Di: Alessandro Selli, pubblicato il 21 luglio 2012
Ultima revisione: 15 marzo 2013

Non terminato.

La redazione di questo articolo è ancora in corso, e non è quindi da intendersi come completo o corretto; è in fatti pubblicato come anteprima.

Il Buddha anti-casta

Una confutazione dell'articolo di Koenraad Elst che intende spacciare il Buddha come fautore dell'ordine castale e della società e della tradizione brahmanica in generale.


L'articolo di Koenraad Elst cui si fa riferimento nel presente è stato pubblicato alla URI http://koenraadelst.blogspot.ca/2012/05/buddha-and-caste.html

 È uno scritto che ha tanti e gravi problemi; vedrò di dettagliare i principali sui quali posso trovare rapidamente del materiale.

Testo originale
Testo tradotto

A good place to start is the Buddha's use of the term Ārya. Buddhists claim that when the Buddha lived and taught, the term Ārya had a general psychological-ethical meaning "noble", a character trait larger than and not dependent on any specific cultural or religious tradition or social class (let alone linguistic or racial group). It is used in the famous Buddhist expressions, the "four noble truths" (catvāri-ārya-satyāni) and the "noble eightfold path" (ārya-astāngika-mārga).   However, we must look at the historical data without assuming modern and sectarian preferences.

Firstly, we must take into account the possibility that the Buddha too used the term Ārya in the implied sense of "Vedic", broadly conceived.

Un buon punto d'inizio è come il Buddha usa il termine Ārya. I buddhisti sostengono che all'epoca in cui il Buddha viveva e insegnava il termine Ārya aveva un significato etico-psicologico generale nel senso di "nobile", un aspetto del carattere più vasto e non dipendente da qualsiasi specifica tradizione culturale o religiosa o dalla classe sociale (tanto meno dal gruppo linguistico o razziale).  È utilizzato nelle famose espressioni buddhiste "quattro nobili verità" (catvāri-ārya-satyāni) e "nobile ottuplice sentiero" (ārya-astāngika-mārga).  Tuttavia si devono prendere in considerazione i dati storici e senza darsi a preferenze moderniste o settarie.

Come prima cosa, dobbiamo prendere in considerazione la possibilità che anche il Buddha usasse il termine Ārya intendendo "vedico", nel senso più ampio.


  Subito dopo aver sostenuto la necessità di attenersi alle risultanze storiche, il sig. Koenraad si smentisce preferendo ai riscontri documentali le proprie assunzioni circa le possibilità intese in senso ampio su cosa il Buddha avesse voluto dire con le sue parole.  Però il Buddha specificò chiaro e tondo che cosa per lui era "nobile", aveva più volte esplicitato chi per lui era una persona aria, e non c'è quindi bisogno di fare assunzioni in merito  In particolare, cito:

"Ma mangerò abbastanza per mantenermi sano e forte, così che la mia mente sia chiara e non offuscata, e allora forse, infine, sarò in grado di realizzare la verità che intendo conseguire."

E così, con tali pensieri in mente, Siddhattha i rivolse al giovane capraio [di nome Sumedha] che stava in ginocchio davanti a lui in venerazione e gli chiese se sarebbe stato tanto gentile dall'offrirgli un po' più di latte di capra in un piatto, visto quanto gli stava giovando.

"O venerabile Signore", disse il ragazzo, "Non posso farlo. Non posso darvi latte in un piatto che è stato toccato dalla mia mano.  Sono soltanto un volgare capraio di bassa casta, e tu sei un sant'uomo, un brahmano.  Ti dovessi toccare con una qualsiasi cosa che io abbia toccato, sarebbe un crimine!"

 Ma Siddhattha rispose: "Mio caro ragazzo, non ti ho chiesto della tua casta: ti ho chiesto del latte.  Non c'è una vera differenza tra noi due, anche se tui sei un capraio e io un eremita.  Sangue scorre nelle vene di entrambi.  Dovessero dei rapinatori tagliarci tutti e due con le loro spade, il sangue che scorrirebbe dai nostri corpi sarebbe dello stesso colore rosso.  E dovesse continuare a sgorgare senza che nessuno lo fermi, dovremmo allo stesso modo morire tutti due.  Se un uomo compie gesti alti e nobili, allora egli è un uomo alto e nobile.  E se un uomo compie atti bassi e ignobili, allora egli è un uomo basso e ignobile.  Questa è l'unica vera casta che c'è."

Mentre se ne statava li seduto a riposare, ad un brahmano successe di passare in quel luogo e, dopo aver salutato nella consueta maniera l'asceta sotto l'albero del capraio, così disse a lui rivolto: "Gotama, che cosa fa di uomo un vero brahmano?  Di quali qualità è necessario che sia in possesso per essere veramente un uomo della più alta casta?"

E il Buddha, ignorando la rudezza del brahmano orgoglioso che gli si era rivolto chiamandolo con il suo nome familiare di Gotama senza anteporgli alcun titolo di cortesia quale "venerabile signore" o simili, così gli rispose rivolgendogli questo verso:

"Il brahmano che ha allontanato ogni malvagità, che ha scansato l'orgoglio, è dotato di autocontrollo e purezza, è istruito, segue la vita santa, lui solo ha il diritto di essere chiamato brahmano, lui non ha nulla a che vedere con cose mondane."

