del
1945 un nuovo governo guidato da
Kantaro Suzuki si insediò con il compito di portare a termine la
guerra. Quando la Germania
capitolò ai primi di maggio, i giapponesi compresero che i
britannici e gli americani
avrebbero ora diretto l'intera furia della loro spaventosa potenza
bellica esclusivamente
contro di loro.
Gli ufficiali americani, avendo da tempo scardinato i codici
segreti giapponesi, sapevano da messaggi intercettati che i capi del
paese stavano cercando
di porre fine alla guerra su condizioni quanto più possibili
favorevoli.
I dettagli di questi sforzi erano noti da trasmissioni segrete
decodificate tra il Ministero degli
Esteri a Tokyo e i diplomatici giapponesi all'estero.
Nel suo studio del 1965: "Diplomazia atomica: Hiroshima e
Potsdam" [Atomic Diplomacy: Hiroshima and Potsdam] (pagg. 107, 108) lo
storico Gar Alperovitz
scrive:
Per quanto le antenne di
pace dei giapponesi fossero state
dispiegate già nel
settembre del 1944 (e [il cinese] Chiang
Kai-shek fosse stato
contattato a proposito delle
possibilità di resa
nel dicembre del 1944), un autentico
sforzo di porre fine alla
guerra iniziò nella primavera
del 1945. Questo
sforzo accentuò il ruolo dell'Unione
Sovietica ...
A metà aprile del
1945 il Comitato Congiunto dei Servizi
Segreti [degli USA]
riferì che i leader giapponesi
stavano cercando una maniera
di modificare le condizioni
della resa per far finire la
guerra. Il Dipartimento di
Stato era convinto che
l'imperatore stesse attivamente
cercando un modo di far
cessare i combattimenti.
Fu solamente dopo la guerra che il pubblico americano
poté sapere degli sforzi dei giapponesi per concludere il
conflitto. L'inviato del Chicago
Tribune Walter Trohan, per esempio, fu costretto dalla censura del
tempo di guerra a nascondere
per sette mesi una delle storie più importanti della guerra.
In un articolo che fu finalmente pubblicato il 19 agosto del
1945, sulla prima pagina del Chicago Tribune e del Washington
Times-Herald, Trohan rivelò
che il 20 gennaio del 1945, due giorni prima della sua partenza per la
conferenza di Jalta
con Stalin e Churchill, il presidente Roosevelt ricevette un memorandum
di 40 pagine
dal generale Douglas MacArthur che tracciava cinque diverse offerte di
resa da
ufficiali giapponesi di alto rango (il testo completo dell'articolo di
Trohan sta nella
raccolta invernale del Journal del 1985-86 alle pagine 508-512).
Questo documento dimostra che i giapponesi stavano offrendo
delle condizioni di resa praticamente identiche a quelle accettate alla
fine dagli americani
alla cerimonia formale di resa del 2 settembre, ossia una resa completa
di tutto
tranne che della persona dell'Imperatore. In particolar modo, i
termini di questa
offerta di pace includevano:
- la completa resa di tutte le forze ed armi giapponesi, sul suolo
nazionale, sui possedimenti isolani e nei paesi occupati;
- l'occupazione del Giappone e dei suoi possedimenti da parte delle
truppe alleate sotto il comando americano;
- la rinuncia del Giappone a tutti i territori conquistati durante
la
guerra, inclusa la Manciuria, la Corea e Taiwan;
- la regolamentazione dell'industria giapponese per bloccare la
produzione di qualsiasi arma o altro strumento di guerra;
- la liberazione di tutti i prigionieri di guerra e degli internati;
- la consegna dei criminali di guerra.
