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Data: 19/04/2008 15:51
Oggetto: Sul buddhismo e le caste
ID-messaggio: <66ubmrF2mhm3tU1@mid.individual.net>

Lievemente riedito. Ultima modifica: 26 set 2010



  Leggendo il messaggio di Philip Ernest (Re: Nepal «Saremo una repubblica comunista», 18/04/2008 11:00, ID-messaggio: <502044a0-27f4-4900-b180-fe2b271c1669@24g2000hsh.googlegroups.com>), mi sono sentito spinto a scrivere questa dissertazione riguardo la considerazione del Buddha per il sistema delle caste.  Questo perché le seguenti parole dell'autore hanno destato in me una certa preoccupazione che si possa intendere che l'insegnamento buddhista preveda ed includa l'organizzazione castale della società.  Personalmente trovo inconfutabile che il buddhismo abbia operato un superamento del sistema castale su basi etiche.  La visione buddhista della società so però che è stata criticata da parte della sezione più bigotta e reazionaria della società hindu nel quadro delle accuse mosse contro il dott. Ambedkar e la sua visione della società.

  Ha scritto l'autore:

Ma sai, no, che il Buddha non fu revoluzionario, non propose un
programma di riforma sociale.  La sua opposizione al sistema castale
fu filosofica.  Ed a nessun punto nella storia era la societa'
buddista senza casta.  Dire che la casta sia una cosa specialmente
brammanica o indu', e assolutamente falso.  Tutte le religioni che
pretendono che venissero a india per liberare le caste basse, il
Buddismo, il Crestianesimo, l'Islam, parlano pure menzogne.  Queste
societa' sono fino ad oggi non meno dominate dal castismo che sia la
societa' indu'.  La differenza e' che le scritture indu' riconoscono
ed ammettono apertamente questa realta' della societa' indiana--e
forse, se possiamo distaccarsi dai propri pregiudizi occidentali,
potremmo ammetere che forse c'e' piu' di un pochissimo di vera realta'
nella concezione basale della casta.

  Riguardo la presenza del sistema delle caste nella dottrina canonica (Theravāda, per la precisione), ho motivo di ritenere che vi sia presente e che non vi sia esplicitamente condannata come tale per questi soli motivi:

  1. le caste sono afferenti l'ordinamento sociale, e a riguardo il Buddha, come giustamente scrive l'autore, non si propose come un riformatore o un legislatore;
  2. tale ordinamento sociale era preesistente il Buddha e il suo insegnamento si propone non il loro abbattimento, ma il loro superamento;
  3. le caste, come pure qualsiasi ordinamento sociale, sono inessenziali ai fini della pratica buddhista, ossia a quella di profonda visione e introspezione, come pure ai fini della corretta condotta morale.  Più importante di tutto, sono irrilevanti ai fini della liberazione.

  Come scrive il dott. Hans W. Schuman nel suo: "Il Buddha storico" (Der historische Buddha, Köln, Diederichs, 1982), il Buddha Gotama confutava l'idea brahmanica dell'origine divina della loro come di tutte le caste.  Pur considerando che «scardinare il sistema delle caste sarebbe stato [...] privo di senso e inutile», che l'India «del territorio centrale non riteneva il sistema delle caste un peso troppo opprimente» (siamo a prima dell'accettazione sociale dello sciagurato Mānava dharmaśāstra) e che semplicemente «le caste (vaṇṇa) e le sottocaste (jāti) rappresentavano una gerarchia di ceti e professioni» (Schuman IV 4, 'Buddha e il sistema della caste'), il Buddha Sakyamuni se ne partì in modo considerevole dalla concezione e dal ruolo brahmanico coevo delle caste.

  Infatti per il Buddha le caste non erano che un sistema di ordinamento sociale, uno di quelli possibili, un tipico frutto dell'attività mentale umana, ma non lo disse mai né necessario né il migliore, né per la società né, tanto meno, per la sua dottrina.  Anzi.