E il brahmano se ne andò mormorando tra sé e sé: "Questo asceta Gotama mi conosce, questo asceta Gotama mi conosce."

(tradotto da: http://www.accesstoinsight.org/lib/authors/silacara/youngpeoples.html)

  Similmente il Dhammapāda:

Colui che è meditatore, incontaminato, raccolto, che compie ciò che si deve, spassionato, distaccato, raccolto, che ha raggiunto il fine supremo, costui io chiamo brāhmaṇa. [386]

Poiché si è liberato dal male (bāhitapāpo), perciò è chiamato brāhmaṇa; poiché procede calmo (sama), perciò è chiamato asceta (samaṇa): avendo fatto dileguare (pabbājayaṃ) da sé le sozzure, perciò è chiamato pellegrino (pabbajita). [388]

Quegli il cui corpo, la cui parola e la cui mente non albergano cattiva azione, che permane ben contenuto in questi tre punti, costui io chiamo brāhmaṇa! [391]

Non si diventa brāhmaṇa a cagione della crocchia84, della stirpe o della nascita: colui nel quale vi è verità e rettitudine, questo benedetto, costui e davvero un brāhmaṇa! [393]

Che te ne fai della crocchia, o sciocco? A che ti serve la pelle di capra85?  Dentro di te vi è la giungla, e tu ti ravvii di fuori! [395]

Non chiamo certamente brāhmaṇa un uomo a cagione della sua stirpe o della madre.  Egli, invero, parla con arroganza ed è pure ricco.  Ma quegli che non ha niente ed è privo di attaccamento, costui io chiamo brāhmaṇa. [396]

Colui che, avendo tagliato ogni legame, non trema più ed è sciolto da ogni voncolo, costui io chiamo brāhmaṇa. [397]

Colui che, avendo tagliato la cinghia, la fascia e la corda con tutti gli annessi, ha da sé rimosso ogni ostacolo, costui io chiamo brāhmaṇa. [398]

Colui che, innocente, sopporta insulti, percosse e vincoli, avendo la pazienza come sua fortezza, forte come un esercito in campo, costui io chiamo brāhmaṇa. [399]

Colui che ha deposto la collera, che è fedele ai voti, che è virtuoso, privo di attaccamenti, che è domo, che ha ricevuto il suo ultimo corpo, costui io chiamo brāhmaṇa. [400]

Colui che, come l'acqua su un fiore di loto o come un seme di senape sulla punta di un ago, non aderisce ai desiderî, costui io chiamo brāhmaṇa. [401]

Colui che si tiene in disparte sia dai laici che dai religiosi, che frequenta poche case, che ha pochi desiderî, costui io chiamo brāhmaṇa. [404]

Colui che, avendo deposto ogni atteggiamento ostile verso le creature, sia forti che deboli, non uccide né fa uccidere, costui io chiamo brāhmaṇa. [405]

Colui il quale è tollerante con gli intolleranti, che è raffrenato verso coloro che usano il bastone, che è privo di brame fra coloro che ne sono pieni, costui io chiamo un brāhmaṇa. [406]

Colui dal quale passione, avversione, orgoglio, ipocrisia sono caduti, come un seme di senape dalla punta di un ago, costui io chiamo un brāhmaṇa. [407]

Colui il quale pronuncia parole veraci, prive di asprezza ed istruttive, con le quali non si offende nessuno, costui io chiamo brāhmaṇa. [408]

Colui il quale nel mondo nulla prende che non gli sia stato dato, sia esso grande o piccolo, sottile o grosso, buono o cattivo, costui io chiamo brāhmaṇa. [409]

Colui che non nutre speranze né per questo mondo né per quell'altro, privo di desideri e di legami, costui io chiamo brāhmaṇa. [410]

Colui che ha abbandonato entrambi i legami, quello del bene e quello del male, che più non soffre, che non è preso da passione, che è puro, costui io chiamo brāhmaṇa[412]

Colui il quale è limpido come la luna, puro, sereno, assolutamente calmo, che ha distrutto la fonte di ogni allegrezza, costui io chiamo brāhmaṇa. [413]

Colui che ha lasciato dietro di sé la via paludosa, che è il saṃsāra difficile da attraversare, che ha raggiunto l'altra sponda, che è meditatore, che è irremovibile, che non domanda più «come?», che è svincolato, che è Estinto, costui io chiamo brāhmaṇa. [414]

Colui che, in questo mondo, avendo abbandonato i desiderî, erra senza casa, estinta la fonte di tutti i desiderî, costui io chiamo brāhmaṇa. [415]

Colui il quale, avendo abbandonato ogni vincolo umano, ha anche superato ogni legame proprio agli dèi, scioltosi da tutti i legami, costui io chiamo brāhmaṇa. [417]

Colui che, avendo abbandonato piacere e dispiacere, divenuto ormai freddo, privo dei germi di una vita futura, che è l'eroe (vīra) che ha vinto tutti i mondi (= tutte le condizioni di esistenza), costui io chiamo brāhmaṇa. [4]

Colui che non possiede né pasasto, né avvenire, né presente, che non possiede nulla e nulla prende, costui io chiamo brāhmaṇa. [421]

