Traduzione di Alessandro Selli dell'articolo disponibile su: http://nirc.nanzan-u.ac.jp/publications/miscPublications/I-R/pdf/18-Phongphit.pdf

Elementi di liberazione nel buddhismo theravāda thailandese odierno

Seri Phongphit

Istituto thailandese per lo sviluppo rurale

Il saggio che segue è una versione leggermente rielaborata di un documento presentato alla 5ª Conferenza interreligiosa sul tema: “Elementi di liberazione nelle religioni asiatiche”, che si è tenuto a Seul quest'anno [1990].  L'autore, ben noto ai lettori di questi bollettini, è attivo sia nel suo paese che all'estero nell'incoraggiare la cooperazione tra buddhisti e cristiani sia nell'ambito intellettuale che pratico.

Non essendo la religione un'attività meramente intellettuale e filosofica quanto piuttosto un'esperienza umana, o per dirla forse meglio: uno stile di vita, vorrei affrontare l'argomento degli elementi liberatori del buddhismo thailandese nei termini del mio personale coinvolgimento che vi ho avuto: emotivo, intellettuale e intuitivo.

La Thailandia è stata sottoposta ad una rapida trasformazione in questi ultimi trent'anni.  L'industrializzazione sta sostituendo i metodi tradizionali di produzione agricola.  I centri urbani sono parecchio arretrati.  La religione è trascinata verso il cambiamento mentre da una parte tenta di resisterlo e dall'altra di adeguarsi per seguire la nuova corrente.

Le prospettive stanno cambiando rapidamente in tutti i settori della vita.  Non solo nei centri urbani ma anche nelle aree rurali, anche se su scala minore.  I cambiamenti nel mondo religioso sono particolarmente evidenti nelle città, dove i nuovi movimenti religiosi attecchiscono con maggiore facilità che nei villaggi.

Il dott. Prawase Wasi, un eminente laico buddhista che ha compiuto uno studio sinottico dei tre principali movimenti [buddhisti] thailandesi odierni, trova che il movimento santi asoke mette l'accento sulle (regole di) sila [disciplina, NdT], il dhamma kaya sul samadhi (concentrazione) e Buddhadasa su pañña (saggezza).  Tutti e tre, ciascuno a modo proprio, portano avanti uno sforzo di rinnovamento del buddhismo [per adattarlo] al mondo moderno.  Ciascuno di loro va incontro ai “requisiti” di uno specifico ceto [sociale].  La santi asoke è popolare tra quanti sono alla ricerca di regole, disciplina e ordine più fermi.  La dhamma kaya ha numerosi seguaci nella classe media dei centri urbani che cercano la pace della mente e prendono rifugio dalla confusione del mondo ordinario in un fine settimana pacifico e meditativo.  I seguaci di Buddhadasa fanno parte della classe colta e dell'intelligentsia che non sente il bisogno di un “emblema istituzionale” e si sente libera di praticare il buddhismo nella propria vita quotidiana.  Questi tre [movimenti] sono i più noti in Thailandia.

Buddhadasa è stato accusato più di trent'anni fa di essere un “comunista”.  Oggi ottantenne [è deceduto nel 1994, NdT] non è più una personalità controversa per quanto continui a dichiarare che il buddhismo sopravviverebbe anche sotto il comunismo.  Ha ricevuto onorificenze dalla maggior parte degli istituti accademici e riceve un dottorato honoris causa quasi ogni anno.

Il dhamma kaya ha avuto l'onore delle prime pagine qualche anno fa a causa dell'espansione del suo centro nelle risaie che lo circondavano nei sobborghi di Bangkok.  Questo conflitto è stato una versione in miniatura del caso “aeroporto di Narita”.

La santi asoke ha sofferto più di tutte, essendo stati il suo capo e una settantina di monaci arrestati nei primi mesi del 1989 e ancora alle prese con il relativo processo giudiziario.  Il punto principale del contenzioso è la loro indipendenza dalle strutture buddhiste legalmente riconosciute.  Da un punto di vista politico la loro persecuzione consiste in un attacco contro il governatore di Bangkok, uno dei seguaci più importanti della santi asoke.  La santi asoke è stata infatti attaccata poco prima della campagna politica per l'elezione al governatorato.  Ciononostante “Maha Chamlong” ha conseguito un'altra vittoria a valanga nelle elezioni di gennaio del 1990, uscendone rieletto per un altro mandato.