È autentico questo memorandum? Si sostiene che sia
stato fatto trapelare a Trohan dall'Ammiraglio William D. Leahy, Capo
del Gabinetto del presidente (si
veda: M. Rothbard in A. Goddard, ed. Harry Elmer Barnes: "Il crociato
erudito" [Learned
Crusader] [1968], pagg. 327 e segg.). Lo storico Harry Elmer
Barnes ha dichiarato
(in: "Hiroshima: assalto ad un nemico battuto" [Hiroshima: Assault on a
Beaten Foe], National
Review, 10 maggio 1958):
L'autenticità
dell'articolo di Trohan non fu mai
contestata dalla Casa Bianca
o dal Dipartimento di
Stato, e per buonissime
ragioni. Dopo il ritorno
del generale MacArthur dalla
Corea nel 1951, il
suo vicino alle Torri
Waldorf, l'ex presidente
Hoover portò
l'articolo di Trohan al generale
MacArthur e quest'ultimo
confermò la sua accura-
tezza in ogni dettaglio e
senza riserve.
Nell'aprile e nel maggio del 1945 il Giappone fece tre
tentativi, tramite i neutrali Svezia e Portogallo, di portare la guerra
ad una fine pacifica.
Il 7 aprile, il Ministro degli Esteri Mandatario Mamoru Shigemitsu si
incontrò con
l'ambasciatore svedese Widon Bagge a Tokyo, chiedendogli di
"assicurarsi quali condizioni per la
pace avessero in mente gli USA e la Gran Bretagna". Ma
sottolineò che la
resa incondizionata era inaccettabile e che "l'imperatore non deve
essere toccato". Bagge
riferì il messaggio agli Stati Uniti, ma il Segretario di Stato
Stettinius disse
all'ambasciatore USA in Svezia di "non mostrarsi interessato né
prendere iniziative atte
a sviluppare la questione". Iniziative simili del Giappone
tramite il Portogallo
il 7 maggio e di nuovo tramite la Svezia il 10 si dimostrarono
ugualmente inutili.
Nella prima metà del mese di giugno sei membri del
Consiglio Supremo di Guerra del Giappone incaricarono segretamente il
Ministro degli Esteri Shigenori
Togo di prendere contatto con i leader della Russia sovietica "con
l'intento di portare
a termine la guerra se possibile entro settembre". Il 22 giugno
l'Imperatore
convocò una riunione che includeva il Primo Ministro, il
Ministro degli Esteri e i principali
comandanti militari. "Ne abbiamo sentite abbastanza della
vostra determinazione di
combattere fino all'ultimo soldato", disse l'Imperatore Hirohito.
"Desideriamo che voi,
leader del Giappone, vi sforziate ora di trovare i modi e i mezzi per
portare a conclusione la
guerra. Così facendo, cercate di non essere costretti
dalle decisioni che avete
preso in passato".
Ai primi di luglio gli USA avevano intercettato messaggi d Togo
indirizzati all'ambasciatore giapponese a Mosca, Naotake Sato, a
dimostrazione che
lo stesso Imperatore stava prendendosi cura personalmente del tentativo
di
giungere alla pace e che aveva dato istruzioni che si chiedesse
all'Unione Sovietica di fornire
il suo aiuto per far terminare la guerra. Gli ufficiali USA
sapevano anche che
l'ostacolo più forte per la fine della guerra era l'insistenza
americana sulla "resa
incondizionata". I giapponesi erano disposti ad accettare quasi
tutto tranne a rinunciare
al loro imperatore semidivino. [...] I giapponesi in particolare
temevano che gli
americani avrebbero umiliato l'Imperatore, o che l'avrebbero persino
condannato a morte
come criminale di guerra.
Il 12 luglio Hirohito convocò Fumimaro Konoye, che era
stato Primo Ministro nel 1940-41. Spiegando che "sarà
necessario terminare la
guerra senza indugio", l'Imperatore disse che sperava che Konoye
avrebbe potuto assicurare la pace con gli
americani e i britannici tramite i sovietici. Come ricordò
in seguito il
principe Konoye, l'Imperatore lo istruì ad "assicurare la pace a
qualsiasi prezzo, per quanto oneroso".
Il giorno seguente, il 13 luglio, il Ministro degli Esteri
Shigenori Togo inviò un cablogramma all'ambasciatore Naotake
Sato a Mosca: "Incontratevi con
[il ministro degli esteri sovietico] Molotov prima della partenza per
Potsdam ...
Comunicategli il forte desiderio di Sua Maestà di garantire la
fine della guerra ... La
resa incondizionata è il solo ostacolo alla pace...".