Colui che conosce le sue precedenti dimore (=esistenze), che contempla cielo ed inferno, che è pervenuto alla estinzione delle nascite, che ha conseguito superiore conoscenza, che ha interamente compiuto ogni compimento, costui io chiamo brāhmaṇa. [423]

(Traduzione italiana tratta da: Buddha - Aforismi e discorsi, a cura di Pio Filippani-Ronconi, Tascabili Economici Newton, Roma 1994, 95 pagine, ISBN 88-7983-439-8, pagg. 86-89)

84, 85) I capelli raccolti in una crocchia e la pelle di capra portata sulla spalla sono i segni distintivi, ancora oggi, dei brāhmaṇa dediti allo studio dei Veda e all'ascesi. [NdA]

E anche il Saṃyutta Nikāya:

Sostando da parte, Brahmā Sanaṅkumāra declamò questa strofa alla presenza del Sublime:

"Il khattiya è il più nobile fra quelli che vantano una stirpe;
chi è dotato di conoscenza e retto comportamento è il più nobile fra uomini e dèi".

Questo disse Brahmā Sanaṅkumāra, e il Maestro approvò.

Allora Brahmā Sanaṅkumāra, pensando: "Il Maestro mi ha approvato", riverì il Sublime e, girando a destra, disparve.

(Saṃyutta Nikāya, a cura di Vincenzo Talamo, Astrolabio Ubaldini, Roma 1998, 770 pagine, ISBN 88-340-1293-3, pagg. 134-5)

Il concetto è tanto radicato e permea il canone al punto da far diventare lo stesso termine brāhmāṇa nel buddhismo un concetto separato e per certi versi opposto a quello vedico:


Testo originale Testo tradotto

brahman (from Pali brāhmāṇa): The brahman (brahmin) caste of India has long maintained that its members, by their birth, are worthy of the highest respect. Buddhism borrowed the term brahman to apply to those who have attained the goal, to show that respect is earned not by birth, race, or caste, but by spiritual attainment. Used in the Buddhist sense, this term is synonymous with arahant.

(http://www.accesstoinsight.org/glossary.html)

brahmano (dal pali brāhmāṇa): La casta brahmanica indiana sostiene da lungo tempo che i suoi membri, per via della loro nascita, siano degni del massimo rispetto.  Il buddhismo ha preso in prestito il termine brahmano per indicare quelli che hanno raggiunto lo scopo, per indicare quelli che hanno meritato il rispetto non per via della loro nascita, della loro razza o casta, ma per via del conseguimento spirituale.  Usato nel senso buddhista, il termine è sinonimo di arahant.

Tornando agli insegnamenti del canone:

Testo originale

Testo tradotto

Vasettha Sutta (Sutta Nipata) records Buddha’s admonition to two Brahmin students who could not reach a settlement whether it was birth or character that determined the status of a Brahmin.

In a long discourse the Buddha explained to them that it was the conduct that makes a man noble or mean; birth and other accidents do not count at all. The Buddha’s approach to this problem was based on ethics.

[...]

In Assalayana Sutta (Majjima Nikāya) the Buddha condemns the Brahmin addiction to the caste concept. The Buddha condemns the Brahmin claim of birth from the mouth of Brahma and questions Assalayana, almost bluntly, whether he had not seen pregnant Brahmin women.

In Madhura Sutta (Majjhima Nikāya), Thera Mahakaccayana eveals how economic strength can supersede caste in the race for superiority in society. A wealthy Sudra can employ a poor Brahmin as his servant. Poor Brahmins were earning a living even as butchers.

Vasala Sutta (Sutta Nipata) in an example to the Buddha’s methodology of giving new meaning to traditional beliefs that were held in high esteem by a deluded society. The entire teaching contained in the Sutta is summarised in one stance which says “One does not become either an outcaste (Vasala) or a Brahmin by reason of one’s birth - It is one’s conduct and action that makes one an outcast or a Brahmin. “The Sutta enumerates a series of ignoble qualities, vices and immoral acts which the Buddha categorises as distinguishing attributes of an outcast (Vasala).

http://www.tharunayaweb.lk/english/buddhist/page.php?id=227

Il Vaseṭṭha sutta (del Sutta Nipata) vede il Buddha redarguire due studenti brahmani che non riuscivano a mettersi d'accordo se era la nascita o il comportamento a determinare la qualità di un brahmano.

In un lungo discorso il Buddha gli spiegò che era il comportamento che rende un uomo nobile o malvagio; la nascita e altri accadimenti non contano nella minima misura.  L'approccio del Buddha riguardo questo problema si basava sull'etica.

[...]

Nell'Assalayana Sutta (Majjima Nikāya) il Buddha condanna l'intossicazione brahmanica per il concetto di casta.  Il Buddha rigetta la pretesa dei brahmani di essere nati dalla bocca di Brahma e chiede Assalayana, quasi bruscamente, se non abbia mai visto donne bahmana incinte.

Nel Madhura Sutta (Majjhima Nikāya), Thera Mahakaccayana espone il fatto che la ricchezza economica può superare la casta nella corsa per un ruolo di primo piano nella società.  Un sudra ricco può impiegare un brahmano povero come suo servo.  Brahmani poveri possono guadagnarsi da vivere persino come macellai.