La principale fonte di questi attacchi sono stati i buddhisti militanti, sia monaci che laici, legati all'istituzione buddhista legalmente riconosciuta.  L'ala destra di questa istituzione è rappresentata da phra Sophon Kanaphorn, che ricopre il ruolo di protettore del buddhismo.  L'ala sinistra, popolare tra la classe colta e gl'intellettuali, è rappresentata da phra Thep Vethi, uno degli intellettuali più rinomati, che ricopre un ruolo non dissimile da quello del cardinale cattolico Ratzinger, protettore della dottrina fidei.  All'interno dell'istituzione legalmente riconosciuta vi sono numerose altre piccole correnti.  Qualche centinaio di bhikkhu può raggrupparsi per dare vita alla propria “istituzione”, limitatamente al proprio circolo.  Molti di tali gruppi sono coinvolti in pratiche legate a credenze popolari come l'astrologia e l'occultismo.

Negli ultimi anni l'ala militante sia della destra che della sinistra si è fatta sentire dal pubblico per via dei suoi attacchi contro la chiesa cattolica per le sue attività che considerano di cripto-proselitismo e contro il movimento santi asoke per la loro “eresia”.  In nessuno dei due casi la loro campagna ha goduto del sostegno del pubblico.  Al contrario, i mezzi d'informazione, coscienti dei loro propri legami con il buddhismo, hanno invitato i buddhisti a fare per prima cosa pulizia a casa propria.  Inoltre hanno puntato il dito contro i “cattivi” monaci e laici insistendo che la salvezza del buddhismo è da ricercarsi nella sua seria pratica.

Al contempo il pubblico ha sempre più accolto di buon grado il ruolo dei seguaci di Buddhadasa che evitano lo scontro diretto con l'istituzione ufficiale articolando piuttosto in vario modo la loro critica della società e del comportamento irresponsabile di certi sedicenti buddhisti.  I venerabili Pañña Nanda bhikkhu e phra Phayom si sono distinti in particolar modo a riguardo.  Hanno conquistato il favore del pubblico non solo per il contenuto dei loro sermoni ma anche per il loro stile, fluente, moderno e criticamente diretto al punto.  (Questi due monaci ed altri “seguaci” di Buddhadasa non hanno voluto dare il loro sostegno ai gruppi militanti nei due conflitti di cui sopra.)

Due altri gruppi meritano attenzione: un gruppo di giovani studenti-monaci nelle due università buddhiste di Bangkok e un gruppo di monaci dediti allo sviluppo nelle aree rurali.

Ci sono circa duemila studenti-monaci a Bangkok, la maggior parte dei quali provenienti da famiglie povere delle regioni rurali.  Per molti di loro diventare monaco era la sola maniera di procurarsi un'educazione di buon livello.  Durante la primavera democratica durata tre anni tra il 1973 e il 1976 un gruppo di studenti-monaci si era unito ai movimenti studenteschi, ai lavoratori e agli agricoltori nelle dimostrazioni che avevano luogo nelle strade di Bangkok.  Da allora si sono tenuti limitati ai loro templi e aule.  Dopo il quarto anno di studi gli studenti-monaci devono trascorrere un anno di “pratica” nelle aree rurali dove la maggior parte di loro entra in contatto con i monaci impegnati nei progetti di sviluppo.  Là provvedono all'assistenza necessaria all'educazione dei novizi e dei monaci ma sono anche impegnati nell'aiutare le comunità locali a curare il proprio sviluppo.

La maggioranza di questi studenti-monaci si disfa dell'abito monastico una volta conclusi gli studi, ma quelli che rimangono a condurre la vita monastica sono giunti a ricoprire un ruolo importante nella realizzazione delle riforme graduali della struttura tradizionale.  Insieme fanno parte di una minoranza istruita dei circa 250.000 monaci del paese.