Il 17 luglio un altro messaggio giapponese intercettato
rivelò che per quanto i leader giapponesi ritenessero che la
formula della resa incondizionata
comportasse un disonore inaccettabile, erano convinti che "la
situazione esigeva" la mediazione
sovietica per la fine della guerra come assolutamente essenziale.
Ulteriori
messaggi diplomatici indicano come la sola condizione che i giapponesi
chiedevano fosse la
conservazione della "nostra forma di governo". Il solo "punto
difficile", rivela un messaggio
del 25 luglio, "è ... la formalità della resa
incondizionata".
Riassumendo i messaggi tra Togo e Sato, i servizi segreti della
marina degli USA dicevano che i leader giapponesi, "nonostante ancora
s'impuntino sul
termine di resa incondizionata", riconoscevano che la guerra era persa
e che erano
giunti al punto in cui "non avevano obiezioni alla restaurazione della
pace sulla base del
Capitolo Atlantico [del 1941]". Questi messaggi, disse il
Segretario Assistente alla
Marina Militare Lewis Strauss, "vincolavano in effetti solo alla
conservazione
dell'integrità della famiglia reale giapponese".
Il Segretario della Marina Militare James Forrestal
chiamò i messaggi intercettati "prova autentica del desiderio
giapponese di uscire dalla
guerra". "Con l'intercettazione di questi messaggi", scrive lo
storico Alperovitz
(pag. 177), "non ci poteva essere più alcun dubbio sulle
intenzioni giapponesi; le
operazioni erano palesi ed esplicite e, soprattutto, erano atti
ufficiali. Koichi Kido, Alto
Consigliere Speciale e stretto consulente dell'Imperatore,
affermò in seguito: "La
nostra decisione di cercare un modo di uscire dalla guerra fu presa a
metà giugno prima che
fosse sganciata qualsiasi bomba atomica e [quando] la Russia non aveva
ancora fatto il suo
ingresso nella guerra. Era già la nostra decisione".
Ciononostante il 26 luglio i leader degli Stati uniti e della
[Gran] Bretagna emisero la dichiarazione di Potsdam che includeva
questo bieco ultimatum:
"Richiediamo al governo giapponese di proclamare adesso la resa
incondizionata di tutte le
forze armate e di garantire ogni assicurazione appropriata ed adeguata
di buona fede in
tale azione. L'alternativa per il Giappone è la pronta e
completa
distruzione.".
A commento di questo proclama draconiano o-questo-o-quello, lo
storico britannico J. F. C. Fuller ha scritto: "Non fu pronunciata una
parola a proposito
dell'Imperatore, perché sarebbe stato inaccettabile per le masse
americane nutrite di
propaganda" ("Una storia militare del mondo occidentale" [A Military
History of the Western
World] [1987], pag. 675).
I leader americani capivano la situazione disperata del
Giappone: i giapponesi erano intenzionati a concludere la guerra a
qualsiasi condizione, fintanto
che l'Imperatore non sarebbe stato molestato. Se i vertici degli
USA non avessero
insistito sulla resa incondizionata, cioè se avessero
specificato chiaramente la loro
buona volontà che all'Imperatore si sarebbe permesso di rimanere
al suo posto, i
giapponesi con ogni probabilità si sarebbero arresi
immediatamente, risparmiando
così molte migliaia di vite.
La triste ironia è che, come in realtà accadde, i
leader americani decisero lo stesso di mantenere l'Imperatore come un
simbolo di autorità e di continuità. Compresero,
correttamente, che Hirohito era utile come personalità di
prestigio a sostegno della loro stessa sovranità di occupazione
nel Giappone del dopoguerra.
Il Presidente Truman si affrettò a difendere il suo uso
della bomba atomica sostenendo che "ha salvato milioni di vite"
portando ad una rapida fine della guerra. Per giustificare la sua
decisione
arrivò a dichiarare: "Il mondo noterà che la prima bomba
atomica è stata sganciata su Hiroshima, una base militare.
Questo
perché era nostro desiderio in questo primo attacco di evitare,
per quanto possibile, l'uccisione di civili".