Il Vasala Sutta (Sutta Nipata) è un esempio del metodo del Buddha di conferire nuovi significati a credenze tradizionali mantenute in alta considerazione da una società preda dell'illusione.  L'intero insegnamento del sutta è riassunto in una frase che dice: "Non si diventa né un fuoricasta (vasala) né un brahmano a causa della nascita.  È la condotta e le azioni che rendono una persona un fuoricasta o un brahmana."  Il sutta elenca una serie di qualità ignobili, di vizî e di atti immorali che il Buddha categorizza come atributi distintivi di un fuoricasta (vasala).


[Decisamente da inserire un estratto da: http://realtruthlife.blogspot.it/2011/04/majjhima-nikaya-assalayana-sutta.html]

  Nel seguito il sig. Koenraad sostiene che il Buddha non abbia voluto modificare nulla dell'ordinamento sociale castale indiano perché era lui stesso detto ario, "nobile", perché la maggioranza dei suoi monaci era di alta provenienza castale o###


Testo originale Testo tradotto
After all, the anti-Vedicism and anti-Brahmanism now routinely attributed to him, are largely in the eye of the modern beholder.  Though later Brahmin-born Buddhist thinkers polemicized against Brahmin institutions and the idolizing of the Veda, the Buddha himself didn't mind attributing to the Vedic gods Indra and Brahma his recognition as the Buddha and his mission to teach. His disciples took the worship of the Vedic gods as far as Japan. Dopo tutto, l'antivedismo e l'antibrahmanesimo che oggi gli è regolarmente attribuito sono in gran parte nell'occhio dello spettatore.  Per quanto i tardi pensatori buddhisti di nascita brahmanica polemizzarono contro le istituzioni brahmaniche e l'idolatrizzazione dei veda, il Buddha non aveva difficoltà nell'attribuire agli dei vedici Indra e Brahma il proprio riconoscimento quale Buddha e la sua missione di insegnare.  I suoi discepoli portarono la venerazione degli dei vedici fino al Giappone.

Fa sorridere l'idea che il buddhismo si sia fatto vettore del culto degli dei vedici dopo che li aveva ridotti al rango di devoti che si recavano a prestare omaggio al Buddha o di averli ridicolizzati quali esseri afflitti dalle stesse illusioni ed errori di comprensione della realtà degli uomini ma dotati anche di un egocentrismo smisurato (http://alessandro.route-add.net/Testi/Dhammico/teogonia_buddhista.html e http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/dn/dn.11.0.than.html).

Vien da dire, a proposito delle opinioni del sig. Koenraad, che il presunto riconoscimento del Buddha del valore delle dottrine brahmaniche e vediche, tanto sulle divinità quanto sugli insegnamenti sociali, "sono in gran parte nell'occhio dello spettatore".

Testo originale Testo tradotto
As Luis Gómez [1999: "Noble lineage and august demeanour. Religious and social meanings of Aryan virtue", in Bronkhorst & Deshpande: Aryan and Non-Aryan in South Asia, Harvard, p.132-133] points out, the Buddhist usage of Ārya is subject to "ambiguities", e.g. in the Mahāvibhāsā: "The Buddha said, 'What the noble ones say is the truth, what the other say is not true. And why is this? The noble ones [...] understand things as they are, the common folk do not understand. [...] Come fa notare Luis Gómez [in Noble lineage and august demeanour. Religious and social meanings of Aryan virtue, parte di: Bronkhorst & Deshpande: Aryan and Non-Aryan in South Asia, Harvard, 1999, p.132-133]: l'uso buddhista di Ārya è oggetto ad "ambiguità", ad es. nel Mahāvibhāsā: "Il Buddha disse: 'Quello che dicono gli esseri nobili è il vero, quello che gli altri dicono non è vero.  E perché è così?  Gli esseri nobili [...] comprendono le cose come sono, il volgo non comprende.'"

  Abbiamo un esempio di quello che costituisce per il sig. Koenraad l'attenersi alle fonti storiche: ignorare i tanti passi canonici nei quali il Buddha esplicita chi siano gli esseri nobili e in cosa consista la nobiltà degli esseri umani (ossia la retta condotta etica e la coltivazione del nobile ottuplice sentiero) e tirare le proprie conclusioni da un brano ambiguo di uno scritto risalente al V-VI secolo E.B. appartenente all'Abhidhamma (il Mahāvibhāsā Abhidhamma è stato datato al 150 d.c.).  Già, l'Abhidhamma, che a dispetto della venerazione cui è a volte oggetto è una delle parti più tarde del canone, tanto da non essere mai citata nelle altre opere canoniche, e la cui inclusione nel canone è stata respinta fino al concilio di Asoka, quando vi fu ammessa probabilmente per ragioni politiche e per volere del sovrano.###

Ma avesse pure trovato il Koenraad un passo di questo tenore e significato nel cuore del canone, in uno dei Nikāya, cosa avrebbe scoperto?  Non quello che da ad intendere, ossia che l'umanità per il Buddha si divida in gente nobile ed ignobile in virtù della loro nascita da genitori di casta elevata o di casta umile; avrebbe soltanto trovato l'ennesima affermazione del fatto che per il Buddha, essendo un essere nobile per il proprio comportamento, capacità di afferrare il vero e qualità morali, una persona che comprende "le cose come sono" è una persona nobile, una che non comprende le cose come sono invece no; una persona che dice il vero è una persona nobile, mentre una persona che non dice il vero (per malizia o per ignoranza) non lo è.


