Originalmente inviato su: news:it.cultura.religioni.buddhismo
Data: 30/12/2008
00:42:07 +0100
Oggetto: Il Buddhismo e la guerra:  il crollo di un mito?
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Lievemente riedito.  Ultima modifica: 27 gennaio 2009

  Una nuova lettura di questi giorni m'ha riportato prepotentemente la mente a vecchie discussioni sulla violenza, e in particolar modo sulla guerra, nel buddhismo.  Ho quindi ritrovato e riletto il messaggio di RobDue http://groups.google.com/group/it.cultura.religioni.buddhismo/msg/6c89e11e35726c93 (del 8 dicembre 2005), il messaggio http://groups.google.com/group/it.cultura.religioni.buddhismo/msg/8b35546b42ec989e (del 20 dicembre 2006) e la replica di stalker: http://groups.google.com/group/it.cultura.religioni.buddhismo/msg/8e29ee6c983eae96 (uéh, sembra che il mese di dicembre sia particolarmente fecondo per questo genere di considerazioni!).

  Beh, riporto nel seguito la parte del testo che ha scatenato tanto, estratta dal libro del dott. Kanai Lal Hazra, del Dipartimento di Pāli dell'Università di Calcutta, Buddhism in Sri Lanka, edito dalla Buddhist World Press, Delhi, 2009 (così riporta, nel 2008, il libro come data della prima pubblicazione!), 300 pagine, ISBN 978-81-906388-2-1.  Dal capitolo 1, "Il buddhismo in Sri Lanka", pagine 7-9:

  Dopo la morte di Devānaṃpiya Tissa, suo fratello Uṭṭiya divenne il sovrano dell'isola.  [...] Dopo un regno di dieci anni il re morì nel 286 EB [Era Buddhista, NdT]. [...]

  Dopo la morte di Uṭṭiya gli usurpatori Tamil dall'India del sud catturarono [la capitale] Anurādhapura.  [I re Tamil] Sena e Guttika regnarono insieme per ventidue anni ed Elāra, un altro usurpatore Tamil, regnò per quarantaquattro anni44.  Durante il loro regno il buddhismo sofferse gravemente.  Duṭṭhagāmaṇi, figlio di Kīkavanna Tissa e di Vihāramahādevi di Magama, del principato sudorientale di Rohuṇa (Rohaṇa), sconfisse e uccise Elāra in battaglia e divenne il sovrano di Anurādhapura45 [rimanendolo tra gli anni 101-77 PEV, NdT].  Lui stabilì la sovranità dei re singalesi di Anurādhapura.  Regnò per ventiquattro anni.  Ricoprì un ruolo di primo piano nel progresso, sviluppo e diffusione del buddhismo nell'isola. [...]