Il numero totale dei monaci può rimanere immutato, ma il numero dei monaci che rimane [nella comunità monastica] per molti anni o per la vita intera sta diminuendo.  Molti templi nelle aree rurali non hanno monaci, o magari hanno dei monaci che vi soggiornano solamente nel periodo della “quaresima buddhista” [vassa, la stagione delle piogge NdT].  Molte comunità di villaggio devono “offrire” un onorario annuale contrattuale ai monaci perché questi restino nel loro tempio.

Il secondo gruppo di monaci che merita menzione sono i monaci dediti allo sviluppo.  Sono attivi nello sviluppo delle comunità nelle aree rurali.  Fino a dieci anni fa il termine “monaci di sviluppo” era usato per indicare alcuni individui isolati attivi in vari modi per la realizzazione di opere sociali.  Adesso si sono invece riuniti in piccoli gruppi locali a formare una rete a livello regionale.  Ci sono almeno dieci gruppi di monaci dediti allo sviluppo nel nordest, ciascuno con circa una trentina di membri.  La provincia di Nakhonrachasima è un'eccezione essendo lo stesso capo-monaco provinciale un monaco attivo nello sviluppo.  Per quanto non tutti i 3.500 monaci di questa provincia siano attivi nello sviluppo delle comunità, centinaia di loro lo sono.  Una trentina di monaci mantengono i circa cinquemila ettari di foresta pubblica, piantando nuovi alberi e proteggendoli dall'invasione degli estranei.  Una cosa simile succede a Chiangmai.  Questi monaci sono anche diventati importanti come capi dei movimenti ambientalisti nelle aree rurali.

Gli altri monaci attivi nello sviluppo assumono per la maggior parte il ruolo di guida in vari progetti di sviluppo.  Quelli più interessanti sono quelli che sono riusciti ad conciliare l'azione meditativa con l'azione sociale.  Sostengono che senza una base spirituale lo sviluppo economico può essere dannoso.  Insegnano che abbiamo bisogno di capire la nostra natura umana per quello che è, con le sue potenzialità e limiti; e anche che lo sviluppo socio-culturale deve seguire lo sviluppo economico.

I programmi di sviluppo di questi monaci possono non sembrare diversi da quelli ordinari realizzati dalle organizzazioni non governative o governative.  Ma invece ne differiscono essenzialmente per l'essere radicati nello spirito religioso-culturale delle comunità di villaggio.  La maggior parte dei monaci sono nati nei villaggi o per lo meno nelle aree dove sono attivi.  La maggior parte di loro non ha avuto una preparazione accademica ma la loro è la cultura del villaggio.  Inoltre, molti pochi di loro sono direttamente coinvolti in pratiche legate alle credenze popolari e all'occultismo.

Si è discusso molto a proposito dei monaci e dello sviluppo delle comunità.  Molti obiettano sull'opportunità che dei monaci si occupino direttamente di progetti economici che hanno a che vedere con “i soldi” e con “gli animali”.  A molti non piace vedere dei monaci coinvolti in progetti economici quali la gestione di negozi e rivendite, le piantagioni di gelso e l'allevamento di bachi da seta e l'allevamento di bovini e pesci.  Le giustificazioni che danno questi monaci sono che non possono rimanere nei templi mentre vedono gli abitanti del villaggio ridotti alla fame, indebitati e avviati alla rovina.  Devono invece mettere il loro ruolo di guida della comunità anche al servizio dell'economia e del benessere del villaggio.  Una volta migliorata la situazione possono cedere queste incombenze ai laici, ma nel frattempo devono considerare necessaria la loro partecipazione diretta a questi progetti.

La contro-critica mossa sia da alcuni monaci che da laici è che i monaci dovrebbero riconoscere il potenziale della comunità laica e concederle quindi la possibilità di esercitarlo limitandosi ad offrire buoni consigli e supervisionando gli eventi senza esserne direttamente coinvolti.  Molti monaci ricoprono questo ruolo con sempre maggiore approvazione.