Testo originale Testo tradotto
At the end of his life, the Buddha unwittingly got involved in a political intrigue when Varsakāra, a minister of the Magadha kingdom, asked him for the secret of the strength of the republican states. Among the seven unfailing factors of strength of a society, he included "sticking to ancient laws and traditions" and "maintaining sacred sites and honouring ancient rituals". [Dīgha Nikāya 2:73] So, contrary to his modern image as a "revolutionary", the Buddha's view of the good society was close to Confucian and indeed Brahmanical conservatism. Far from denouncing "empty ritual", he praised it as a factor of social harmony and strength. Alla fine della sua vita il Buddha fu suo malgrado coinvolto in una faccenda politica quando Varsakāra, ministro del regno di Magadha, gli chiese il segreto della forza degli stati repubblicani.  Tra i sette fattori di immancabile forza di una società incluse l'"aderenza alle antiche leggi e tradizioni" e la "manutenzione dei siti sacri e l'osservanza dei riti antichi [Dīgha Nikāya 2:73]."  Cioè, contrariamente all'immagine moderna di un "rivoluzionario", l'idea del Buddha di una buona società era simile al conservatorismo confuciano e, appunto, brahmanico.  Lungi dal denunciare il "vuoto rituale", lo elogiò quale fattore dell'armonia e della forza della società.

"Alla fine della sua vita", cioè poco prima di quando il Buddha dettagliò ad Ānanda quali fossero i siti sacri, che non erano quelli della tradizione vedico-brahmanica, ma erano quelli buddhisti (Mahāparinibbana sutta, Dīgha Nikāya 16, disponibile in inglese su: http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/dn/dn.16.1-6.vaji.html#pil4).  Che sorpresa, eh?  Nelle ragioni che dette il Buddha perché un suo devoto potesse trarre beneficio dal visitare in pelleggrinaggio i luoghi chiave della vita e dell'insegnamento del Buddha (il luogo della sua nascita, Lumbini, il luogo del risveglio, Buddhagaya, il luogo dove impartì il suo primo insegnamento, Isipatana, Varanasi, e il luogo della sua morte, Kusinara) sono molto diversi, nella qualità e nella forza che porta a maturare questo beneficio, dal tipo di beneficio promesso dalle pratiche vediche.###

  C'è poi un'ulteriore considerazione da fare.  È vero che il Buddha elogiasse la conservazione delle buone usanze antiche in quanto garanti della conservazione della pace sociale, ma, appunto, lui elogiava le *buone* antiche usanze.  Molte volte condannò l'aderenza a riti ed usanze meramente in virtù della loro vetustà o della tradizione locale a prescindere dal loro valore etico o di sviluppo mentale e spirituale (la migliore esposizione delle idee del Buddha in proposito sono contenute nel Kalama sutta).  Così condannò le pratiche ascetiche del cane e della vacca###, come pure criticò l'osservanza del rito della venerazione dei quattro quadranti disgiunta da una precisa valenza di sviluppo della moralità dell'individuo###, la pratica dei riti del fuoco### e delle lustrazioni purificali###.  Ma altrettanto significativo è quanto il Buddha non disse a proposito dei riti.  Non li incluse infatti in nessuna delle pratiche che insegnava  ai suoi monaci, né li disse mai fonte di alcunché di rilievo ai fini della liberazione, del risveglio.  Per quanto riguardava la sua dottrina li ignorava, e si limitò a riconoscergli un peso nella vita quotidiana della gente che li aveva ricevuti come eredità della società nella quale erano nati e cresciuti.

 
Testo originale Testo tradotto
The successor-Buddha prophesied for the future, the Maitreya, is to be born in a Brahman family, according to the Buddha himself. Il successore del Buddha profetizzato per il futuro, il Maitreya, dovrà nascere in una famiglia brahmanica, secondo lo stesso Buddha.

  Vediamo quale peso dare a questa anonima citazione:

Testo originale Testo tradotto

The next Buddha due to appear is said to be Maitreya (Skt; Pali: Metteyya), a bodhisatta currently residing in the Tusita heavens. Legend has it that at some time in the far distant future, once the teachings of the current Buddha have long been forgotten, he will be reborn as a human being, rediscover the Four Noble Truths, and teach the Noble Eightfold Path once again.  Although he plays an important role in some Mahayana Buddhist traditions, whose followers appeal to him for favorable rebirth and salvation,[3] he plays an insignificant role in Theravada. I believe he's mentioned only once in the entire Tipitaka, in the Cakkavatti-Sihanada Sutta (DN 26; The Lion's Roar on the Turning of the Wheel):

[The Buddha:] And in that time of the people with an eighty-thousand-year life-span, there will arise in the world a Blessed Lord, an arahant fully enlightened Buddha named Metteyya, endowed with wisdom and conduct, a Well-farer, Knower of the worlds, incomparable Trainer of men to be tamed, Teacher of gods and humans, enlightened and blessed, just as I am now.

