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Data: 19/04/2008 15:51
Oggetto: Sul buddhismo e le caste
ID-messaggio: <66ubmrF2mhm3tU1@mid.individual.net>
Lievemente riedito.
Ultima modifica: 26 set 2010
Leggendo il messaggio di Philip Ernest (Re: Nepal «Saremo una
repubblica comunista», 18/04/2008 11:00, ID-messaggio:
<502044a0-27f4-4900-b180-fe2b271c1669@24g2000hsh.googlegroups.com>
),
mi sono sentito spinto a scrivere questa dissertazione riguardo la
considerazione del Buddha per il sistema delle caste. Questo
perché le seguenti parole dell'autore hanno destato in me una
certa preoccupazione che si possa intendere che l'insegnamento
buddhista preveda ed includa l'organizzazione castale della
società.
Personalmente trovo inconfutabile che il buddhismo abbia operato un
superamento del sistema castale su basi etiche. La visione
buddhista della società so però che è stata
criticata da parte della
sezione più bigotta e reazionaria della società hindu nel
quadro delle accuse mosse contro il dott. Ambedkar e la sua visione
della
società.
Ha scritto l'autore:
Ma
sai,
no, che il Buddha non fu revoluzionario, non propose un
programma di riforma sociale. La sua opposizione al sistema
castale
fu filosofica. Ed a nessun punto nella storia era la societa'
buddista senza casta. Dire che la casta sia una cosa specialmente
brammanica o indu', e assolutamente falso. Tutte le religioni che
pretendono che venissero a india per liberare le caste basse, il
Buddismo, il Crestianesimo, l'Islam, parlano pure menzogne.
Queste
societa' sono fino ad oggi non meno dominate dal castismo che sia la
societa' indu'. La differenza e' che le scritture indu'
riconoscono
ed ammettono apertamente questa realta' della societa' indiana--e
forse, se possiamo distaccarsi dai propri pregiudizi occidentali,
potremmo ammetere che forse c'e' piu' di un pochissimo di vera realta'
nella concezione basale della casta.
Riguardo
la presenza del sistema delle caste nella dottrina
canonica (Theravāda, per la precisione), ho motivo di ritenere che vi
sia presente e che non vi sia esplicitamente condannata come tale per
questi soli motivi:
- le caste
sono afferenti l'ordinamento sociale, e a riguardo il
Buddha, come giustamente scrive l'autore, non si propose come un
riformatore o un legislatore;
- tale
ordinamento sociale era preesistente il Buddha e il suo
insegnamento si
propone non il loro abbattimento, ma il loro superamento;
- le caste,
come pure qualsiasi ordinamento sociale, sono
inessenziali ai
fini della pratica buddhista, ossia a quella di profonda visione e
introspezione, come pure ai fini
della corretta condotta morale. Più importante di tutto,
sono irrilevanti
ai fini della liberazione.
Come
scrive il dott. Hans W. Schuman nel suo: "Il Buddha
storico" (Der historische Buddha, Köln, Diederichs, 1982), il
Buddha Gotama confutava l'idea brahmanica dell'origine divina della
loro come
di tutte le caste. Pur considerando che «scardinare il
sistema delle caste sarebbe stato [...] privo di senso e
inutile», che
l'India «del territorio centrale non riteneva il sistema delle
caste un
peso troppo opprimente» (siamo a prima dell'accettazione sociale
dello
sciagurato Mānava dharmaśāstra) e che semplicemente «le caste
(vaṇṇa) e le sottocaste (jāti) rappresentavano una gerarchia di ceti e
professioni» (Schuman IV 4, 'Buddha e il sistema della caste'),
il Buddha Sakyamuni se ne partì in modo considerevole dalla
concezione e dal ruolo brahmanico coevo delle caste.
Infatti
per il Buddha le caste non erano che un sistema di
ordinamento sociale, uno di quelli possibili, un tipico frutto
dell'attività mentale umana, ma non lo disse mai né
necessario né il
migliore, né per la società né, tanto meno, per la
sua dottrina.
Anzi.
Dallo
stesso Schuman: «Uno degli argomenti con cui i bramini
mettevano in cattiva luce presso i loro confratelli di casta il samaṇa
Gotama era che questi riconosceva la purezza di tutte e quattro
le caste (Majjhima
Nikāya, 93 II p. 147) [...] Le sue energie erano rivolte contro [...]
l'opinione che
dall'appartenenza alle diverse caste trapelasse il valore della
persona. Ha sottolineato piú volte che le differenze
sociali fra gli uomini non corrispondevano a differenze di
sostanza. Tutte e
quattro le caste avevano le stesse possibilità di salvezza, come
da quattro fuochi, alimentati con legna diversa, si alza sempre la
stessa fiamma (M, 90 II p. 129 segg.).
