Originalmente inviato su: news:it.cultura.religioni.buddhismo
Data:
mer, 11 gen 2008 17:34
Oggetto: Re: Cosa non sa da fa, pe' magna [era: quale buddhismo...]
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Ultima modifica: 04 luglio 2010 (piccole correzioni)

amalric ha scritto:

> Spiacente. Abbiamo gia' pubblicato ieri, e il silenzio che ne' e'
> seguito, pare tanto di riprovazione, se non di ignoranza dell'inglese.

  Potrebbe anche essere qualcos'altro, non credi?
  Da parte mia mi volevo astenere, per ovvie ragioni, dal commentare il fatto in quanto relativo all'ambiente mahâyana.  Ma notando come lo stesso, più o meno, stia accadendo anche nei paesi theravâda, potrei arrischiare di esprimermi riguardo questi ultimi dal mio punto di vista, ossia quello di una persona che non vive in quei luoghi e in quella cultura.

  Premetto che, dal mio punto di vista, il calo d'interesse per il monachesimo non è in sé un male. Se un male c'è, questo va cercato in altre cose.

   Il monachesimo, come un po' tutta la vita e la cultura nello stile antico che s'è condotta nel mondo fino a non tanto tempo fa, ha fatto il suo tempo.  Come pure la vuota ritualistica che l'accompagna.

  Noto come nell'articolo si parli di «riavvicinare i cittadini [...] alla religione», di «esibizione con canti buddisti adattati a musiche più moderne», di «mostrare ai giovani di oggi che il Buddismo è davvero attraente», di «bisogno di avvicinarsi alle persone [...] pensiamo che sia giusto andare incontro ai bisogni e ai desideri della gente», di «riavvicinare le giovani generazioni», di "progressismo", «riconquistare i fedeli» e «di dare alle persone la possibilità di parlare liberamente dei loro problemi».  Bene: questo vuol dire che il buddhismo è morto.  Dico questo perché, da tanto che ho letto, risulta ormai inutile allo scopo che ne giustifica l'esistenza.

  Qual'è questo scopo? Liberarsi dal dolore, abbandonare l'imperfezione congenita al mondo, all'esistente, alla vita.  Infatti di tutto ciò non si fa cenno nell'articolo.  Nessun monaco sembra accorgersi che il loro buddhismo è spoglio di tutto questo, ma che era solamente per questo che il Buddha Sakyamuni aveva fondato il Sangha e i suoi più eminenti discepoli avevano scelto la vita ascetica sotto la sua guida.

  Già, la vita ascetica.  Leggere che «i monaci più progressisti hanno ideato numerose iniziative che contrastano con la visione tradizionale ascetica» mi fa ridere, ma per nulla divertito.  Tradizione ascetica?  Ma de che?  Ma chi li ha mai visti gli asceti buddhisti, dove sarebbero?  A Tokyo?  A Bangkok?  A Singapore?  A Roma, a Frasso Sabino? <gh>

  All'ascetismo non credono più, e da diverso tempo, i monaci stessi.  E quindi non possono credere al frutto e al vantaggio che questo stile di vita i testi e i resoconti delle vite dei grandi saggi e asceti del passato garantiscono a chi lo persegue.  E tanto meno possono mostrarne quindi i frutti.

   Ormai i monaci non sono più asceti.  Vivono vite da privilegiati, ma vite prive di significato.  Non destano ammirazione e devozione in vista della liberazione e del conforto dal dolore, non mostrano traccia di libertà dal più basso del mondano nei loro corpi e nelle loro azioni e parole.  Piuttosto destano l'invidia per un privilegio che non si accompagna però ad una vita morigerata ma ricca, preziosa, capace d'ispirare.  Sono sentiti, come li sento spesso apertamente bollare, dei parassiti.  Sedicenti asceti, ma con un tenore di vita che sempre più uomini di casa e lavoratori non riescono ad uguagliare né a garantire alla propria famiglia.  Il tutto dovrebbe essere giustificato da frutti della pratica e dell'ascesi che non si vedono.

  Quello che sta succedendo è l'ovvia conseguenza.

  E come intendono risolvere il problema i "nobili" signori monaci?  Facendo le passerelle di moda.  Aprendo bar, palestre, discoteche e villaggi turistici.  Giustificando e ulteriormente rafforzando lo stile di vita e i valori che i loro testi dicono fonte di quella dukkha da cui loro dovrebbero imparare a liberarsi.  E quindi rafforzano nei laici l'idea che, per quanto coloriti, buffi, divertenti e forse, per un pochino di tempo, alla moda, i monaci, il loro stile di vita e, per estensione, tutta la dottrina che rappresentano non siano che falsità, inganni e vuote parole per gli allocchi.

  I monaci sono diventati cronicamente incapaci di offrire ai laici quello di cui hanno bisogno, e ciò per giunta in un'epoca in cui ce n'è un forte e tragico bisogno.  Un metodo di autodifesa, una disciplina, una vita e una comunità che permetta di difendersi dalla solitudine, dalla paura, dalla depressione, dall'angoscia, dalla frustrazione, dalla sensazione d'impotenza e di non contare nulla.  Tutte quelle storture mentali che sfociano nella ricerca ossessiva e compulsiva del possesso, nella frenesia e nel malumore e malvivere che affligge ormai ogni popolo intorno al mondo.

  Continuerà ad andare avanti così, con il buddhismo che diventerà, come le altre religioni, sempre più una mera occasione di fare spettacolo e business, fino a che comparirà di nuovo un Buddha che inizi tutto da capo.  E se non verrà, vorrà dire che era veramente tutto una pagliacciata e un'illusione sin dall'inizio, cosa che io non credo.

  Che ci si godano le passerelle, le storie mitologiche, i pantheon animisti, il misticismo, il folklore antico, la magia e l'astrologia, le danze, i templi barocchi d'oro, gioielli e dipinti e i monaci con i loro costumi e le musiche che accompagnano i riti: i turisti pagheranno per un bel posto in poltrona.  Ma per questo bastano poche decine o centinaia di attori e intrattenitori professionisti.  Non vale la pena nutrire inutilmente un esercito di fannulloni rapati a zero.


  Ciao,



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