Traduzione di Alessandro Selli di un brano tratto da: "The Dhammapada - Verses & Stories", edito da: Burma Piṭaka Association, Rangoon, Burma, 2529 (1986), capitolo III, pagg. 167, 168.
Verso 35
III (2) La storia di un certo bhikkhu
Mentre risiedeva al monastero di Jetavana, Il Buddha pronunciò il verso (35) di questo libro a proposito di un certo bhikkhu.
In una certa occasione sessanta bhikkhu, dopo aver ottenuto un soggetto su cui meditare dal Buddha, andarono al villaggio di Mātika, ai piedi di una montagna. Colà Mātikamātā, madre del capovillaggio, offriva loro cibo in elemosina; costruì pure un monastero per loro, così che potessero restare nel villaggio durante la stagione delle piogge. Un giorno chiese ad un gruppo di bhikkhu di insegnarle la pratica della meditazione. Le insegnarono come meditare sui trentadue costituenti del corpo così da condursi alla consapevolezza della decadenza e della dissoluzione del corpo. Mātikamātā praticò con diligenza e conseguì i tre magga e phala ['sentiero' e 'frutto', ossia "frutto del(la coltivazione del) sentiero"] insieme all'introspezione analitica e i poteri sovranormali, ancora prima che vi riuscissero i bhikkhu.
Sorgendo dalla beatitudine del magga e phala, osservò [quanti le erano d'intorno] con la visione dell'occhio divino [Dibbacakkhu] e vide che i bhikkhu non avevano ancora conseguito nessuno dei magga. Apprese anche che quei bhikkhu avevano sufficiente potenzialità per il conseguimento dello stato di arahat, ma che avevano bisogno del cibo adeguato. E così preparò loro cibo buono e selezionato. Grazie al cibo appropriato e al retto sforzo i bhikkhu svilupparono retta concentrazione ed infine conseguirono lo stato di arahat.
Alla fine della stagione delle piogge i bhikkhu tornarono al monastero Jetavana, dove il risiedeva il Buddha. Riferirono al Buddha di essere stati tutti in buona salute e di essersi ritrovati in circostanze confortevoli e che non avevano dovuto preoccuparsi del cibo. Parlarono anche di Mātikamātā, di come fosse consapevole dei loro pensieri e di come preparasse ed offrisse loro proprio il cibo che desideravano.
Un certo bhikkhu, sentendoli parlare di Mātikamātā, decise che anche lui sarebbe andato in quel villaggio. E così, ricevuto un soggetto per la propria meditazione dal Buddha, arrivò al monastero del villaggio. Là trovò che ogni cosa che desiderava gli era fatta avere da Mātikamātā, la devota laica. Quando desiderava che venisse ella veniva personalmente al monastero, portando con sé del cibo scelto. Dopo aver mangiato il cibo le chiese se conoscesse i desideri degli altri, ma lei evitò la domanda rispondendo: "la gente che può leggere i pensieri degli altri si comporta in tale e tal'altra maniera". Quindi il bhikkhu si spaventò della devota laica e decise di tornare al monastero Jetavana. Disse al Buddha che non poteva restare nel villaggio di Mātika perché temeva che la devota laica potesse accorgersi della presenza di pensieri impuri nella sua mente. Il Buddha quindi gli chiese di osservare una cosa sola; ossia, di controllare la propria mente. Il Buddha disse anche al bhikkhu di tornare al villaggio di Mātika e di non pensare a null'altro oltre al proprio oggetto di meditazione. Il bhikkhu tornò indietro. La devota laica gli offrì del buon cibo così come aveva fatto con altri in precedenza, in modo da permettergli di dedicarsi alla pratica della meditazione senza preoccupazioni. Entro breve, anche lui conseguì lo stato di arahat.
A proposito di questo bhikkhu il Buddha pronunciò il verso seguente:
Verso 35. La mente è difficile da controllare; veloce e leggera, va e si ferma ovunque desideri. È bene addomesticare la mente, perché una mente ben doma arreca felicità.
Alla fine del discorso, molti dei presenti conseguirono la fruizione
di sotāpatti.
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