«Spiegò che si era bramini non per nascita, ma per
comportamento dignitoso e alta condotta etica. Qualunque fosse la
casta di appartenenza, chi possedeva la necessaria autodisciplina
poteva essere
chiamato bramino.».
Non
è un caso che il buddhismo abbia infatti saputo propagarsi
tra società e popoli organizzati secondo criteri diversi dal
sistema castale hindu. E non meraviglia quindi che il dott.
Ambedkar,
contro cui gli hindu ortodossi hanno ripetutamente scagliato le
più aspre critiche e insulti ("falso", "ipocrita", "ignorante"
ecc.) abbia
visto nel buddhismo quella possibilità di riscatto sociale dei
dalit, ai
quali nei suoi tempi era persino proibito l'accesso ai templi.
Mentre
non solo nei templi, ma nello stesso sangha monastico l'accesso non
è mai stato loro precluso in nome dell'insegnamento del Buddha,
come pure
non lo è stato il massimo grado di fruizione dei frutti
dell'ascesi, il nibbāna.
Dalla
raccolta Udāna V, "Soṇa Thera":
Proprio
come, o monaci, quali che siano i fiumi - cioè
la
Gaṅgā, Aciravatī, Sarabhū e Mahī - tutti costoro, allorché
raggiungono
il
grande Oceano, abbandonano gli antichi nomi e
le
famiglie, e procedono avanti col solo nome di "grande
Oceano",
così pure, o monaci, [gli appartenenti al]le quattro
caste:
khattiya, brāhmaṇa, vessa e sudda, procedendo dalla
vita
in casa alla vita errante nella disciplina della Buona
Legge
insegnata dal Tathāgata, abbandonano i loro nomi e le
loro
famiglie e vanno solo col nome di "monaci figli del
Sakya".
Questa
è, o monaci, la quarta circostanza
meravigliosa
e
strana contemplando la quale, di tempo in
tempo,
gli Asura si rallegrano.
(da:
"Aforismi e discorsi del Buddha", TEA, pagg. 119-120, anche
in Anguttara Nikāya 8 19)
Molto
indicativo anche questo brano, della raccolta Theragāthā,
"I canti degli anziani", che per voce del protagonista racconta come un
lavoratore di una delle più umili e disprezzate fasce sociali fu
non solo prontamente ammesso nel sangha dal Buddha con praticamente
nessuna
formalità, ma arrivò anche presto a conseguire la
liberazione, il nibbāna.
Provengo
da un'umile famiglia,
ero
povero e scarso era il mio cibo,
il
mio destino era un lavoro oscuro:
spazzavo
fiori appassiti.
Ero
disprezzato da tutti,
poco
considerato e sempre messo da parte,
avevo
abdicato a ogni fiducia in me
e
mi piegavo servilmente davanti al mondo.
Vidi
un giorno il Risvegliato
avvicinarsi
circondato dai suoi discepoli,
ero
in attesa del grande eroe
quando
questi entrò nella capitale di Magadha.
Dopo
aver gettato il mio bastone,
mi
avvicinai per inchinarmi.
Mosso
da compassione verso di me,
si
fermò, lui, il piú grande di tutti gli
uomini.
Mi
gettai ai piedi del maestro.
Dopo,
stando in piedi al suo fianco,
pregai
il migliore degli uomini
di
concedermi la pabbajā [l'accettazione nella
comunità
mendicante, NdR].
E
lui, il maestro, pieno di compassione,
bendisposto
verso tutti nella sua pietà,
parlò
e disse: «Vieni, bhikkhu!» Fu allora
compiuta
per me la upasampadā [la cerimonia di
ordinazione,
NdR].
Rimasi
da solo nella foresta,
sempre
instancabile nel cercare
di
seguire la parola del maestro,
come
lui, il vincitore, me la rivelò.
E
nella prima veglia di una notte
mi
si spalancarono le recenti esistenze,
poi
nella seconda veglia
arrivai
alla conoscenza delle cose nascoste.
E
nell'ultima sono riuscito a
penetrare
le tenebre (dello spirito).
