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originariamente inviato:
Data: Dom, 28 Mag 2006 23:52:38 +0200
Da: Alessandro Selli
Newsgroups: it.cultura.religioni.buddhismo
Oggetto: Un arahant non e` un "superman" dei miracoli
ID-Messaggio: <sZoeg.169$xj6.316@news.it.colt.net>
In quel pozzo di sorprese che è il Samyutta
Nikāya ho trovato un sutta
che reputo molto istruttivo e idoneo a quei sognatori che cercano nei
volgarmente detti "illuminati" quel genere di superuomo iperpotente,
capace e volente di ogni fenomeno sovrannaturale che possa arrivare a
dominare e a dirigere il mondo secondo il suo volere. Un
atteggiamento
considerevolmente fuori sintonia con lo scopo dell'ascesi buddhista -
l'accettazione del mondo per quello che è per poterlo
trascendere, non
per cambiarlo, e l'abbandono di ogni identificazione egoica al posto
dell'esaltazione del sé. Uno scopo esecrabile, la
coltivazione del
quale fa bollare l'asceta Susīma quale "ladro" da parte del
Tathāgatha. Il sutta è il "Susīma", il numero 70 della
seconda parte: Nidāna-vagga
(sezione delle condizioni), capitolo VII - Mahāvagga (il capitolo
lungo). È presente nella traduzione di Vincenzo Talamo
edita dalla
Astrolabio Ubaldini dalla pagina 252 alla pagina 257. Considerata
la
sua lunghezza e le numerose ripetizioni ed elenchi ossessivamente
dettagliati nonostante le cesure del traduttore, ne fornirò un
riassunto
che è una redazione personale del testo originale.
Mentre il Sublime era nel parco di Veḷuvana, il benessere di cui
godevano i suoi monaci grazie alla benevolenza che si erano guadagnati
presso i laici che avevano scelto di prendersi cura di loro, aveva
destato l'invidia di un gruppo di asceti itineranti di altra scuola che
non godevano di altrettanto abbondanti offerte e benevolenza. Un
giorno
questi asceti itineranti si riuniscono e decidono di mandare uno di
loro, Susīma, a praticare presso l'asceta Gotama perché possa
apprenderne la dottrina che avrebbe quindi insegnato a quegli asceti
itineranti. Questi, appresala, avrebbero allora potuto andare
presso i
capofamiglia dei villaggi a proporre quella stessa dottrina ricavandone
la stessa devozione, benevolenza e ricche offerte ch'erano elargite ai
bhikkhu del Sublime.
Susīma si reca dal Sublime e ne ottiene il noviziato.
Nella stessa
circostanza alcuni bhikkhu si recano dal Sublime per manifestargli il
loro conseguimento della suprema conoscenza con la classica espressione:
13. "È
distrutta la rinascita, è compiuta la vita pura, è stato
fatto quel che doveva esser fatto, non ci sarà qui un'altra
esistenza; così abbiamo noi realizzato".
Susīma allora va da quegli esseri realizzati e, ottenutane
conferma
che abbiano veramente inteso manifestare al Sublime il loro
conseguimento della suprema conoscenza, pone loro la domanda:
17. "Allora
voi, venerabili, mediante questa conoscenza, mediante questa visione
avete conseguito i vari e multiformi poteri psichici?"
(i poteri psichici cui Susīma fa riferimento sono elencati nel potere
dell'apparire come molteplici individui, l'apparire e lo sparire
attraverso muri ed ostacoli, l'immergersi della terra come nell'acqua,
il camminare sull'acqua come sulla terra, il volare nell'aria come
uccelli, il raggiungere con la mano il sole e la luna e il disporre del
proprio corpo fino al mondo di Brahmā.) Gli arahant ripondono a
Susīma di no. Susīma continua allora chiedendo se grazie al loro
conseguimento della
suprema conoscenza abbiano ottenuto altri poteri:
- la capacità di sentire ogni suono,
vicino e lontano, umano o divino;
- la capacità di conoscere le
qualità emotive, intellettuali e morali e il grado di
comprensione della conoscenza delle altre persone;
- la capacità di ricordare le vite
passate e le passate ere del mondo;
- la capacità di vedere con l'occhio
divino le vicissitudini e le rinascite di ogni essere del mondo;
- la capacità, ancora nel corpo, di
liberarsi dalla forma giungendo nel non-forma.
A tutte queste domande gli arahant
rispondono sempre negativamente.
Susīma sembra allora avere un motto d'irritazione nel quale rimprovera
agli arahant il loro dirsi dotati della suprema conoscenza quando
però
non possiedono nessuno di tali poteri. Il dialogo di Susīma con
gli
arahant termina con questa loro dichiarazione:
27. "Amico
Susīma, che tu comprenda o non comprenda noi, in verità, siamo
liberi mediante la conoscenza".
