amalric ha scritto:
> Spiacente. Abbiamo gia' pubblicato ieri, e il silenzio che ne' e'
> seguito, pare tanto di riprovazione, se non di ignoranza
dell'inglese.
Potrebbe anche essere qualcos'altro, non credi?
Da parte mia mi volevo astenere, per ovvie ragioni, dal
commentare il
fatto in quanto relativo all'ambiente mahâyana. Ma notando come
lo stesso, più o
meno, stia accadendo anche nei paesi theravâda, potrei arrischiare di
esprimermi riguardo questi ultimi dal mio punto di vista, ossia quello
di
una persona che non vive in quei luoghi e in quella cultura.
Premetto che, dal mio punto di vista, il calo d'interesse per il
monachesimo non è in sé un male. Se un male c'è, questo va cercato in
altre cose.
Il monachesimo, come un po' tutta la vita e la cultura nello stile
antico che s'è condotta nel mondo fino a non tanto tempo fa, ha fatto
il
suo tempo. Come pure la vuota ritualistica che l'accompagna.
Noto come nell'
articolo
si parli di
«riavvicinare i
cittadini [...]
alla
religione», di
«esibizione
con canti buddisti adattati a musiche più
moderne», di
«mostrare ai
giovani di oggi che il Buddismo è davvero
attraente», di
«bisogno di
avvicinarsi alle persone [...] pensiamo che
sia
giusto andare incontro ai bisogni e ai desideri della gente», di
«riavvicinare le giovani generazioni»,
di
"progressismo",
«riconquistare i
fedeli» e
«di dare alle
persone la possibilità di parlare liberamente
dei
loro problemi». Bene: questo vuol dire che il buddhismo è
morto. Dico
questo perché, da tanto che ho letto, risulta ormai inutile allo scopo
che
ne giustifica l'esistenza.
Qual'è questo scopo? Liberarsi dal dolore, abbandonare
l'imperfezione
congenita al mondo, all'esistente, alla vita. Infatti di tutto
ciò non
si
fa cenno nell'articolo. Nessun monaco sembra accorgersi che il
loro
buddhismo è spoglio di tutto questo, ma che era solamente per questo
che
il Buddha Sakyamuni aveva fondato il Sangha e i suoi più eminenti
discepoli avevano scelto la vita ascetica sotto la sua guida.
Già, la vita ascetica. Leggere che
«i monaci più progressisti hanno
ideato numerose iniziative che contrastano con la visione tradizionale
ascetica» mi fa ridere, ma per nulla divertito. Tradizione
ascetica? Ma
de
che? Ma chi li ha mai visti gli asceti buddhisti, dove
sarebbero? A
Tokyo? A Bangkok? A Singapore? A Roma, a Frasso
Sabino? <gh>
All'ascetismo non credono più, e da diverso tempo, i monaci
stessi. E
quindi non possono credere al frutto e al vantaggio che questo stile di
vita i testi e i resoconti delle vite dei grandi saggi e asceti del
passato
garantiscono a chi lo persegue. E tanto meno possono mostrarne
quindi i
frutti.
Ormai i monaci non sono più asceti. Vivono vite da privilegiati,
ma
vite prive di significato. Non destano ammirazione e devozione in
vista
della liberazione e del conforto dal dolore, non mostrano traccia di
libertà dal più basso del mondano nei loro corpi e nelle loro azioni e
parole. Piuttosto destano l'invidia per un privilegio che non si
accompagna però ad una vita morigerata ma ricca, preziosa, capace
d'ispirare. Sono sentiti, come li sento spesso apertamente
bollare, dei
parassiti. Sedicenti asceti, ma con un tenore di vita che sempre
più
uomini di casa e lavoratori non riescono ad uguagliare né a garantire
alla
propria famiglia. Il tutto dovrebbe essere giustificato da frutti
della
pratica e dell'ascesi che non si vedono.
Quello che sta succedendo è l'ovvia conseguenza.
E come intendono risolvere il problema i "nobili" signori
monaci?
Facendo le passerelle di moda. Aprendo bar, palestre, discoteche
e
villaggi turistici. Giustificando e ulteriormente rafforzando lo
stile
di
vita e i valori che i loro testi dicono fonte di quella dukkha da cui
loro
dovrebbero imparare a liberarsi. E quindi rafforzano nei laici
l'idea
che, per quanto coloriti, buffi, divertenti e forse, per un pochino di
tempo, alla moda, i monaci, il loro stile di vita e, per estensione,
tutta
la dottrina che rappresentano non siano che falsità, inganni e vuote
parole per gli allocchi.
I monaci sono diventati cronicamente incapaci di offrire ai
laici
quello
di cui hanno bisogno, e ciò per giunta in un'epoca in cui ce n'è un
forte
e tragico bisogno. Un metodo di autodifesa, una disciplina, una
vita e
una comunità che permetta di difendersi dalla solitudine, dalla paura,
dalla depressione, dall'angoscia, dalla frustrazione, dalla sensazione
d'impotenza e di non contare nulla. Tutte quelle storture mentali
che
sfociano nella ricerca ossessiva e compulsiva del possesso, nella
frenesia
e nel malumore e malvivere che affligge ormai ogni popolo intorno al
mondo.
Continuerà ad andare avanti così, con il buddhismo che
diventerà, come
le altre religioni, sempre più una mera occasione di fare spettacolo e
business, fino a che comparirà di nuovo un Buddha che inizi tutto da
capo.
E se non verrà, vorrà dire che era veramente tutto una pagliacciata e
un'illusione sin dall'inizio, cosa che io non credo.
Che ci si godano le passerelle, le storie mitologiche, i
pantheon
animisti, il misticismo, il folklore antico, la magia e l'astrologia,
le
danze, i templi barocchi d'oro, gioielli e dipinti e i monaci con i
loro
costumi e le musiche che accompagnano i riti: i turisti pagheranno per
un
bel posto in poltrona.
Ma per questo bastano poche decine o centinaia di attori e
intrattenitori professionisti. Non vale la pena nutrire
inutilmente un
esercito di fannulloni rapati a zero.
Ciao,
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