Questa dichiarazione è completamente assurda.
Infatti quasi tutte le vittime erano civili e la "Analisi dei
Bombardamenti Strategici" degli Stati Uniti (pubblicato nel 1946)
dichiarava nel suo
rapporto ufficiale: "Hiroshima e Nagasaki furono scelte come obiettivi
per la loro concentrazione di attività [produttive,
NdT] e di abitanti".
Se la bomba atomica era stata sganciata per fare colpo sui
leader giapponesi con l'immenso potere distruttivo di una nuova arma,
questo avrebbe potuto essere stato ottenuto usandola su una base
militare isolata. Non era necessario distruggere una grande
città. E qualsiasi giustificazione avesse potuto esserci
per l'esplosione su
Hiroshima, è molto più difficile difendere il secondo
bombardamento [, quello] di Nagasaki.
Ciononostante la maggior parte degli americani ha accettato, e
continua ad accettare, la giustificazione ufficiale dei
bombardamenti. Abituati alla grezza rappresentazione
propagandistica dei "giappi" come
delle bestie virtualmente subumane, la maggior parte degli americani
nel 1945 diede di cuore il benvenuto alla nuova arma che
avrebbe spazzato via ancora di più degli odiati asiatici, e che
avrebbe aiutato a vendicarsi dell'attacco giapponese di Perl
Harbor. Per i giovani americani che stavano combattendo i
giapponesi in scontri cruenti l'attitudine era quella del "Grazie a Dio
per la bomba
atomica". Quasi come un sol uomo mostrarono gratitudine per
un'arma il cui impiego sembrava porre fine alla guerra e permettergli
di ritornare a casa.
Dopo la tempesta di fuoco che distrusse nel luglio 1943 Amburgo,
l'olocausto di metà febbraio 1945 di Dresda e i bombardamenti
incendiari di Tokyo e di altre città giapponesi, i leader
americani, come commentò più tardi il Generale
dell'Esercito Leslie Groves, "erano generalmente avvezzi alle uccisioni
di massa dei civili".
Per il Presidente Harry Truman l'uccisione di decine [centinaia, NdT]
di migliaia di civili giapponesi semplicemente non era da prendersi in
considerazione
nella decisione di usare la bomba atomica.
I leader americani che occupavano una posizione tale da
conoscere i fatti non credevano, né all'epoca dei fatti
né in seguito, che il bombardamento atomico fosse necessario per
finire la guerra.
Quando fu informato a metà luglio del 1945 dal Segretario
di Stato Henry L. Stimson della decisione di usare la bomba atomica, il
Generale Dwight Eisenhower ne fu profondamente turbato. Rese note
le sue forti riserve sull'uso della nuova arma nel suo memoriale del
1963, "Gli anni della Casa Bianca: un incarico per il cambiamento,
1953-56" [The White House Years: Mandate for Change, 1953-56] (pagg.
312-313):
Durante la sua [di Stimson] esposizione dei fatti
rilevanti ero conscio di una sensazione di depres-
sione e così gli espressi i miei gravi dubbi,
innanzitutto per la mia convinzione che il
Giappone fosse già sconfitto e che sganciare
la
bomba fosse completamente inutile, in secondo
luogo perché pensavo che il nostro paese
avrebbe
dovuto evitare di scioccare l'opinione pubblica
mondiale usando un'arma il cui impiego era, per
me, non più obbligatorio come strategia per la
salvaguardia di vite americane. Era mia
convinzione che il Giappone stesse, proprio in
quel momento, cercando qualche modo di arrendersi
con il minimo danno d'immagine."
"I Giapponesi erano pronti alla resa e non era necessario
colpirli con quell'arnese orrendo ... Ho odiato vedere il nostro paese
essere il primo ad usare una tale arma", disse Eisenhower nel 1963.
Poco dopo il "giorno del V-J", la fine della guerra nel
Pacifico, il Generale di Brigata Bonnie Fellers riassunse in una nota
per il Generale MacArthur: "Né il bombardamento atomico,
né
l'ingresso dell'Unione Sovietica nel conflitto hanno obbligato il
Giappone alla resa incondizionata. Era già sconfitto prima
ancora che
uno qualsiasi di questi eventi si materializzasse".