(Th.
620-27)
Di nuovo
sottolineo quindi come, anche senza volerle cancellare
nella società laica, il Buddha delle caste non se ne faceva
proprio nulla. Lui considerava le persone per quello che erano e
per
quello di cui erano capaci, le valutava per le loro qualità
morali e per
la loro capacità d'intendere il suo insegnamento e di arrivare a
godere
del frutto della pratica. La sua dottrina non ha nessuna
necessità o spazio per le caste brahmaniche, né infatti
spreca una parola
nella loro giustificazione o apologesi.
Un altro
brano in cui risulta evidente come il Buddha
soprassedesse e superasse il sistema delle caste, pur non dichiarando
di volerle abolire, è il seguente. In esso, prendendo lo
spunto da una domanda di Pasenadi, re del Kosala, il Buddha fa dire
allo
stesso re che il valore di un uomo, e quindi il valore di un'offerta
elargita a vantaggio di quell'uomo, non è dettato in alcun modo
dalla casta di appartenenza dell'individuo, ma dalle sue qualità
morali e mentali, di cui possono tanto abbondare quanto deficitare i
membri di
qualsiasi casta.
- Così
ho
udito: una volta il Sublime dimorava presso Rājagaha,
nel Parco Veḷuvana, nella Riserva degli Scoiattoli.
- Allora
il re del Kosala Pasenadi andò dal Sublime, lo riverì
e sedette da parte. Sedendo da parte, il re del Kosala Pasenadi
chiese al Sublime: "Signore, a chi1 va
elargito il dono?".
- "A
coloro nei quali2 si ha fede, gran re".
- "E in
quale caso3, o signore, il dono
è altamente
fruttifero?".
- "Gran
re, una cosa è a chi si debba elargire il dono, e
un'altra cosa è in quale caso il dono sia altamente fruttifero;
il dono elargito a chi si comporta bene è altamente fruttifero;
non
così [si
può dire] per quello elargito a chi si comporta male.
Adesso, o gran re, io ti farò a mia volta una domanda e tu mi
risponderai come
ti
parrà.
- "Che
cosa pensi, gran re? Supponi che sia per te imminente un combattimento,
che stia per svolgersi una battaglia e che venga da te un giovane
khattiya non esercitato, non allenato, inetto, inesperto del tiro con
l'arco, pavido, timoroso, pusillanime, codardo; assumeresti tu
quell'uomo?".
- "Io
non assumerei quell'uomo signore; non trarrei alcun vantaggio da
un tal uomo".
- "Supponi
che venga da te un giovane brāhmaṇa ... un giovane vessa ... un giovane
sudda
non esercitato ... inesperto del tiro con l'arco ... codardo;
assumeresti tu
quell'uomo? Trarresti vantaggio da un tale uomo?".
"Io non assumerei quell'uomo, signore ...".
- "Che
cosa pensi, gran re? Supponi adesso che sia per te
imminente un combattimento ... e che venga da te un giovane khattiya
esercitato, allenato, pratico, esperto del tiro con l'arco, impavido,
coraggioso,
animoso, intrepido; assumeresti tu quell'uomo? Trarresti
vantaggio da un
tal uomo?".
- "Io
assumerei quell'uomo, signore: trarrei certamente vantaggio da un tal
uomo".
- "Supponi
che venga da te un giovane brāhmaṇa ... vessa ... sudda esercitato
... intrepido; assumeresti tu quell'uomo? Trarresti vantaggio da
un tal uomo?".
- "Io
assumerei quell'uomo, signore ...".
- "Similmente,
o
gran re, da qualunque famiglia provenga uno che ha lasciato
la casa per la vita senza casa, se ha abbandonato i cinque elementi ed
è munito di cinque requisiti il dono a lui elargito è
altamente fruttifero."
Note:
- Lett. 'dove'
interrog. (kattha).
- Lett.
'là dove' (yattha).
- Lett. 'dove'
interrog. (kattha).
Saṃyutta Nikāya,
I III 3 - Il mondo
In
quest'altro è dichiarato esplicitamente come le caste siano
irrilevanti ai fini della massima, eccelsa purezza e del
supremo conseguimento del cammino ascetico:
- Così
ho
udito: una volta il Sublime dimorava presso Rājagaha, nel Parco Veḷuvana,
nella Riserva degli Scoiattoli.
