Traduzione di Alessandro Selli dell'originale sito in: http://home.earthlink.net/~brelief1/bud_war.html

Il buddhismo e la guerra

 Di Ken e Visakha Kawasaki

    L'insegnamento buddhista è perfettamente chiaro sulla futilità della guerra e della violenza.  In un breve brano autobiografico, il Buddha descrisse il suo senso di sgomento, quand'era ancora un Bodhisatta non risvegliato, di fronte alla violenza nel mondo, come pure descrisse la sua rilevante scoperta liberatoria che il solo modo di evitare la violenza è di rimuoverne le cause dal proprio cuore.

La violenza genera miseria; guardate la gente che litiga.  Vi racconterò dell'emozione che mi agitava.  Avendo visto come la gente lotti e contenda l'uno contro l'altro come pesci in un piccolo specchio d'acqua, la paura s'impossessò di me.  Il mondo è ovunque insicuro; in ogni direzione c'è tumulto.  Desiderando un riparo per me stesso, non ne trovai alcuno ove non ci fosse chi vi vantasse già i suoi diritti.  Non avendo trovato infine altro che contesa, mi sentii sconfortato.  Ma allora vidi una freccia qui, così difficile da vedere, seppellita nel cuore.  Penetrati da questa freccia, si corre in ogni direzione.  Ma soltanto estraendola, non si corre più, né più si affonda.  Qualsiasi cosa sia legata al mondo, non ci si deve aderire.  Avendo penetrato completamente [la natura de]i piaceri dei sensi, le passioni sensuali, ci si deve addestrare per la propria liberazione dai legami.
Sutta Nipata IV, 15

    Il cuore dell'insegnamento buddhista sono le "quattro nobili verità".  La prima verità è che tutti i fenomeni sono insoddisfacenti, sono inerentemente sofferenza.  La seconda è che la causa di questa sofferenza, che include la violenza, è la brama.  La terza è che la cessazione della sofferenza è possibile se si sradica la brama.  La quarta procura il cammino verso la cessazione della sofferenza e cioè il "nobile ottuplice sentiero": retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retti mezzi di sussistenza, retto sforzo, retta consapevolezza e retta concentrazione.

    Il Buddha fu perfettamente coerente nella sua rinuncia alla violenza.   Da nessuna parte ammette ci siano casi nei quali la violenza possa essere uno strumento per la cessazione della violenza.  Avesse anche la violenza una nobile intenzione, avesse anche "successo", produrrà inesorabilmente altra violenza e altra sofferenza.

Vincendo, si genera ostilità
Perdendo, si è nel dolore.
Chi è calmo giace rilassato,
Avendo abbandonato sia la vittoria che la sconfitta.
Dhammapada 201

    La Bibbia insegna che cè un tempo per l'odio e un tempo per la guerra, ma per il Buddha quel tempo non c'è mai.  Un altro verso del Dhammapada dice: "L'odio non è mai placato dall'odio".   La cristianità e il giudaismo sono ambivalenti nei confronti della guerra e della giusta ira.  La pace e l'amore sono esaltati, ma Dio è descritto quale "guerriero" "furibondo".  Egli è un Dio vendicativo la cui "spada divorerà e sarà sazia, e berrà la sua misura del loro sangue" (Ger. 46:10).  Nel vecchio testamento Dio ripetutamente esorta gli israelitici a condurre guerra e violenza: "E tu distruggerai tutti i popoli che il Signore Dio tuo avrà messo nelle tue mani, il tuo occhio non avrà pietà di loro" (Deut. 7:16).  "Quando il Signore tuo Dio li avrà consegnati nelle tue mani e tu li avrai sconfitti, dovrai distruggerli totalmente senza avere alcuna misericordia di loro" (Deut.7:2).

    Tutte le principali religioni del mondo insegnano che è sbagliato uccidere, ma questo insegnamento di solito include razionalizzazioni e circostanze nelle quali uccidere è giustificabile.  In molti paesi il clero assolve alle funzioni di cappellano delle forze armate.  Le guide religiose impartiscono benedizioni alle truppe e conducono preghiere per la vittoria.  In alcuni casi si appellano ai governi e alla gente perché vadano alla guerra.  Tutto questo reclamando l'autorità divina e magari la promessa di una ricompensa nell'altra vita per quelli che moriranno in battaglia.  Tali azioni da parte delle guide religiose indeboliscono gli imperativi morali ed etici nelle menti dei fedeli e tendono a legittimare la guerra.