  Dallo stesso Schuman: «Uno degli argomenti con cui i bramini mettevano in cattiva luce presso i loro confratelli di casta il samaṇa Gotama era che questi riconosceva la purezza di tutte e quattro le caste (Majjhima Nikāya, 93 II p. 147) [...] Le sue energie erano rivolte contro [...] l'opinione che dall'appartenenza alle diverse caste trapelasse il valore della persona.  Ha sottolineato piú volte che le differenze sociali fra gli uomini non corrispondevano a differenze di sostanza.  Tutte e quattro le caste avevano le stesse possibilità di salvezza, come da quattro fuochi, alimentati con legna diversa, si alza sempre la stessa fiamma (M, 90 II p. 129 segg.).
  «Spiegò che si era bramini non per nascita, ma per comportamento dignitoso e alta condotta etica.  Qualunque fosse la casta di appartenenza, chi possedeva la necessaria autodisciplina poteva essere chiamato bramino.».

  Non è un caso che il buddhismo abbia infatti saputo propagarsi tra società e popoli organizzati secondo criteri diversi dal sistema castale hindu.  E non meraviglia quindi che il dott. Ambedkar, contro cui gli hindu ortodossi hanno ripetutamente scagliato le più aspre critiche e insulti ("falso", "ipocrita", "ignorante" ecc.) abbia visto nel buddhismo quella possibilità di riscatto sociale dei dalit, ai quali nei suoi tempi era persino proibito l'accesso ai templi.  Mentre non solo nei templi, ma nello stesso sangha monastico l'accesso non è mai stato loro precluso in nome dell'insegnamento del Buddha, come pure non lo è stato il massimo grado di fruizione dei frutti dell'ascesi, il nibbāna.

  Dalla raccolta Udāna V, "Soṇa Thera":

Proprio come, o monaci, quali che siano i fiumi - cioè
la Gaṅgā, Aciravatī, Sarabhū e Mahī - tutti costoro, allorché
raggiungono il grande Oceano, abbandonano gli antichi nomi e
le famiglie, e procedono avanti col solo nome di "grande
Oceano", così pure, o monaci, [gli appartenenti al]le quattro
caste: khattiya, brāhmaṇa, vessa e sudda, procedendo dalla
vita in casa alla vita errante nella disciplina della Buona
Legge insegnata dal Tathāgata, abbandonano i loro nomi e le
loro famiglie e vanno solo col nome di "monaci figli del
Sakya".  Questa è, o monaci, la quarta circostanza
meravigliosa e strana contemplando la quale, di tempo in
tempo, gli Asura si rallegrano.
(da: "Aforismi e discorsi del Buddha", TEA, pagg. 119-120, anche in Anguttara Nikāya 8 19)

  Molto indicativo anche questo brano, della raccolta Theragāthā, "I canti degli anziani", che per voce del protagonista racconta come un lavoratore di una delle più umili e disprezzate fasce sociali fu non solo prontamente ammesso nel sangha dal Buddha con praticamente nessuna formalità, ma arrivò anche presto a conseguire la liberazione, il nibbāna.

Provengo da un'umile famiglia,
ero povero e scarso era il mio cibo,
il mio destino era un lavoro oscuro:
spazzavo fiori appassiti.

Ero disprezzato da tutti,
poco considerato e sempre messo da parte,
avevo abdicato a ogni fiducia in me
e mi piegavo servilmente davanti al mondo.

Vidi un giorno il Risvegliato
avvicinarsi circondato dai suoi discepoli,
ero in attesa del grande eroe
quando questi entrò nella capitale di Magadha.

Dopo aver gettato il mio bastone,
mi avvicinai per inchinarmi.
Mosso da compassione verso di me,
si fermò, lui, il piú grande di tutti gli uomini.

Mi gettai ai piedi del maestro.
Dopo, stando in piedi al suo fianco,
pregai il migliore degli uomini
di concedermi la pabbajā [l'accettazione nella
comunità mendicante, NdR].

E lui, il maestro, pieno di compassione,
bendisposto verso tutti nella sua pietà,
parlò e disse: «Vieni, bhikkhu!»  Fu allora
compiuta per me la upasampadā [la cerimonia di
ordinazione, NdR].

Rimasi da solo nella foresta,
sempre instancabile nel cercare
di seguire la parola del maestro,
come lui, il vincitore, me la rivelò.

E nella  prima veglia di una notte
mi si spalancarono le recenti esistenze,
poi nella seconda veglia
arrivai alla conoscenza delle cose nascoste.
E nell'ultima sono riuscito a
penetrare le tenebre (dello spirito).