Recentemente un altro ruolo dei monaci è emerso in relazione ad un altro problema che è considerato dal pubblico come il più appropriato [campo di attività pratica] per la condizione monastica: quello della protezione delle foreste e della riforestazione.  Solo una generazione fa la Thailandia era foresta per il 60%.  Oggi quel numero è sceso ad un misero 19%.  La peggiore conseguenza è il deterioramento dell'ambiente rurale.  La foresta era benefica non solo per il suo legno, ma anche per il cibo e per le medicine che forniva.  Oggi gli abitanti dei villaggi devono comprare tutto nei mercati.  La causa principale di questo deterioramento ambientale è stata la politica del governo che negli ultimi trent'anni è stata rivolta principalmente all'esportazione.  Gli abitanti dei villaggi hanno cominciato a coltivare riso e prodotti da profitto come la juta, la cassava, il mais e gli alberi della gomma per l'esportazione mentre i commercianti di legname tagliavano gli alberi per i loro affari con l'estero.

Il governo ha dichiarato chiuse tutte le foreste nel gennaio del 1989.  Sono state anche incoraggiate la protezione e la riforestazione, ma questi metodi non sono appropriati. Hanno solo aperto nuovi canali alla corruzione e al conseguente proseguimento della deforestazione.  Grandi imprese di riforestazione hanno occupato illegalmente aree di foresta per piantarvi eucalipto.  Di tali notizie è un bel po' che sono piene le prime pagine dei giornali.

Il problema delle “foreste comunitarie” si è posto con la chiusura ufficiale delle foreste.  In questo ambito ai monaci si chiede di partecipare ai programmi di riforestazione.  La foresta della comunità è una foresta naturale rinfoltita composta di vari tipi di alberi.  Alle comunità locali è richiesto di piantare nuovi alberi e di occuparsi della protezione della loro foresta che sorge sul terreno pubblico tutt'intorno al villaggio.  L'idea è chiara, ma in realtà è difficile da realizzare.  Solo i villaggi che godono di una buona guida collettiva riescono a organizzarsi per realizzare una tale opera.  Molti monaci hanno fornito proprio questa buona guida, lavorandoci su per anni senza richieste o assistenza dal governo.

Alcuni monaci nelle aree del nord hanno rinnovato vecchie pagode nelle foreste o ne hanno costruito di nuove.  Il risultato è che gli abitanti dei villaggi non invadono la terra o tagliano alberi in quelle aree.  Alcuni monaci eseguono cerimonie tradizionali per consacrare i ruscelli e le foreste assicurando così a questi un futuro quali sorgenti di vita per le comunità.  E ci sono molte altre forme ancora di “resistenza” alla rovina delle foreste da parte degli abitanti dei villaggi.

Monaci e laici della provincia di Nakhonpathom, vicino a Bangkok, e di altre provincie del nordest mettono dei cartelli sugli alberi delle foreste pubbliche indicando il nome e le proprietà medicinali di ciascuno.  Gli abitanti dei villaggi considerano la foresta una fonte della medicina tradizionale.  Ci sono molti altri modi in cui s'impegnano i monaci e i laici che vogliono proteggere e rinfoltire le foreste.  Il punto di partenza è di mostrare agli abitanti del villaggio come fare uso della foresta non distruttivamente.  Mentre così negli abitanti del villaggio cresce una sempre maggiore consapevolezza, arrivano a comprendere anche altri aspetti quale la relazione olistica tra la foresta e l'ambiente.

Come ha detto phra acharn Somnuek a Nakhonpathom:

Se noi monaci non coltiviamo gli alberi e non proteggiamo la foresta, nessun altro lo farà.  A partire dall'area del tempio.  I monaci devono amare gli alberi, curarli e farli crescere.  Gli alberi del tempio sono la miglior sala del tempio.  Possiamo praticare la meditazione in questo tempio naturale proprio come il Buddha e i suoi discepoli facevano una volta.

Sette anni fa questo monaco ha trasformato il terreno del suo tempio, di circa dieci ettari, in una foresta naturale.

