Traduzione di Alessandro Selli dell'originale sito in: http://sdhammika.blogspot.com/2008/07/prosperity-dhamma.html
Tradotto nel settembre 2008
Ultima revisione: 12 gennaio 2009
Il Dhamma della prosperità
Lunedì 28 luglio 2008
Non ci sono molti campi in cui
il buddhismo arrivi anche solo vicino al successo del
cristianesimo. Ma ce n'è uno. A partire dagli anni '80 è
diventata molto popolare nelle chiese carismatiche e pentecostali una
nuova interpretazione del cristianesimo, chiamata il vangelo della
prosperità, le cui giustificazioni sono elaborate in quella che è detta
la teologia della prosperità.
Il vangelo della prosperità è
molto semplice: accetta Gesù come tuo Signore e Salvatore e diventerai
ricco, molto ricco. È una specie di versione modernizzata e
americanizzata del culto del cargo.
Per quanto non sia neanche
lontanamente tanto brillante, pratico e promosso con successo quanto la
sua versione cristiana, i theravadin hanno il loro equivalente del
vangelo della prosperità da almeno mille anni. Chi avrebbe mai
pensato che i vecchi theravada tediosi, conservatori e privi di
immaginazione sarebbero stati capaci di primeggiare in questo campo?
Sto naturalmente parlando
dell'insegnamento theravada del merito. Nel tipitaka il merito (puñña
in pali,
bum in thailandese e pin in cingalese) è la gioia che si
sente
quando si è fatto del bene. Nel theravada, ma in particolar modo
nel theravada thailandese, il significato di merito è stato gravemente
mal compreso e forse addirittura deliberatamente distorto. Invece
di pensare al merito come ad una qualità psicologica che deriva da un
particolare tipo di comportamento, è finito con l'essere considerato un
oggetto o addirittura un bene che può essere "guadagnato",
"accumulato", immagazzinato per essere usato più tardi e persino
"trasferito" agli altri. L'idea che sia
possibile "trasferire" il
merito ovviamente non compare nel tipitaka1
perché contraddice la dottrina del kamma, che insegna che sono le
proprie azioni intenzionali ad avere effetto su se stessi e che
ciascuno è responsabile di quello che fa. Inoltre scardinerebbe
l'intero principio della causalità morale. Ci si pensi. Fosse
possibile "trasferire" ad altri i risultati del bene che si fa,
dovrebbe altresi essere possibile trasferire agli altri i risultati del
male che si fa, e quindi evitarne le conseguenze. Queste erronee
comprensioni hanno avuto un effetto corrompente sulla pratica del
dhamma in Thailandia. Credo che gli antropologi chiamino il
buddhismo thailandese "il buddhismo del merito", e per delle buone
ragioni. Non sono pochi i thailandesi che ritengono questo sia
l'insegnamento fondamentale del buddhismo: prendi pure bustarelle
all'ufficio, trascorri un'ora al bar dopo il lavoro a berti qualche
bicchiere di Mekong, fermati pure alla sala di massaggio tornando a
casa e il giorno dopo dona del denaro al monaco per rimediare al
cattivo kamma accumulato il giorno prima. I thailandesi sono
certamente capaci di voler aiutare un anziano ad attraversare la
strada, di perdonare un'offesa o di voler fare visita ad malato in
ospedale, ma non credono che tali azioni "facciano merito". Si
può "far merito" solamente grazie ai monaci. I thailandesi
considerano i loro monaci come delle macchinette a gettone: metti la
moneta, giri la manovella ed ecco che il merito finisce nel tuo conto
corrente. "Accumula" più merito che demerito e la prossima vita
andrà tutto bene. Come conseguenza di questa visione del
buddhismo, i thailandesi generalmente non fanno il bene in segno di
considerazione dell'insegnamento del Buddha, per la semplice gioia del
fare il bene o perché è la cosa giusta da fare, ma solo per "guadagnare
merito". La generosità (dana)
è stata degradata fino a diventare
un mezzo per ottenere qualcosa. La gente crede di poter "fare
merito" praticando certi riti, come ricoprire di foglie d'oro le
statue, circumambulare gli stupa e soprattutto offrendo oggetti,
inclusi i soldi, ai monaci, piuttosto che rendendosi [moralmente]
integri e praticando la virtù nella loro vita quotidiana. Se
credete questa una parodia del theravada thailandese, trascorrete un
po' di tempo in questo paese.
E tutto ciò nonostante
l'invito del Buddha a "non pensare che un'azione esteriore conduca alla
purezza. I retti dicono che la purezza non può essere ottenuta da
quelli che cercano nelle cose esteriori" (S.I,169). Secondo il
Padhana Sutta, Mara cercò di dissuadere il Buddha dalle sue pratiche
spirituali suggerendogli piuttosto di dedicarsi all'insegnamento
dell'"accumulo del merito" (ciyate
punnam), che è proprio quello che i
monaci thailandesi oggi insegnano ai loro sostenitori. Il Buddha
respinse questo compromesso insipido dicendo: "Non so che farmene del
merito" (Sn.428-31). Neppure quelli che praticano il Dhamma
sinceramente e profondamente ne dovrebbero sentire il bisogno.
Nell'Itivuttaka il Buddha disse: "Compiere atti meritori con lo scopo
di ottenere una buona rinascita non vale neanche la sedicesima parte
del nutrire quell'amore che libera il cuore" (It.19). Ossia, essere
amorevoli e agire con amore vale sedici volte di più del fare merito,
nonostante quest'idea non sembri ricevere alcuna attenzione nel
theravada [moderno].
Recentemente un giovane malese
è venuto a farmi visita. Mi si è inchinato davanti, ha tirato
fuori una busta rossa con del denaro dentro e ha detto: "Venerabile,
vorrei fare merito". Gli ho risposto: "Bene! Allora fai il tuo
lavoro coscienziosamente, sii gentile con gli altri, di' sempre la
verità e coltiva l'amore nel tuo cuore." Capivo dal suo sguardo
perplesso che non aveva la più pallida idea di che cosa stessi parlando
e che aveva dovuto imparare il suo "buddhismo" da monaci
thailandesi. La nostra conversazione che seguì lo confermò.
Trovo interessante come la
teologia della prosperità cristiana abbia suscitato le più forti
critiche e confutazioni dettagliate da parte di teologi
appropriatamente istruiti come pure da parte delle principali
chiese. Ma nessuno studioso, pensatore (ce ne sono?), monaco
istruito o laico theravadin sembra avere un qualsiasi interesse
nell'affrontare criticamente il "Dhamma della prosperità". Mi
domando perché.
Inviato da Shravasti Dhammika alle 1:47 mattutine
____________
Nota
1: Non è esatto. Ci sono alcuni
insegnamenti o racconti in cui compare questo concetto, invece.
Ma sono da molti studiosi ritenuti brani tardi frutto di
un'elaborazione della dottrina primitiva, nella quale sono finite col
trovare via via più spazio concezioni popolari tese a rendere sempre
più alla portata dei laici il progresso spirituale (in una sua veste
semplificata) e il conseguimento del nibbana. Vedasi in proposito
il testo: "Development of the Early Buddhist Concept of Kamma/Karma",
di James Paul McDermott, Munshiram Manoharlal Publishers Pvt. Ltd., New
Delhi, 1984, ristampa 2003, pagg. 35-46 (capitolo: "Kamma nel Vinaya e
nel Sutta Pitaka") e pagg. 97-98 (capitolo: "Kamma nell'Abhidhamma
Pitaka", "Il Kathavatthu")
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