(Th. 620-27)

  Di nuovo sottolineo quindi come, anche senza volerle cancellare nella società laica, il Buddha delle caste non se ne faceva proprio nulla.  Lui considerava le persone per quello che erano e per quello di cui erano capaci, le valutava per le loro qualità morali e per la loro capacità d'intendere il suo insegnamento e di arrivare a godere del frutto della pratica.  La sua dottrina non ha nessuna necessità o spazio per le caste brahmaniche, né infatti spreca una parola nella loro giustificazione o apologesi.

  Un altro brano in cui risulta evidente come il Buddha soprassedesse e superasse il sistema delle caste, pur non dichiarando di volerle abolire, è il seguente.  In esso, prendendo lo spunto da una domanda di Pasenadi, re del Kosala, il Buddha fa dire allo stesso re che il valore di un uomo, e quindi il valore di un'offerta elargita a vantaggio di quell'uomo, non è dettato in alcun modo dalla casta di appartenenza dell'individuo, ma dalle sue qualità morali e mentali, di cui possono tanto abbondare quanto deficitare i membri di qualsiasi casta.


  1. Così ho udito: una volta il Sublime dimorava presso Rājagaha, nel Parco Veḷuvana, nella Riserva degli Scoiattoli.
  2. Allora il re del Kosala Pasenadi andò dal Sublime, lo riverì e sedette da parte.  Sedendo da parte, il re del Kosala Pasenadi chiese al Sublime: "Signore, a chi1 va elargito il dono?".
  3. "A coloro nei quali2 si ha fede, gran re".
  4. "E in quale caso3, o signore, il dono è altamente fruttifero?".
  5. "Gran re, una cosa è a chi si debba elargire il dono, e un'altra cosa è in quale caso il dono sia altamente fruttifero; il dono elargito a chi si comporta bene è altamente fruttifero; non così [si può dire] per quello elargito a chi si comporta male.  Adesso, o gran re, io ti farò a mia volta una domanda e tu mi risponderai come ti parrà.
  6. "Che cosa pensi, gran re? Supponi che sia per te imminente un combattimento, che stia per svolgersi una battaglia e che venga da te un giovane khattiya non esercitato, non allenato, inetto, inesperto del tiro con l'arco, pavido, timoroso, pusillanime, codardo; assumeresti tu quell'uomo?".
  7. "Io non assumerei quell'uomo signore; non trarrei alcun vantaggio da un tal uomo".
  8. "Supponi che venga da te un giovane brāhmaṇa ... un giovane vessa ... un giovane sudda non esercitato ... inesperto del tiro con l'arco ... codardo; assumeresti tu quell'uomo?  Trarresti vantaggio da un tale uomo?".
    "Io non assumerei quell'uomo, signore ...".
  9. "Che cosa pensi, gran re? Supponi adesso che sia per te imminente un combattimento ... e che venga da te un giovane khattiya esercitato, allenato, pratico, esperto del tiro con l'arco, impavido, coraggioso, animoso, intrepido; assumeresti tu quell'uomo?  Trarresti vantaggio da un tal uomo?".
  10. "Io assumerei quell'uomo, signore: trarrei certamente vantaggio da un tal uomo".
  11. "Supponi che venga da te un giovane brāhmaṇa ... vessa ... sudda esercitato ... intrepido; assumeresti tu quell'uomo?  Trarresti vantaggio da un tal uomo?".
  12. "Io assumerei quell'uomo, signore ...".
  13. "Similmente, o gran re, da qualunque famiglia provenga uno che ha lasciato la casa per la vita senza casa, se ha abbandonato i cinque elementi ed è munito di cinque requisiti il dono a lui elargito è altamente fruttifero."

Note:
  1. Lett. 'dove' interrog. (kattha).
  2. Lett. 'là dove' (yattha).
  3. Lett. 'dove' interrog. (kattha).