http://www.accesstoinsight.org/lib/authors/bullitt/bfaq.html
Frequently Asked Questions About Buddhism, edito da John T. Bullitt

Il prossimo Buddha che comparirà è detto chiamarsi Maitreya (Sans., Metteyya pali), un bodhisatta residente adesso nella sfera celeste Tusita.  La leggenda sostiene che in una qualche lontana epoca futura, quando l'insegnamento del Buddha presente sarà stato dimenticato da lungo tempo, rinascerà come essere umano, riscoprirà le quattro nobili verità e insegnerà il nobile ottuplice sentiero ancora una volta.  Sebbene rivesta un ruolo importante in alcune tradizioni buddhiste Mahayana, i cui fedeli gli si rivolgono per ottenere una rinascita favorevole e la salvezza, riveste un ruolo insignificante nel Theravada.  Credo che sia citato solo una volta nell'intero Tipitaka, nel Cakkavatti-Sihanada Sutta (DN 26; Il ruggito del leone nel volgimento della ruota):

[Il Buddha]: E in quell'epoca della gente che vivrà una vita di ottantamila anni sorgerà nel mondo un Signore Benedetto, un arahant pienamente illuminato chiamato Metteyya, munito di saggezza e rettitudine, che ben procede, conoscitore dei mondi, incomparabile allenatore di uomini da domare, maestro di dei e uomini, illuminato e benedetto, così come io ora.

The Long Discourses of the Buddha (già Thus Have I Heard), tradotto da Maurice Walshe,Wisdom Publications, Boston 1987, pagg. 403 e segg.

Ancora il Koenraad:

Testo originale Testo tradotto
In his study of caste and the Buddha ("Buddhism, an atheistic and anti-caste religion? Modern ideology and historical reality of the ancient Indian Bauddha Dharma", Journal of Religious Culture, no.50 (2001)), the German Indologist Edmund Weber quotes the biographical source-text Lalitavistara and concludes: "[...] a Bodhisattva can by no means come from a lower or even mixed caste: 'After all Bodhisattvas were not born in despised lineage, among pariahs, in families of pipe or cart makers, or mixed castes." Nel suo studio sulle caste e il Buddha ("Buddhism, an atheistic and anti-caste religion? Modern ideology and historical reality of the ancient Indian Bauddha Dharma", Journal of Religious Culture, no.50, 2001) l'indologo tedesco Edmund Weber cita come fonte biografica il Lalitavistara e conclude: "[...] un Bodhisattva non può in alcun modo provenire da una casta bassa o anche solo mista: dopo tutto i bodhisattva non erano nati in lignaggio spregevole, tra i pariah, nelle famiglie di artigiani di pipe o carretti o di casta mista."

  La fonte citata è il Lalitavistara, opera Mahayana del III sec. e.c., per cui valgono a maggior ragione le considerazioni espresse riguardo al Mahāvibhāsā###

Testo originale Testo tradotto
Birth was very important to the Buddha, which is why his disciples wrote a lot of hagiographical fantasy around his own birth, with miracles attending his birth from a queen. La nascita era molto importante per il Buddha, ragion per cui i suoi discepoli scrissero una gran mole di fantasie agiografiche sulla sua stessa nascita, con miracoli che si verificarono al momento della sua nascita da una regina.

Il commento migliore credo che sia la lettura di alcuni passi in cui il Buddha si espresse esplicitamente riguardo la nascita e la condizione di brāhmaṇa, o quali qualità rendono superiore un asceta:

[Il Sublime, rivolto al brāhmaṇa Aggika-Bhāradvāja]
"Chi molto chiacchiera ed è bramoso
non è brāhmaṇa a  motivo della nascita:
impuro e corrotto di dentro, è ammantato di ipocrisia!
Chi ha [invece] sperimentato precedenti esistenze e vede il cielo e l'inferno,
Chi ha conseguito la cessazione delle rinascite,
il muni che ha portato a compimento la suprema realizzazione
dotato di queste tre conoscenze è un brāhmaṇa trisciente
munito di sapienza e di retto comportamento.
(Saṃyutta Nikāya, VII, Brāhmaṇa-saṃyuttaṃ, I, Arahanta-vagga paṭhama, 8, Aggika sutta, pag. 147)

E il brāhmaṇa Sundarika-Bhāradvāja si avvicinò al Sublime egli chiese: "Venerabile, qual'è la tua nascita?".
[Il Sublime:]
"Non chiedere della nascita, chiedi del comportamento;
dal legno, invero, si genera un fuoco;
ed anche un muni di famiglia umile, se è risoluto,
se è raffrenato e scrupoloso è un nobile."
(Saṃyutta Nikāya, I VII 9, Sundarika, pagg. 146-7)

Allora un brāhmaṇa elemosinante andò dal Sublime, lo salutò
garbatamente e, dopo avere con lui scambiato cortesi e
amichevoli espressioni, sedette da parte.
Sedendo da parte così egli disse al Sublime: "Io, o Gotama,
sono un elemosinante, ed anche il venerabile è un elemosinante;
quale differenza c'è dunque tra noi?"