    Il papa Giovanni Paolo II ha chiaramente dichiarato che la guerra degli Stati Uniti contro l'Iraq non è giusta e che dev'essere fermata ad ogni costo.  Quali sono i criteri di una guerra giusta?  Secondo l'enciclopedia della dottrina cattolica, circa 1500 anni fa, quando i barbari scorrazzavano per l'impero romano (nel quale, un secolo prima, l'imperatore Costantino aveva reso il cristianesimo la religione di stato), Sant'Agostino procurò la giustificazione morale perché i cristiani uccidessero i barbari per la propria difesa.  I suoi cinque criteri per una "giusta guerra" sono ancora oggi usati dalla chiesa cattolica:

    Secondo l'insegnamento del Buddha, non esiste nessuna giusta ira, figurarsi una giusta guerra.
    Le tre macchie della brama, dell'odio e dell'illusione fanno girare il mondo.  La guerra ha inizio perché il popolo di una nazione - o, per lo meno i suoi governanti - hanno desideri inappagati.  Sono bramosi dei vantaggi, dei benefici della ricchezza, o del potere; sono arrabiati, gelosi, o preda dell'ira.  O i loro desideri sono stati frustrati, o il loro orgoglio e il loro senso del sé sono stati offesi.  Spesso i conflitti hanno a che vedere con l'arroganza razziale o nazionalista.  I capi di governo erroneamente credono che la soluzione ai loro problemi, che risiedono essenzialmente dentro le loro menti, possa essere trovata all'esterno, tramite l'uso della forza.  Le persone che esercitano il potere si illudono che la violenza della guerra possa recare benefici reali e durevoli a loro stesse e a quelli della loro parte.  Alcune religioni dichiarano che se qualcuno perisce combattendo una giusta causa sarà ricompensato.  Una volta un soldato chiamato Yodhajiva chiese al Buddha il suo parere su un'antica credenza della casta guerriera: "Quando un soldato professionista si applica alla guerra, se gli altri quindi lo uccidono, dopo la morte, rinascerà in compagnia degli dei uccisi in battaglia".  Il Buddha tentò per tre volte di dissuaderlo da tale argomento, ma Yodhajiva insistette.  Infine il Buddha disse: "Evidentemente, Yodhajiva, non sono riuscito ad impedire la tua insistenza dicendoti: 'Basta, non mi chiedere di queste cose'.  E allora ti darò la risposta.  Quando un soldato professionista si applica alla guerra, la sua mente è già appiattita e deviata dal pensiero: 'Possano questi uomini essere macellati, annichiliti e distrutti'.  Se altri lo uccidessero mentre così si applica alla guerra, dopo la morte, egli sarà rinato nell'inferno detto il reame dei morti in battaglia.  Ma dovesse egli aderire alla credenza alla quale hai fatto cenno, questa sarebbe [causa del]la sua cattiva visione [della realtà].  Ora, ci sono due destini per le persone affette dalla cattiva visione.  O l'inferno, o l'utero di un animale."  Udendo la risposta del Buddha, Yodhajiva pianse perché era stato ingannato da quell'antica credenza. (Samyutta Nikaya XLII,3)

    Ci fu un'occasione nella quale il Buddha riuscì a scongiurare una guerra.  Quando i suoi parenti stavano per muoversi alla battaglia sulle acque del fiume Rohini, si piazzò tra le due parti e chiese: "Che cosa ha più valore, il sangue, oppure l'acqua?"  Entrambi i re risposero: "Il sangue è più prezioso, signore".  E quindi il Buddha domandò: "Non è allora indegno spargere il sangue per dell'acqua?"  I due eserciti deposero le armi e tornò la pace.

    Il Buddha formulò una versione della "regola aurea" quale chiave per la soluzione dei problemi di violenza e crudeltà: "Tutti tremano di fronte alla violenza, desiderano di vivere in pace e non vogliono morire.  Così, mettendosi nei panni degli altri, non si deve arrecare paura agli altri, danneggiarli o far procurare loro danno". (Dhammapada 129-130).

    Nella parabola della sega il Buddha dice: "Dovessero anche dei crudeli banditi tagliare a pezzi le membra di un uomo [con una sega], albergasse quindi egli ira nella sua mente, non starebbe costui adempiendo ai miei insegnamenti". (Majjhima Nikaya, I, 21)

    All'epoca del Buddha c'erano due re rivali: Pasenadi del Kosala, e Ajatasattu del Magadha.  Questi due re si combatterono ripetutamente in guerra l'uno contro l'altro.  Una volta Ajatasattu inferse una sonora sconfitta a Pasenadi, ma la volta successiva Pasenadi riuscì a catturare Ajatasattu.  Siccome Ajatasattu era suo nipote, il re Pasenadi non lo condannò a morte, ma fece prigionieri tutti i suoi soldati.  Il commento del Buddha a questa magnanimità fu acuta:

Un uomo può depredare un altro, appena della misura che possa giovare ai suoi scopi, ma appena è lui ad essere depredato, egli, depredato, depreda di nuovo.  Fintanto che il frutto del male non sarà giunto a maturazione, il folle vaneggia: "Questo è il mio momento, questa è la mia occasione!"  Ma quando il male porterà [a compimento] i suoi frutti, se la vedrà male.  L'uccisore andrà a sua volta incontro ad un uccisore; il conquistatore a chi lo conquisterà; chi abusa degli altri sarà abusato; il molestatore [andrà incontro] a molestia.  E così, per l'evoluzione [karmica] dell'azione, un uomo depredato è depredato a sua volta.
Samyutta Nikaya III, 15

    Come predetto, la generosità di Pasenadi non bastò a mettere fine alla guerra.  Ci furono, invero, altre guerre tra i due re, nel seguito.