Saṃyutta Nikāya, I III 3 - Il mondo


  In quest'altro è dichiarato esplicitamente come le caste siano irrilevanti ai fini della massima, eccelsa purezza e del supremo conseguimento del cammino ascetico:

  1. Così ho udito: una volta il Sublime dimorava presso Rājagaha, nel Parco Veḷuvana, nella Riserva degli Scoiattoli.
  2. Allora il brāhmaṇa Suddhika-Bhāradvāja andò dal Sublime, lo salutò garbatamente e, dopo avere con lui scambiato cortesi e amichevoli espressioni, sedette da parte.
  3. Sedendo da parte egli indirizzò al Sublime questa strofa:
    "Nessun brāhmaṇa al mondo si purifica

    per l'osservanza di un codice morale e per l'austerità;

    si purifica colui il quale possiede la Conoscenza [vedica] e

    si comporta rettamente;

    non [si purificano] gli altri esseri".
  4. [Il Sublime:]
    "Chi molto chiacchiera ed è bramoso

    non è brāhmaṇa a motivo della nascita:

    impuro e corrotto di dentro, è ammantato di ipocrisia!

    Il khattiya, il brāhmaṇa, il vessa, il sudda, il caṇdāla, il
    pukkusa1
    energicamente risoluto, costantemente dedito allo sforzo

    consegue l'eccelsa purezza; questo sappi, o brāhmaṇa!


  1. Casta inferiore, non ariana, i cui membri si guadagnavano da vivere ripulendo i santuari e i reliquiari dai fiori appassiti.

Saṃyutta Nikāya, I VII 7 - Suddhika


  In ultimo, propongo alla riflessione questi brani, tratti ancora dal Saṃyutta Nikāya, I VII 9 - Sundarika:

3. Allora, dopo aver sacrificato al fuoco, dopo aver fatto un'offerta al fuoco il brāhmaṇa Sundarika-Bhāradvāja si alzò e si guardò d'attorno nelle quattro direzioni pensando: "Chi potrebbe ora mangiare questo avanzo d'oblazione?".
4. Vide egli il Sublime seduto al piede d'un albero col capo ravvolto; vistolo, prese con la mano sinistra un avanzo dell'oblazione, con la mano destra la brocca dell'acqua, e si avvicinò al Sublime.
5. Al rumore dei suoi passi il Sublime si scoprì il capo.
6. Allora il brāhmaṇa Sundarika-Bhāradvāja si disse: "Costui è un rapato, è un volgare rapato!", e stava per tornare indietro.
7. Poi pensò: "Qui ci sono anche dei brāhmaṇa che sono rapati; e se io lo avvicinassi e lo interrogassi sulla sua nascita?".
8. E il brāhmaṇa Sundarika-Bhāradvāja si avvicinò al Sublime e gli chiese: "Venerabile, qual è la tua nascita?".
9. [Il Sublime:]
"Non chiedere della nascita, chiedi del comportamento;
dal legno, invero, si genera un fuoco;
ed anche un muni di famiglia umile, se è risoluto,
se è raffrenato e scrupoloso è un nobile. [...]"
17. "[...] Il tuo orgoglio, o brāhmaṇa, è per te un pesante fardello,
la tua collera il fumo, le tue menzogne la cenere;
la lingua è il cucchiaio (sacrificale) e il cuore l'altare del
fuoco.
[...]
Onora gli esseri retti e consapevoli: così è, io dico, l'uomo che
segue la Dottrina".


  Insomma ritengo, alla luce di tutto ciò, che i buddhisti siano ben nel giusto quando affermano che la loro dottrina non contempli la separazione in caste e che in questo il buddhismo non sia accostabile allo hinduismo.  Lo stesso ritengo che il dott. Ambedkar ben possa aver costruito (o per lo meno aver voluto costruire) una comunità buddhista (o neo-buddhista, se si vuole) a partire dagli insegnamenti del Buddha Sakyamuni.  Se poi si vuole aderire al sistema hindu delle caste ben sia, il Buddha non volle impedire a nessuno di darsi quale condotta o ordinamento sociale questi volesse.  Solo, io trovo che il dare ai buddhisti degli ipocriti e degli ignoranti perché sarebbero, agli occhi di chi segue un'altra dottrina e organizzazione sociale, gente che mentirebbe e che s'ingannerebbe circa la vera intenzione e l'autentico insegnamento del Buddha a proposito del sistema delle caste, molto indegno, falso, stupido e dettato dall'astio di chi si sente superiore per diritto o volere divino e non tollera che altri si dicano, in tema di tali convincimenti, felicemente discordi.