- Allora il
brāhmaṇa Suddhika-Bhāradvāja andò dal Sublime, lo salutò garbatamente e,
dopo avere con lui scambiato cortesi e amichevoli espressioni,
sedette da parte.
- Sedendo da
parte egli indirizzò al Sublime questa strofa:
"Nessun brāhmaṇa al mondo si purifica
per l'osservanza di un codice morale e per l'austerità;
si purifica colui il quale possiede la Conoscenza [vedica] e
si comporta rettamente;
non [si purificano] gli altri esseri".
- [Il
Sublime:]
"Chi molto chiacchiera ed è bramoso
non è brāhmaṇa a motivo della nascita:
impuro e corrotto di dentro, è ammantato di
ipocrisia!
Il khattiya, il brāhmaṇa, il vessa, il sudda, il caṇdāla, il pukkusa1
energicamente risoluto, costantemente dedito allo sforzo
consegue l'eccelsa purezza; questo sappi, o brāhmaṇa!
- Casta
inferiore, non ariana, i cui membri si guadagnavano da vivere ripulendo i santuari
e i reliquiari dai fiori appassiti.
Saṃyutta Nikāya,
I VII 7 - Suddhika
In
ultimo, propongo alla riflessione questi brani, tratti ancora
dal Saṃyutta Nikāya, I VII 9 - Sundarika:
3.
Allora, dopo aver sacrificato al fuoco, dopo aver fatto
un'offerta al fuoco il brāhmaṇa Sundarika-Bhāradvāja si alzò e
si guardò d'attorno nelle quattro direzioni pensando: "Chi
potrebbe
ora mangiare questo avanzo d'oblazione?".
4. Vide
egli il Sublime seduto al piede d'un albero col capo
ravvolto; vistolo, prese con la mano sinistra un avanzo dell'oblazione,
con la mano destra la brocca dell'acqua, e si avvicinò al
Sublime.
5. Al
rumore dei suoi passi il Sublime si scoprì il capo.
6. Allora
il brāhmaṇa Sundarika-Bhāradvāja si disse: "Costui è
un rapato, è un volgare rapato!", e stava per tornare indietro.
7. Poi
pensò: "Qui ci sono anche dei brāhmaṇa che sono rapati; e
se io lo avvicinassi e lo interrogassi sulla sua nascita?".
8. E il
brāhmaṇa Sundarika-Bhāradvāja si avvicinò al Sublime e
gli chiese: "Venerabile, qual è la tua nascita?".
9. [Il
Sublime:]
"Non
chiedere della nascita, chiedi del comportamento;
dal
legno, invero, si genera un fuoco;
ed
anche un muni di famiglia umile, se è risoluto,
se
è raffrenato e scrupoloso è un nobile.
[...]"
17. "[...]
Il tuo orgoglio, o brāhmaṇa, è per te un pesante
fardello,
la
tua collera il fumo, le tue menzogne la cenere;
la
lingua è il cucchiaio (sacrificale) e il cuore l'altare del
fuoco.
[...]
Onora
gli esseri retti e consapevoli: così è,
io dico, l'uomo che
segue
la Dottrina".
Insomma
ritengo, alla luce di tutto ciò, che i buddhisti siano
ben nel giusto quando affermano che la loro dottrina non contempli la
separazione in caste e che in questo il buddhismo non sia accostabile
allo hinduismo. Lo stesso ritengo che il dott. Ambedkar ben possa
aver costruito (o per lo meno aver voluto costruire) una
comunità
buddhista (o neo-buddhista, se si vuole) a partire dagli insegnamenti
del Buddha Sakyamuni. Se poi si vuole aderire al sistema hindu
delle caste ben sia, il Buddha non volle impedire a nessuno di darsi
quale condotta o ordinamento sociale questi volesse. Solo, io
trovo che il dare ai buddhisti degli ipocriti e degli ignoranti
perché
sarebbero, agli occhi di chi segue un'altra dottrina e organizzazione
sociale, gente che mentirebbe e che s'ingannerebbe circa la vera
intenzione e l'autentico insegnamento del Buddha a proposito del
sistema
delle caste, molto indegno, falso, stupido e dettato dall'astio di chi
si sente superiore per diritto o volere divino e non tollera che altri
si dicano, in tema di tali convincimenti, felicemente discordi.
Vorrei
quindi prendere le distanze da tale affermazione
dell'autore:
Tutte
le
religioni che
pretendono che venissero a india per liberare le caste basse, il
Buddismo, il Crestianesimo, l'Islam, parlano pure menzogne.