[Il Sublime:]
"Non per questo uno è elemosinante: in quanto cioè chiede ad altri l'elemosina;
chi segue un'erronea dottrina, non per questo è un bhikkhu.²
Chi, tenendosi lontano da merito e demerito, pratica con impegno una vita di purezza,
quegli, invero, si chiama bhikkhu".

    2)

(Saṃyutta Nikāya, VII, Brāhmaṇa-saṃyuttaṃ, II, Upāsaka-vagga paṭhama, 10, L'elemosinante, pag. 157).

Testo originale Testo tradotto
The Buddha also didn't believe in gender equality.  For long he refused to recruit women into his monastic order, saying that nuns would shorten its life-span by five hundred years.  At long last he relented when his mother was widowed and other relatives, nobly-born Kshatriyas like the Buddha himself, insisted. [...] But he made this institution of female monastics conditional upon the acceptance that even the most seasoned nun was subordinate to even the dullest and most junior monk.
Inoltre il Buddha non credeva nell'uguaglianza tra i generi.  Si rifiutò a lungo di ordinare donne nel suo ordine monastico, dicendo che le monache ne avrebbero accorciato la vita di cinquecento anni.  Alla fine cedette quando la madre divenne vedova e altre parenti, di nascita nobile kshatriya come lo stesso Buddha, insistettero. [...] Ma a questa istituzione del monachesimo femminile impose la condizione dell'accettazione che anche la più anziana delle monache era subordinata persino al più mediocre e giovane monaco.

###Citazione della risposta ad Ānanda nella quale il Buddha ammette la capacità delle donne di conseguire il risveglio, come gli uomini.###

La questione del monachesimo femminile è stata trattata approfonditamente nel "Congresso internazionale sul ruolo delle donne buddhiste nel sangha, bhikshuni vinaya e i lignaggi di ordinazione" (Università di Amburgo, luglio 2007), del cui materiale ho tradotto qualche stralcio in: http://alessandro.route-add.net/Testi/Dhammico/monachesimo_femminile.html

Ad esso rimando per gli approfondimenti, ma in breve riporto alcuni punti notevoli che vi ho letto.

La narrazione tradizionale dell'istituzione del sangha delle bhikkhuni è suscettibile di numerosi dubbi e rilievi di incongruità.  Ad esempio:

  1.   si fa risalire la decisione del Buddha di ammettere le donne nel sangha all'insistenza di Ānanda, monaco e attendente del Buddha (piuttosto che delle sue parenti come sostiene il Koenraad).  Ma dal canone risulta che le prime donne furono ammesse nel sangha dopo cinque o sei anni la fondazione del sangha maschile, ossia anni prima che Ānanda si fece monaco.
  2. In certi resoconti, come nel Mahāparinibbana sutta, il Buddha dichiara che non si sarebbe estinto finché non gli fosse riuscito di stabilire una solida comunità di monaci, di monache, di praticanti laici e di praticanti laiche, la cosiddetta quadripartita assemblea, ossia la società buddhista ideale, la cui prosperità diceva condizione necessaria perchè la sua dottrina avesse avuto garantita la sopravvivenza.
  3. Le condizioni imposte alle monache riguardo la loro ordinazione non erano adottate dallo stesso Buddha, che è più volte riferito ordinare le monache secondo la stessa procedura che seguiva per gli uomini.

Queste e altre incongruenze hanno portato il venerabile Mettanando Bhikkhu a collocare cronologicamente la formulazione delle regole restrittive per le monache a dopo la morte del Buddha, precisamente in occasione del primo concilio, quello di Rajagaha, e ad esprimersi in questi termini recisi:

Testo originale

Testo tradotto

The members of the First Council, although honored as saints, were faithful followers of Brahmanical Laws than Buddhist mendicants who had been dissatisfied with the administration of the Buddha that women were allowed to be ordained equal to men.  Thus, the real intention of the First Council was not for the preservation and protection of the Buddha’s teachings as claimed by the tradition, but to marginalize the nuns.

http://www.congress-on-buddhist-women.org/index.php?id=115

I membri del primo concilio, per quanto venerati come santi, erano fedeli seguaci delle leggi brahmaniche piuttosto che mendicanti buddhisti ed erano insoddisfatti dell'amministrazione del Buddha che permetteva alle donne di essere ordinate alla pari degli uomini.  Per cui il vero intento del primo concilio non era la conservazione e la protezione degl'insegnamenti del Buddha, come la tradizione sostiene, ma era di marginalizzare le monache.

Ancora il Koenraad:

Testo originale Testo tradotto
Some Theravada countries have even re-abolished the women's monastic order Alcuni paesi Theravada hanno persino ri-abolito l'ordine monastico femminie.

  Non mi risulta.  Non l'hanno reistituito, hanno persino impedito che fosse reistituito, ma non so di un caso in cui sia stato abolito un bhikkhuni sangha esistente.

Testo originale Testo tradotto
and it is only under Western feminist influence that Thailand is gradually reaccepting nuns. ed è solo sotto l'influenza femminista occidentale che la Thailandia sta gradualmente riaccettando le monache.