  Vorrei quindi prendere le distanze da tale affermazione dell'autore:

Tutte le religioni che
pretendono che venissero a india per liberare le caste basse, il
Buddismo, il Crestianesimo, l'Islam, parlano pure menzogne.

  Il buddhismo è giunto infatti per liberare le persone.  Tutte le persone, a prescindere dalla casta.  E le intende liberare subito, qui e ora, non in una futura rinascita o reincarnazione.

Aggiunta del 01 novembre 2008

11. La solitudine

[La divinità:]
"chi sono quelli che nel mondo vivono in solitudine?
Chi sono quelli la cui vita non è vissuta invano?
Chi sono quelli che conoscono la natura del desiderio?
Chi sono quelli che sono sempre indipendenti?
Chi è colui che madre, padre e fratelli venerano come incrollabile?
Chi è colui che, anche se di umile nascita, i khattiya riveriscono?"

[Il Sublime:]
"Gli asceti vivono nel mondo in solitudine, la vita dell'asceta non è vissuta invano;
gli asceti conoscono la natura del desiderio, gli asceti sono sempre indipendenti;
l'asceta madre, padre e fratelli venerano come incrollabile;
l'asceta, anche se è di umile nascita, i khattiya riveriscono"
Saṃyutta Nikāya, I VIII 11

Aggiunta dell'11 settembre 2010

2. [...] Allora Vāseṭṭha e Bhāradvāja si accostarono al Sublime che camminava.
3. Allora il Sublime si rivolse a Vāseṭṭha:
«Voi, o Vāseṭṭha, siete di nascita brahmani, figli di brahmani, di stirpe brāhmana, ed avete lasciata la casa per l'anacoretismo. E, o Vāseṭṭha, i brahmani non vi rimproverano, non vi criticano?»
«Certo, o signore, i brahmani ci rimproverano, ci criticano, con una riprovazione completa, senza mezzi termini».
«E per quale ragione, o Vāseṭṭha, i brahmani vi rimproverano, vi criticano con una riprovazione completa, senza mezzi termini?».
«I brahmani, o signore, così dicono: "Eccelsa è la casta brāhmana, basse le altre caste; pura è la casta brāhmana, nere le altre caste. I brahmani ben si purificano, non coloro che non sono brahmani. I brahmani sono figli di Brahmā, legittimi, nati dalla sua fronte, fatti da Brahmā, creati da Brahmā, consustanziali a Brahmā. Voi avete lasciato una casta eccelsa e siete entrati in una casta bassa: infatti i tonsurati asceti solitari sono impuri, usciti dai piedi di Brahmā. Così non è bene, non è bello che voi, abbandonando una casta eccelsa, siate entrati in una casta bassa: infatti i tonsurati asceti solitari sono impuri, usciti dai piedi di Brahmā". Proprio così i brahmani, o signore, ci criticano con una riprovazione completa, senza mezzi termini ».
4. «Ordunque, o Vāseṭṭha, i brahmani pur ignorando le origini, così dicono: "eccelsa è la casta brāhmana, nere le altre caste; pura è la casta brāhmana, nere le altre caste. I brahmani ben si purificano, non coloro che non sono brahmani. I brahmani sono figli di Brahmā, legittimi, nati dalla sua fronte, fatti da Brahmā, creati da Brahmā, consustanziali a Brahmā". Ma si vedono, o Vāseṭṭha, brahmane gestanti e partorienti, fecondate e gravide di brahmani, e questi brahmani, pur nati da ventre di donna, così dicono: "eccelsa è la casta brāhmana, basse le altre caste; pura è la casta brāhmana, nere le altre caste. I brahmani ben si purificano, non coloro che non sono brahmani. I brahmani sono figli di Brahmā, legittimi, nati dalla sua fronte, fatti da Brahmā, creati da Brahmā, consustanziali a Brahmā." Costoro così bestemmiano Brahmā, dicono menzogne e producono molto demerito.

Il sutta prosegue con il Buddha che dice che nelle varie caste, anche in quella dei nobili, vi sono persone che commettono crimini e che mal si comportano dal punta di vista della condotta morale, rendendosi per questo biasimevoli. Mentre chi si astiene dal commettere crimini e si attiene scrupolosamente ad una retta condotta morale è una persona nobile e "da lodarsi con intelligenza", a prescindere dalla casta d'appartenenza.