Il buddhismo in Thailandia deve affrontare i cambiamenti che sonno in atto in tutta la società.  Com'è successo nelle altre società industrializzate, la religione è andata sempre più sminuendo.  Non ricopre più il suo ruolo tradizionale.  Il buddhismo era come un'istituzione sorella dell'istituzione secolare politica della società, forniva a questa la sua ragione d'essere ed era il centro della più genuina vita comunitaria.  I nuovi gruppi buddhisti elencati all'inizio di questo saggio sono dei tentativi per il rinnovamento del buddhismo.  Buddhadasa ne ha ricoperto un ruolo profetico mentre il Dhamma Kaya e la Santi Asoke ne costituiscono strutture di nuova organizzazione.  Rappresentano una nuova forma di istituzione buddhista che deve decentralizzare il potere.  Deve esserci una varietà di istituzioni che siano dedite agl'interessi di specifici gruppi, aree geografiche e culture.  I piccoli gruppi di monaci dediti allo sviluppo delle aree rurali del nordest e del nord sono di natura non istituzionale.  La loro efficacia risiede nella loro capacità di lavorare in piccoli gruppi collegati tra di loro da una rete di contatti flessibile.

Buddhadasa una volta ha detto: “I principali ostacoli al conseguimento del nirvana sono il Buddha, il Dhamma e il Sangha.”  Quello che intendeva dire è che i tre rifugi sono arrivati ad essere intesi materialisticamente dalla gente.  Quando gli chiedono perché lui rimane nell'istituzione ufficiale risponde: “È come non vi fossi”.  Buddhadasa non ha messo su nessuna organizzazione istituzionale.  Quelli che seguono la sua dottrina devono farlo mettendola in pratica nella loro vita quotidiana, rimanendo dove e quello che sono.  Il cambiamento sta in “come” sono quello che sono.

Il buddhismo mette l'accento nella liberazione che sorge da dentro la persona.  Eppure, paradossalmente, il buddhismo istituzionale non riconosce il potenziale locale per quanto riguarda l'ambito dell'organizzazione e dell'istituzione.  La gerarchia, il capo designato fanno ancora affidamento all'uniformità per conservare l'unità, non alla diversità o alla pluralità.  È l'ordine sociale e istituzionale che conta, più del messaggio liberatorio del Buddha.  I seguaci di Buddhadasa, della Santi Asoke e della Dhamma Kaya sono convinti che il buddhismo che praticano sia il “vero” buddhismo.  Il “vero” per loro è dimostrato dalla loro propria esperienza, non è sancito da un'istituzione ufficiale.  La loro sensazione di liberazione viene dal di dentro, non dalle strutture del di fuori.  Questo senso di vera forza liberatrice non può essere conferito da nessuno.  Può solamente essere facilitato da un'organizzazione sociale esterna appropriata.

Questa è la ragione principale per la quale un piccolo gruppo di monaci nelle aree rurali si è messo alla ricerca di un nuovo ruolo per sé stesso attivandosi nella realizzazione di progetti di sviluppo.  Avvertono la cosa non solo come una loro “responsabilità” spirituale, ma anche come una responsabilità nei confronti del benessere della comunità e della stessa società.  Agiscono di loro propria iniziativa.  Sono convinti che la liberazione debba essere appropriata.

Dal punto di vista dottrinale la dimensione sociale non è nuova nel buddhismo più di quanto lo sia in qualsiasi altra religione, è l'interpretazione del messaggio del fondatore ad esserlo di più.  I monaci delle aree rurali vedono che la situazione che si è creata non permette loro di starsene senza far niente nel tempio aspettando che gli abitanti del villaggio portino il cibo.  Devono uscire per incontrare e assistere la gente presa dai molti problemi che devono affrontare.

La struttura religioso-culturale della comunità del villaggio rimane immutata.  È la saggezza di chi ne è alla guida che deve trovare i modi di conservare, di proteggere, di riadattare e di ricreare le tradizioni culturali che prendono corpo nella dottrina buddhista entro i limiti imposti dall'istituzione buddhista ufficiale.