Analogamente l'Ammiraglio Leahy, Capo del Gabinetto del
Presidente Roosevelt e Truman, commentò in seguito:
È mia opinione che l'uso dell'arma barbarica
su
Hiroshima e Nagasaki non fu di reale aiuto nella
nostra guerra contro il Giappone ... I giapponesi
erano già sconfitti e pronti alla resa a causa
dell'efficace blocco marittimo e del successo
della campagna di bombardamento con armi conven-
zionali ... La mia sensazione era che nell'averla
impiegata per primi abbiamo adottato uno
standard etico in comune con quello dei barbari
dei secoli bui. Non mi era stato insegnato a
fare la guerra in quel modo, e le guerre non
possono essere vinte distruggendo donne e
bambini.
Se gli Stati Uniti avessero voluto attendere, disse l'Ammiraglio
Ernest King, Capo delle Operazioni Navali degli USA, "l'efficacia del
blocco navale avrebbe, con il tempo, affamato i Giapponesi fino a
ridurli alla sottomissione per la mancanza di petrolio, riso, medicine
e altri beni essenziali".
Leo Szilard, uno scienziato nato in Ungheria che ricoprì
un ruolo di primo piano nello sviluppo della bomba atomica, si espresse
contro il suo uso. "Il Giappone era in effetti sconfitto" disse,
e "sarebbe un errore attaccare le sue città con le bombe
atomiche come se le bombe atomiche fossero soltanto un'altra arma
militare". In un articolo pubblicato in una rivista nel 1960
Szilard scrisse: "Se i tedeschi avessero sganciato bombe atomiche su
delle città
invece che noi, avremmo definito l'impiego delle bombe atomiche sulle
città un crimine di guerra e avremmo condannato i tedeschi
responsabili di questo crimine a morte a Norimberga e li avremmo
impiccati".
Dopo aver studiato la questione in ogni dettaglio, la "Analisi
dei Bombardamenti Strategici degli USA" respinse la nozione che il
Giappone gettò la spugna a causa dei bombardamenti
atomici. Nel suo autorevole rapporto del 1946 l'Analisi concluse:
Le bombe di Hiroshima e Nagasaki non hanno
sconfitto il Giappone, né, su testimonianza
dei
leader nemici che hanno portato a conclusione la
guerra, hanno persuaso il Giappone ad accettare
la resa incondizionata. L'Imperatore, l'Alto
Consigliere Speciale, il Primo Ministro, il
Ministro degli Esteri e il Ministro della
Marina Militare avevano deciso già nel maggio
del 1945 che la guerra dovesse essere portata a
termine anche se ciò avesse comportato
l'accettazione della sconfitta alle condizioni
degli alleati ...
La missione del governo Suzuki, nominato il 7
aprile del 1945, era di firmare la pace. Fu
mantenuta una parvenza di negoziazione per
poter ottenere condizioni meno onerose della
resa incondizionata per trattenere i [vertici]
militari e elementi dell'apparato burocratico
ancora determinati ad una finale difesa Bushido
e, forse ancora più importante, per ottenere
la
libertà di creare una pace che comportasse il
minore pericolo personale e contrarietà
interna. Sembra chiaro, tuttavia, che in
extremis il partito della pace avrebbe avuto la
pace, e la pace a qualsiasi condizione. Questo
era il succo delle indicazioni fatte avere da
Hirohito allo Jushin a febbraio, la conclusione
dichiarata di Kido ad aprile, la ragione
sostanziale del tramonto di Kido ad aprile, l'
ingiunzione speciale dell'Imperatore a Suzuki
alla sua investitura a primo ministro che era
ben nota a tutti i membri del gabinetto ...
I negoziati per l'intercessione della Russia
iniziarono ai primi di maggio 1945 tanto a Tokyo
quanto a Mosca. Konoye, indicato come emissario
presso i sovietici, ha dichiarato all'Analisi
che mentre doveva mostrarsi palesemente attivo
nel negoziato, aveva ricevuto istruzioni dirette
e segrete dall'Imperatore di assicurarsi la pace
a qualsiasi costo, per quanto gravoso.