7. Proprio così, o Vāseṭṭha, nelle quattro caste l'elemento puro ed impuro, insieme mescolati, sono con intelligenza da biasimare, o con intelligenza da lodare. Ma che i brahmani dicano: "eccelsa è la casta brāhmana, basse le altre caste, pura è la casta brāhmana, nere le altre caste. I brahmani ben si purificano, non coloro che non sono brahmani. I brahmani sono figli di Brahmā, legittimi, nati dalla sua fronte, fatti da Brahmā, creati da Brahmā, consustanziali a Brahmā" ciò non si deve loro concedere. E quale di ciò la ragione? Su queste quattro caste, un monaco santo, che ha esaurito gli āsava, che ha raggiunta la perfezione, che ha compiuto ciò che era da compiersi, che ha deposto il fardello, che ha raggiunto la meta, che ha infranto i legami dell'essere, perfettamente libero da alterità, costui giustamente, non ingiustamente è da proclamarsi il primo su tutti. La dottrina, o Vāseṭṭha, è eccelsa ad ogni essere e in questo visibile mondo e nel mondo futuro.

[...]

9. Voi ora, o Vāseṭṭha, avete lasciato la casa per l'anacoretismo, non siete più della stessa nascita, dello stesso nome, della stessa famiglia, della stessa stirpe di prima. "Chi siete voi?". Essendo così interrogato: "Siamo asceti del figlio dei Sakya" voi affermerete. E colui che nel Compiuto ha fiducia certa, radicata, stabile, solida, non distruggibile, ad un asceta o brahmano, ad in dio, a Māra, o a Brahmā, a chiunque nel mondo, sempre così deve affermare: "Io sono figlio del Sublime, legittimo, nato dalla sua fronte, fatto di dottrina, creato dalla dottrina, consustanziale alla dottrina". E perché ciò? Il compiuto, o Vāseṭṭha, così afferma, un corpo accordato colla dottrina è un corpo accordato con Brahmā, chi diviene dottrina, diviene Brahmā.

[...]

28. Il nobile [il brahmano, il borghese, il servo], o Vāseṭṭha, che ben si comporta nelle opere, che ben si comporta nelle parole, che ben si comporta nei pensieri, di retta opinione a causa della retta opinione e del retto comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte risorge beatamente in mondo beato.
29. Il nobile [il brahmano, il borghese, il servo], o Vāseṭṭha, che si comporti nei due modi nelle opere, che si comporti nei due modi nelle parole, che si comporti nei due modi nei pensieri, retta e non retta opinione, a causa di retta e non retta opinione e del duplice comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte, sperimenta gioia e dolore.
30. Il nobile [il brahmano, il borghese, il servo], o Vāseṭṭha, controllato nelle azioni, controllato nelle parole, controllato nei pensieri, che attua e realizza le sette componenti del risveglio già in questo visibile mondo completamente si estingue.
31. Da qualunque, o Vāseṭṭha, di queste quattro caste uscito, un monaco santo, che ha esaurito gli āsava, che ha raggiunta la perfezione, che ha compiuto ciò che era da compiersi, che ha deposto il fardello, che ha raggiunta la meta, che ha infranto i legami dell'essere, perfettamente libero da alterità, costui giustamente, non ingiustamente, è proclamato il primo su tutti. La dottrina, o Vāseṭṭha, è eccelsa per ogni essere, sia in questo mondo, sia nel futuro.
32. A Brahmā Sanaṃkumāra si cantano questi versi:
"Il nobile è alto su ogni essere che si attacchi ad una stirpe, il possessore del cibo della sapienza è alto sugli dèi e sugli uomini".
Questi versi, o Vāseṭṭha, sono ben cantati a Brahmā Sanaṃkumāra, non mal cantati, ben detti, non mal detti, profittevoli, non mal profittevoli.
Io stesso, o Vāseṭṭha, dico:
"Il nobile è alto su ogni essere che si attacchi ad una stirpe, il possessore del cibo della sapienza è eccelso sugli dèi e sugli uomini".
Così disse il Sublime. Contenti Vāseṭṭha e Bhāradvāja si rallegrarono alle parole del Sublime.

Agañña suttanta, Le origini della società, traduzione di Andrea Frola tratta da: "Aforismi e discorsi del Buddha", TEA, pagg.  181-199




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