    Il messaggio del Buddha, senza eccezione, è che la sola maniera di fermare la violenza è di rispondere alla violenza con la non violenza.

     L'approccio buddhista alla pace non è basata sul sentimentalismo, ma su una chiara comprensione della dinamica della violenza e delle sue cause: avidità, odio e illusione.  La dipendenza dalla guerra o dalla minaccia della guerra della propria sicurezza è, nel lungo termine, destinato al fallimento e a produrre più violenza e altra sofferenza.

    Ovviamente, l'insegnamento radicale del Buddha si scontrava con le opinioni prevalenti sul come controllare la violenza.  Da ogni dove si sente argomentare che la sola efficace risposta alla violenza è più violenza, con un tentativo, naturalmente, di distinguere tra la violenza "buona" (forza sanzionatoria e punizione) e la violenza "cattiva" (il crimine e, recentemente,  il terrorismo).  Si sentono spesso frasi quali: "la forza è la sola cosa che la gente capisce", "dobbiamo rispondere al fuoco con il fuoco" e "la guerra che farà cessare tutte le guerre".

    L'assunto è che la violenza in sé è moralmente neutra e che l'importante è il fine al quale questa è diretta.  In questa interpretazione, la violenza non è la fonte dei problemi.  È problematica solo quando è usata dai cattivi, quelli con le idee sbagliate.    L'opinione comune considera la violenza uno strumento per la fine della violenza ingiusta e giustifica l'uccisione di certi esseri per la propria protezione o felicità.  Il buddhismo assume come primo precetto la proibizione dell'uccisione di qualsiasi creatura.

    Il Buddha è invariabilmente descritto come pieno di compassione:

Egli riconcilia chi è in conflitto e incoraggia chi è già in armonia, che gioisce in pace, ama la pace, si delizia nella pace, egli parla in lode della pace.  Abbandonato l'uccidere, il monaco Gotama vive trattenendosi dall'uccidere, egli è privo di bastone o di spada, vive nella premura, compassione e partecipe degli altri.
Digha Nikaya I, 1

    Una volta compreso che la causa della violenza è la brama, l'odio e l'illusione, è ovvio che il primo passo verso il suo sradicamento deve venire da noi stessi.  Rifiutare di entrare nel cerchio della violenza è il solo modo di starne fuori.  Questo vuol dire che dobbiamo occuparci di noi stessi, dei nostri stessi pensieri, parole ed azioni piuttosto che di quelli degli altri, non solo perché questo è quanto possiamo controllare direttamente, ma anche perché sono i nostri stessi pensieri, parole ed azioni che ci fanno soffrire.

Da sé stessi è compiuto il male.
Da sé stessi è protratto il dolore.
Da sé stessi si cessa dal [compiere il] male.
Da sé stessi ci si purifica.
Dhammapada 165

    Piuttosto che coinvolgere i suoi credenti in una guerra armata per la propria conservazione, il buddhismo si è ritirato di fronte allo scempio musulmano dell'India e di fronte agli attacchi comunisti in Cina e in Vietnam.  Quando lo Sri Lanka fu invaso da aggressori stranieri, i monaci buddhisti erano così determinati nel pacifismo che il lignaggio monastico praticamente sparì.  Per recuperare il lignaggio, il re dello Sri Lanka fece giungere un gruppo di monaci dal Siam per poter tenere nuove ceremonie di ordinazione.

    A Hiuen Tsang, il famoso monaco ed erudito cinese che viaggiò in India alla ricerca delle scritture, fu un giorno chiesto dall'imperatore che lo accompagnasse in una campagna militare.  La sua risposta ricca di tatto era perfettamente in linea con la sua aderenza alla regola monastica: "Hiuen Tsang sa di non essere di alcun aiuto alla Vostra campagna militare.  Mi vergogno per l'essere oggetto di spese non necessarie e un peso inutile. Inoltre, il vinaya (la disciplina monastica) proibisce ai monaci di assistere a battaglie militari e alla rassegna delle truppe.   Avendo il Signore Buddha dato un tale ammonimento, non oso [farlo], per compiacere sua maestà".

    Ogni praticante buddhista prende l'impegno di osservare i cinque precetti, il primo dei quali è di non uccidere.  Questo concetto è esteso a comprendere la nozione di non violenza (ahimsa) e la pratica della gentilezza amorevole nei confronti di tutti.  Il Buddha disse: "Non c'è più grande felicità della pace".

    Nell'insegnamento del Buddha, dove anche il risentimento è considerato una macchia, non c'è adito alla violenza di nessun genere.  Il Dhamma del Buddha non può mai avvallare la giusta guerra, la giusta tortura, la giusta condanna a morte o perfino la giusta ira.  In questo, non può esserci compromesso.  Per il Buddha non c'è giusta causa per la quale si possa essere giustificati nel commettere violenza.  La pace, secondo il Buddha, può solamente essere ottenuta con mezzi pacifici.


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Ultima revisione: 07 settebre 2007.
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