Sembra chiaro che la supremazia aerea e il suo
successivo sfruttamento sul territorio giapponese
sia stato il fattore principale che determinò
la
tempistica della resa giapponese e che ovviasse
a qualsiasi necessità di un'invasione.
Sulla base di un'investigazione dettagliata di
tutti i fatti e con il sostegno delle
testimonianze dei leader giapponesi coinvolti
sopravvissuti, è opinione dell'Analisi che il
Giappone si sarebbe arreso certamente prima del
31 dicembre 1945 e con ogni probabilità prima
del novembre 1945 [la data pianificata per l'
invasione americana], anche se le bombe
atomiche non fossero state sganciate, anche se
la Russia non fosse entrata in guerra e anche
se non fosse stata pianificata o contemplata
alcuna invasione.
In uno studio del 1986 lo storico e giornalista Edwin P. Hoyt
inchiodò il "grande mito, perpetuato da gente benintenzionata in
tutto il mondo, che la bomba atomica abbia causato la resa del
Giappone". In: "La guerra del Giappone: il grande conflitto del
Pacifico" [Japan's War: The Great Pacific Conflict] (pag. 420)
spiegò:
Il fatto è che per quanto riguardava i
militaristi giapponesi la bomba atomica era
soltanto un'altra arma. Le due bombe atomiche
di
Hiroshima e Nagasaki erano la glassa sulla torta,
e non fecero più danno di quanto fecero i
bombardamenti incendiari sulle città
giapponesi.
La campagna di bombardamento incendiario con i
B-29 aveva provocato la distruzione di 3.100.000
abitazioni e lasciato 15 milioni di persone senza
tetto, uccidendone circa un milione. Era la
spietatezza dei bombardamenti incendiari e la
presa di coscienza di Hirohito che se necessario
gli alleati avrebbero distrutto completamente il
Giappone e ucciso ogni giapponese per ottenere la
"resa incondizionata" che lo persuase a prendere
la decisione di far finire la guerra. La bomba
atomica è invero un'arma spaventosa, ma non fu
la causa della resa giapponese, per quanto questo
mito persista ancora oggi.
In un libro incisivo, "La decisione di
sganciare la bomba atomica" [The Decision to Drop the Atomic Bomb]
(Praeger, 1996), lo storico Dennis D. Wainstock concluse che i
bombardamenti
fossero non solo non necessari, ma che erano il frutto di una politica
di vendetta che alla fine danneggiò gli interessi
americani. Scrive (pagg. 124, 132):
Tempo l'aprile del 1945 i leader giapponesi
compresero che la guerra era persa. Il loro
principale ostacolo alla resa era l'insistenza
degli Stati Uniti sulla resa incondizionata.
Avevano in particolare bisogno di sapere se gli
Stati Uniti avrebbero permesso a Hirohito di
rimanere sul trono. Temevano che gli Stati
Uniti
l'avrebbero deposto, processato come criminale di
guerra o persino messo a morte ...
La resa incondizionata era una politica di
vendetta, e colpì gli stessi interessi
nazionali
americani. Prolungò la guerra tanto in
Europa
che in Asia e aiutò l'espansione del potere
sovietico in queste aree.
Il Generale Douglas MacArthur, Comandante delle Forze
dell'Esercito degli USA nel Pacifico, dichiarò in numerose
occasioni prima della sua morte che la bomba atomica era stata
completamente inutile da
un punto di vista militare: "Il mio staff era unanime nel ritenere che
il Giappone fosse sul punto di collassare e di arrendersi".
Il Generale Curtis LeMay, che era stato un pioniere dei
bombardamenti di precisione sulla Germania e sul Giappone (e che
più tardi comandò il Comando Aereo Strategico e
ricoprì il ruolo di
Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare), si espresse
più succintamente: "La bomba atomica non ebbe nulla a che fare
con la fine
della guerra".
___________________________________________________
Da: "The Journal of Historical
Review", maggio-giugno 1997 (volume 16,
n° 3), pagg. 4-11.
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