  Fu un grande sostenitore del buddhismo.  I commentari pāli lo indicano come un sovrano pio.  Sotto il suo regno fiorirono molti monaci di grande erudizione.  Era un buddhista devoto.  Si potrebbe far notare in questa sede come fosse il più grande eroe nazionale dei primi tempi dello Sri Lanka buddhista.  «Organizzò una grande crociata per liberare il buddhismo dalla dominazione straniera.  Il suo grido di battaglia era: "Non per il regno, ma per il buddhismo!" "Pāragaṅgam gamissāmi jotetum sasanam ahaṃ"47 "rajjasukhaya vāyāmo nāyaṃ mama kadāpi ca, Sambuddhasāsanasseva thapaṅāya ayaṃ mama"48.  L'intera razza singalese fu unita sotto lo stendardo del giovane Gāmaṇi.  Questo fu l'inizio del nazionalismo tra i singalesi.  Era una nuova razza di sangue sano e giovane, organizzata sotto il nuovo ordine del buddhismo.  Una sorta di nazionalismo religioso assurto quasi a fanatismo sollevò l'intero popolo singalese.  Un non buddhista non era considerato neanche un essere umano.  Evidentemente tutti i singalesi senza eccezione erano buddhisti"49.»  Dopo la sconfitta di Elāra, Duṭṭha-Gāmaṇi si sentì dispiaciuto per la morte di molte migliaia di persone.  Otto arahant da Piyaṅgudīpa lo rassicurarono che non c'era ragione di pentimento, che solamente un essere umano e mezzo erano stati uccisi, uno che aveva preso rifugio nel Buddha, nel Dhamma e nel Sangha e un altro che aveva osservato i cinque precetti, e che gli altri erano credenti di false dottrine (micchādiṭṭi) e uomini di vita malvagia (pasusamā)50.  Gli dissero: "Ma voi illuminerete la dottrina del Buddha in diversi modi, per cui rimuovete ogni preoccupazione dalla vostra mente"51.  L'opinione religiosa ortodossa incoraggiò la gente a sviluppare le loro idee buddhiste nazionaliste.  Per la prima volta nella storia del buddhismo a monaci buddhisti fu permesso ufficialmente di immergersi nel campo degli interessi politici e mondani52.  Su richiesta di Duṭṭha-Gāmaṇi seguivano l'esercito di liberazione, "perché la vista dei bhikkhu è sia una benedizione che una protezione per noi"53.  Persino i monaci buddhisti, per il bene della religione e della nazione, lasciavano i loro incarichi [monastici] per unirsi all'esercito.  Uno dei dieci generali di Duṭṭha-Gāmaṇi, Theraputta Abhaya, era monaco buddhista, ma aveva rinunciato all'abito monastico per unirsi all'esercito.  Dopo la guerra tornò nel Saṃgha buddhista e divenne un arahant54.  Duṭṭha-Gāmaṇi aveva incastonato nella sua lancia una reliquia del Buddha55.  Per unire il suo popolo e liberare la sua patria dal giogo dello straniero il re cercò con ogni sforzo di sfruttare ogni sentimento religioso e nazionalistico delle masse56.  Sotto il suo patronato il buddhismo divenne l'orgoglio del suo popolo.


Note:
44) Buddhism in Ceylon, Its Past and Its Present (BCPP), H. R. Perera, 16
45) Ibid., 16; Buddhism in India and Abroad (BIA), A. C. Banerjee, 186
47) History of Buddhism in Ceylon, Walpola Rahula, 79, Mahāvaṃsa (Mhv), W. Geiger, XXV, 2
48) Ibid., 79; Ibid./, XXV, 17
49) Ibid., 79
50) Ibid., 79
51) Ibid., 79; Mhv, XXV, 103-111
52) Ibid., 80
53) Ibid., 80; Mhv, XXV, 2-4
54) Ibid., 80; Rasavāhinī II, 93
55) Ibid., 80; Mhv, XXV, 1
56) Ibid., 80


  Che dire?  La prima impressione è stata il tipico pensiero: "tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare".  È senz'altro facile voler abbracciare con entusiasmo una dottrina della massima civiltà, non belligeranza, pacificità e rigetto di ogni causa di sofferenza, fino a che il vivere nel mondo non porta di fronte alla scelta di restare fedeli all'insegnamento del Buddha abbandonando all'aggressione violenta senza tentare neanche un gesto di difesa la propria società, cultura, religione e vita, oppure sospendere l'adesione alla dottrina del beato il tempo che serve per "menargliene quattro".  Eppure il Buddha fu esplicito a riguardo: nel "sutta della sega" disse chiaramente che il bhikkhu ben addestrato sa sopportare il supplizio dell'essere segato in due senza mostrare rancore o odio nei confronti dei suoi aguzzini.  Di uccisioni e violenze, anche contro l'intero suo clan di provenienza e il suo secondo discepolo prediletto, ne fu testimone.  Passi che i laici prendano le armi per difendere "la religione e la patria", ma cosa pensare quando anche i monaci, monaci anziani e riveriti, detti addirittura degli arahant, giustificano senza mezzi termini la guerra e la relativa uccisione ed esprimono con parole di sprezzo la nullità del valore della vita dei nemici?


  Buona notte,



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