Il
buddhismo è giunto infatti per liberare le persone.
Tutte le persone, a prescindere dalla casta. E le intende
liberare subito, qui e ora, non in una futura rinascita o
reincarnazione.
Aggiunta del 01 novembre 2008
11. La solitudine
[La divinità:]
"chi sono quelli che nel mondo vivono in solitudine?
Chi sono quelli la cui vita non è vissuta invano?
Chi sono quelli che conoscono la natura del desiderio?
Chi sono quelli che sono sempre indipendenti?
Chi è colui che madre, padre e fratelli venerano come
incrollabile?
Chi è colui che, anche se di umile nascita, i
khattiya riveriscono?"
[Il Sublime:]
"Gli asceti vivono nel mondo in solitudine, la vita dell'asceta non
è vissuta invano;
gli asceti conoscono la natura del desiderio, gli asceti sono sempre
indipendenti;
l'asceta madre, padre e fratelli venerano come incrollabile;
l'asceta, anche se è di umile nascita, i
khattiya riveriscono"
Saṃyutta
Nikāya, I VIII 11
Aggiunta dell'11 settembre 2010
2. [...] Allora Vāseṭṭha e Bhāradvāja
si accostarono al Sublime che camminava.
3. Allora il Sublime si rivolse a Vāseṭṭha:
«Voi, o Vāseṭṭha, siete di
nascita brahmani, figli di brahmani, di stirpe brāhmana, ed avete lasciata la casa
per l'anacoretismo. E, o Vāseṭṭha, i brahmani non vi rimproverano, non
vi criticano?»
«Certo, o signore, i brahmani ci rimproverano, ci criticano, con
una riprovazione completa, senza mezzi termini».
«E per quale ragione, o Vāseṭṭha, i brahmani vi rimproverano, vi
criticano con una riprovazione completa, senza mezzi termini?».
«I brahmani, o signore, così dicono: "Eccelsa è la
casta brāhmana, basse le
altre caste; pura è la casta brāhmana,
nere
le altre caste. I brahmani ben si purificano, non coloro che non
sono brahmani. I brahmani sono figli di Brahmā, legittimi, nati dalla
sua fronte, fatti da Brahmā, creati da Brahmā, consustanziali a Brahmā.
Voi avete lasciato una casta eccelsa e siete entrati in una casta
bassa: infatti i tonsurati asceti solitari sono impuri, usciti dai
piedi di Brahmā. Così non è bene, non è bello che
voi, abbandonando una casta eccelsa, siate entrati in una casta bassa:
infatti i tonsurati asceti solitari sono impuri, usciti dai piedi di
Brahmā". Proprio così i brahmani, o signore, ci criticano con
una riprovazione completa, senza mezzi termini ».
4. «Ordunque, o Vāseṭṭha, i
brahmani pur ignorando le origini, così dicono: "eccelsa
è la casta brāhmana,
nere le altre caste; pura è la casta brāhmana,
nere le altre caste. I brahmani ben si purificano, non coloro che non
sono brahmani. I brahmani sono figli di Brahmā, legittimi, nati dalla
sua fronte, fatti da Brahmā, creati da Brahmā, consustanziali a
Brahmā". Ma
si vedono, o Vāseṭṭha, brahmane gestanti e partorienti, fecondate e
gravide di brahmani, e questi brahmani, pur nati da ventre di donna,
così dicono: "eccelsa è la casta brāhmana, basse le altre caste;
pura è la casta brāhmana,
nere
le altre caste. I brahmani ben si purificano, non coloro che non
sono brahmani. I brahmani sono figli di Brahmā, legittimi, nati dalla
sua fronte, fatti da Brahmā, creati da Brahmā, consustanziali a
Brahmā."
Costoro così bestemmiano Brahmā, dicono menzogne e producono
molto demerito.
Il
sutta prosegue con il
Buddha che dice che nelle varie caste, anche in quella dei nobili, vi
sono persone che commettono crimini e che mal si comportano dal punta
di vista della condotta morale, rendendosi per questo biasimevoli.
Mentre chi si astiene dal commettere crimini e si attiene
scrupolosamente ad una retta condotta morale è una persona
nobile e "da lodarsi con intelligenza", a prescindere dalla casta
d'appartenenza.