Le esperienze dei monaci e dei capi delle comunità buddhiste laiche nelle aree rurali sono convincenti e sono di un'importanza fondamentale per la società thailandese odierna.  Al contempo ho la sensazione che i movimenti buddhisti delle aree rurali siano movimenti isolati.  Vanno per la loro strada senza nessun aiuto serio dalla classe media più edotta dei centri urbani.  Non sto pensando tanto all'aiuto materiale quanto all'aiuto morale e alla solidarietà.  La stessa cosa sta succedendo per le masse dei poveri nelle aree rurali e nei centri urbani.

Finora non c'è stata nessuna riflessione seria riguardo l'esperienza dei poveri nelle oltre mille borgate che ospitano più di un milione e mezzo di persone a Bangkok, le centinaia di migliaia di lavoratori che provengono per la maggior parte dalle aree rurali, i contadini poveri che costituiscono oltre il 70% della popolazione e i giovani studenti alla ricerca del significato della vita nel mondo moderno.  Possono dirsi buddhisti, essere più o meno dediti alla pratica della loro fede ma ci si deve domandare che cosa significhi per loro essere buddhisti oggi, che cosa il buddhismo abbia a che fare con la loro vita quotidiana.  Al contempo manca una riflessione sistematica sulle esperienze dei monaci dediti allo sviluppo, ai monaci dediti alla meditazione o ai monaci itineranti e a quelli che vivono la loro fede con impegno.

Il dottor Prawase Wasi, un laico buddhista impegnato, ha scritto un libro dal titolo “Agricoltura buddhista” che è forse l'unica seria riflessione sulle esperienze buddhiste riguardanti lo sviluppo rurale odierno.  Sarebbe interessante che qualcuno oggi in Thailandia scrivesse un'opera tipo “Piccolo è bello” basandosi sulle autentiche esperienze degli agricoltori thailandesi.

I punti di riferimento stanno cambiando.  I thailandesi, confusi dai rapidi cambiamenti, sono alla ricerca della liberazione.   Il buddhismo dovrebbe offrire una risposta, ma il buddhismo del vecchio paradigma non può.   Il popolo thailandese deve riesaminare le proprie radici per riscoprire i valori della loro vita quotidiana nella loro stessa cultura.   Non si tratta di tornare nel passato quanto piuttosto di tornare alle radici, ai valori che hanno bisogno di essere rinnovati, adeguati e ricreati ove necessario.   Le esperienze e i modelli ci sono, anche se su piccola scala.  Attendono però di essere elaborati, espansi e presi con maggiore serietà.

La maggior parte delle critiche della società thailandese moderna indicano il buddhismo come la vera forza dello sviluppo equilibrato.  Il dottor Chaianan Samudwanit, il noto studioso di scienze politiche, crede che la strada che ha preso oggi lo sviluppo sia una di quelle pericolose.  La crescita economica non rende più felice la gente.  Il popolo thailandese deve innanzitutto radicare il proprio sviluppo nella propria cultura e il buddhismo è una parte essenziale di questa cultura.

Mentre il dott. Chaianan e molti studiosi sostengono il movimento per uno sviluppo alternativo che si basi sugli insegnamenti buddhisti e mentre Buddhadasa ha continuato a mostrare un modello di un tale sviluppo negli ultimi trent'anni sottolineando la dimensione sociale e l'attualità della dottrina buddhista, il resto della classe più istruita, degli studiosi e dell'intellighenzia non sembrano stare al passo.  Solo la combinazione del pensiero e dell'azione, o della riflessione e dell'esperienza, può ristabilire il ruolo profetico del buddhismo.  E solo allora la liberazione potrà andare oltre i limiti del mero esercizio intellettuale per diventare una vera forza liberatrice.

Inter-Religio numero 18 / autunno 1990


< Torna al livello superiore <
<<
Torna alla pagina iniziale <<


In linea: 20 agosto 2007
Ultima modifica: 10 settembre 2010
I diritti d'autore sono detenuti dall'Autore dell'originale.
I diritti della traduzione in italiano sono del traduttore.
La traduzione italiana è coperta, ove compatibile con la licenza
dell'originale, dalla licenza Creative Commons versione 3.0
Attribuzione - Non commerciale - Condivisibile alle stesse condizioni
http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/deed.it