Susīma allora si reca direttamente dal Sublime e gli racconta dello
scambio che ha appena avuto con i nobili bhikkhu realizzati. Il
Tathāgatha conferma quanto hanno risposto gli arahant:
32. "Susīma,
che tu comprenda o che non comprenda prima viene la conoscenza basata
sulla Dottrina e dopo la conoscenza nell'estinzione. Che cosa
pensi, Susīma: la forma è permanente o impermanente?"
Comincia così un'esposizione di tutta la dottrina della
genesi
condizionata, più dettagliata che nella gran parte degli altri
sutta e
intervallata da frequenti domande rivolte a Susīma per spingerlo alla
verifica personale di ciascun passo della catena perché possa
giungere
ogni volta alla stessa conclusione del Sublime:
38. "Pertanto,
Susīma, qualunque forma [sensazione, percezione ecc.] passata, futura o
presente, interna o esterna, grossolana o sottile, volgare o nobile,
lontana o vicina, ogni forma così dev' essere considerata
secondo realtà con retta comprensione: 'Questo non è mio,
questo non sono io, questo non è il mio Sé'".
Continua quindi il Sublime elencando i benefici che si ottengono dal
distacco da tutti tali elementi della genesi condizionata:
43. "Vedi tu,
Susīma, che dalla nascita dipendono invecchiamento e morte?"
"Si, signore".
44. "Vedi tu, Susīma, che dall'esistenza dipende la nascita?".
"Si, signore".
47. "Vedi tu, Susīma, che dall'ignoranza dipendono i saṅkhāra?".
"Si, signore".
48-50. "Vedi tu, Susīma, che dissolvendosi la nascita si dissolvono
invecchiamento e morte [...] che dissolvendosi l'ignoranza si
dissolvono i saṅkhāra?".
"Si, signore".
E qui giunge al punto:
51. "Allora tu,
Susīma, mediante questa conoscenza, mediante questa visione hai
conseguito i vari e multiformi poteri psichici [...] e fin nel mondo di
Brahmā disponi del tuo corpo?".
"Questo no, signore".
E così via per ciascuno dei poteri elencati in
alto. Per ognuno
di questi Susīma, avendo compreso cosa sia la liberazione insegnata dal
Sublime, riconosce che il conseguimento della suprema conoscenza non
conduce al loro ottenimento. E il Sublime rivolge quindi a Susīma
le
stesse parole che questi aveva indirizzato agli arahant per esprimere
la propria incredulità circa l'autenticità del loro
conseguimento.
58. Allora il
venerabile Susīma chinò il capo ai piedi del Sublime e
così disse: "Signore, sono incorso in fallo come uno stolto,
come uno sviato, come un inesperto! Io che ho intrapreso l'ascetismo in
questa ben esposta Dottrina-Disciplina secondo lo spirito della
Dottrina! Voglia il Sublime accettare il riconoscimento del mio fallo
con la promessa di raffrenarmi in avvenire".
(l'ultima frase mi sembra essere uguale a quella che nella tradizione
theravada è entrata a far parte dei canti rituali della sera:
Kāyena vācāya
va cetasā va Buddhe kukammam pakatam mayā yam Buddho paṭiggaṇhatu
accayantaṃ Kālantare saṃvarituṃ va buddhe
Il corpo, la
parola o la mente, Per i quali abbia commesso quale colpa nei confronti
del Buddha, Che il riconoscimento del mio fallo possa essere accettato,
Che in futuro ci si raffreni nei confronti del Buddha.)
E il Buddha a questo punto espone a Susīma la similitudine del
ladro
colto in flagrante che viene condannato dal re ad essere portato,
legato
e rasato, per le strade e le piazze della città per poi esserne
condotto
fuori della porta meridionale alla decapitazione.
61. "Che cosa
pensi, Susīma: quell'uomo non sentirebbe per questo pena e dolore?".
"Certo, signore".
62. "E se quell'uomo, o Susīma, sentisse per questo pena e dolore, a
chi non arrecherebbe un maggiore dolore, una maggiore pena, una
maggiore rovina l'avere in siffatto modo intrapreso l'ascetismo in
questa ben esposta Dottrina-Disciplina? [2]
63. "Pertanto tu, Susīma, avendo riconosciuto il tuo fallo, ne fai
ammenda secondo la Dottrina; noi accettiamo il riconoscimento del tuo
fallo. Questo infatti, Susīma, è un progredire del nobile nella
Disciplina: il fatto di riconoscere un proprio fallo, di farne ammenda
secondo la Dottrina e di raffrenarsi in futuro".
Nota del testo:
2) Susīma era entrato nell'Ordine alla maniera di
un ladro, mosso cioè dall'unico intento di conseguire i poteri
psichici supernormali per guadagnarsi l'ammirazione e la stima dei
laici; intento meschino di cui si pente quando il Buddha gli fa
comprendere che la liberazione mediante la conoscenza è il
massimo bene che non ha niente a che fare con i poteri psichici.
Così ben esposto, non c'è nulla da aggiungere.
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