7. Proprio così, o Vāseṭṭha,
nelle quattro caste l'elemento puro ed impuro, insieme mescolati, sono
con intelligenza da biasimare, o con intelligenza da lodare. Ma che i
brahmani dicano: "eccelsa è la casta brāhmana, basse le altre caste,
pura è la casta brāhmana,
nere
le altre caste. I brahmani ben si purificano, non coloro che non
sono brahmani. I brahmani sono figli di Brahmā, legittimi, nati dalla
sua fronte, fatti da Brahmā, creati da Brahmā, consustanziali a Brahmā"
ciò non si deve loro concedere. E quale di ciò la
ragione? Su queste quattro caste, un monaco santo, che ha esaurito gli āsava, che ha raggiunta la
perfezione, che ha compiuto ciò che era da compiersi, che ha
deposto il fardello, che ha raggiunto la meta, che ha infranto i legami
dell'essere, perfettamente libero da alterità, costui
giustamente, non ingiustamente è da proclamarsi il primo su
tutti. La dottrina, o Vāseṭṭha, è eccelsa ad ogni essere e in
questo visibile mondo e nel mondo futuro.
[...]
9. Voi ora, o Vāseṭṭha, avete lasciato
la casa per l'anacoretismo, non siete più della stessa nascita,
dello stesso nome, della stessa famiglia, della stessa stirpe di prima.
"Chi siete voi?". Essendo così interrogato: "Siamo asceti del
figlio dei Sakya" voi affermerete. E colui che nel Compiuto ha fiducia
certa, radicata, stabile, solida, non distruggibile, ad un asceta o
brahmano, ad in dio, a Māra, o a Brahmā, a chiunque nel mondo, sempre
così deve affermare: "Io sono figlio del Sublime, legittimo,
nato dalla sua fronte, fatto di dottrina, creato dalla dottrina,
consustanziale alla dottrina". E perché ciò? Il compiuto,
o Vāseṭṭha, così afferma, un corpo accordato colla dottrina
è un corpo accordato con Brahmā, chi diviene dottrina, diviene
Brahmā.
[...]
28. Il nobile [il brahmano, il
borghese, il servo], o Vāseṭṭha, che ben si comporta nelle opere, che
ben si comporta nelle parole, che ben si comporta nei pensieri, di
retta opinione a causa della retta opinione e del retto comportamento,
colla dissoluzione del corpo, dopo la morte risorge beatamente in mondo
beato.
29. Il nobile [il brahmano, il borghese, il servo], o Vāseṭṭha, che si
comporti nei due modi nelle opere, che si comporti nei due modi nelle
parole, che si comporti nei due modi nei pensieri, retta e non retta
opinione, a causa di retta e non retta opinione e del duplice
comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte, sperimenta
gioia e dolore.
30. Il nobile [il brahmano, il borghese, il servo], o Vāseṭṭha,
controllato nelle azioni, controllato nelle parole, controllato nei
pensieri, che attua e realizza le sette componenti del risveglio
già in questo visibile mondo completamente si estingue.
31. Da qualunque, o Vāseṭṭha, di queste quattro caste uscito, un monaco
santo, che ha esaurito gli
āsava,
che
ha raggiunta la perfezione, che ha compiuto ciò che era da
compiersi, che ha deposto il fardello, che ha raggiunta la meta, che ha
infranto i legami dell'essere, perfettamente libero da alterità,
costui giustamente, non ingiustamente, è proclamato il primo su
tutti. La dottrina, o Vāseṭṭha, è eccelsa per ogni essere, sia
in questo mondo, sia nel futuro.
32. A Brahmā Sanaṃkumāra si cantano questi versi:
"Il nobile è alto su ogni essere
che si attacchi ad una stirpe, il possessore del cibo della sapienza
è alto sugli dèi e sugli uomini".
Questi versi, o Vāseṭṭha, sono ben cantati a Brahmā Sanaṃkumāra, non
mal cantati, ben detti, non mal detti, profittevoli, non mal
profittevoli.
Io stesso, o Vāseṭṭha, dico:
"Il nobile è alto su ogni essere
che si attacchi ad una stirpe, il possessore del cibo della sapienza
è eccelso sugli dèi e sugli uomini".
Così disse il Sublime. Contenti Vāseṭṭha e Bhāradvāja si
rallegrarono alle parole del Sublime.
Agañña suttanta,
Le origini della società, traduzione di Andrea Frola tratta
da:
"Aforismi e discorsi del Buddha", TEA,
pagg. 181-199
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