  Mi risulta che le sole bhikkhuni in Thailandia siano thailandesi, le prime delle quali hanno ottenuto l'ordinazione presso tradizioni cinesi che seguono procedure canoniche di scuole le cui regole monastiche sono ritenute derivate dalle stesse da cui hanno avuto origine quelle theravāda, e quindi con queste compatibili.  Il primo autentico tentativo occidentale di ripristinare l'ordinazione delle bhikkhuni risale a settembre 2009, in Australia, ed è stato respinto con forza dal sangha thailandese, tanto che il monastero che ha praticato questa cerimonia è stato ufficialmente estromesso dal sangha del paese e dalla sua scuola di riferimento.  E trovo risibile l'idea che si possa dire il monastero australiano un covo di attivisti femministi. 

Testo originale Testo tradotto
Buddhist scripture makes much of the Buddha's noble birth in the Solar lineage, as a relative of Rāma. Le scritture buddhiste esaltano considerevolmente la nobile nascita del Buddha dal lignaggio solare, quale un consanguineo di Rāma.

Non mi risulta, di certo non è un punto rilevante dei resoconti canonici pāli della vita del Buddha.

Testo originale Testo tradotto
The Buddha himself claimed to be a reincarnation of Rama, in the Buddhist retelling of the Rāmāyana in the Jātakas. Lo stesso Buddha dichiarò di essere la reincarnazione di Rama nella rinarrazione che del Rāmāyana fanno le Jātaka.

Ah, sarebbero queste le fonti?  Non fonti canoniche o dottrinali di un qualche rilievo, ma la versione buddhista di un racconto epico induista, la cui versione definitiva risale a cinque-seicento anni dopo la morte del Buddha, riportato così come vi accennano le Jataka, raccolte di favole moraleggianti anche loro di molto successive alla morte del Buddha e la cui canonicità è stata nel tempo molto contesa (la scuola Theravāda ne riconosce canoniche qualcosa di più di 500 delle oltre 2000 esistenti).

Testo originale Testo tradotto
He also likened himself to the mightily-striding Visnu.  Later Hindus see both Rama and the Buddha as incarnations of Vishnu, but the Buddha started it all by claiming to by Rama's reincarnation. Si paragonò anche a Visnu che procede possente.  Gli hindu più tardi considerarono sia Rama che il Buddha come incarnazioni di Vishnu, ma la cosa ebbe inizio con il Buddha quando dichiarò di essere la reincarnazione di Rama.

Di nuovo non mi risulta, limitatamente al canone pāli; ma anche fosse, questo che cosa dimostrerebbe, oltre al fatto che anche il buddhismo ha prodotto la sua mitologia?

Testo originale Testo tradotto
Nowadays, some scholars including Michael Witzel [on his own Indo-Eurasian Research yahoo list] suggest that the Buddha's Śākya tribe may have been of Iranian origin (related to Śaka, "Scythian") [...] It would also explain their fierce endogamy, i.e. their systematic practice of cousin marriage. [...] The Brahminical lawbooks prohibited this close endogamy [...] The Śākya tribe justified the practice through pride in their direct pure descent from the Ārya patriarch Manu Vaivasvata, but this could be a made-up explanation adapted to the Indian milieu and hiding their Iranian origin (which they themselves too could have forgotten), still visible in their physical profile. Oggi alcuni studiosi, incluso Michael Witzel [sulla sua lista di distribuzione Yahoo di Ricerca Indo-eurasiatica] propone l'idea che la tribù Śākya del Buddha possa essere stata di origini iraniane (correlata con i Śaka, "Sciti") [...] Ciò spiegherebbe anche la loro fiera endogamia, ossia la pratica di matrimoni sistematici tra cugini. [...]  I testi brahmanici proibiscono questa stretta endogamia [...]  La tribù dei Śākya giustificava questa pratica con il loro orgoglio nella loro discendenza diretta dal patriarca Ārio Manu Vaivasvata, ma questa spiegazione potrebbe essere stata inventata per adattarsi all'ambiente indiano e nascondere le loro origini iraniane (che loro stessi avrebbero potuto aver dimenticato), ancora visibili

Divertente: prima l'autore dice il Buddha un brahmano conservatore, poi lo dice membro di una tribù di origine non indiana ma iraniana (dando credito ad una tesi oramai rigettata dalla grande maggioranza degli studiosi) dédita a pratiche proibite dai testi brahmanici!

Un'accurata selezione delle fonti, qualsiasi cosa pur di radicare le proprie ignoranti idee preconcette e di matrice fortemente ideologica.

http://alessandro.route-add.net/Testi/Dhammico/buddha_caste.html

    «Avvenne che un certo brāhmaṇa della Huhuṃka-jāti4 venne dove
    si trovava il Beato e, avvicinandosi a lui, lo salutò
    amichevolmente e, [...] quel brāhmaṇa interpellò il Beato
    dicendo: "Ti prego, caro5 Gotama, in che misura uno è
    brāhmaṇa e, inoltre, quali sono gli elementi che costituiscono
    un brāhmaṇa?"  Allora il Beato [...]:

        «Quel brāhmaṇa che ha fugato da sé i cattivi elementi
        non dice "huhuṃ"4a,
        [ma] è privo di impurità e si controlla, è versato
        nei Veda6 e vive una vita da brāhmaṇa, un siffatto
        brāhmaṇa può parlare del Brahman giustamente,
        proprio lui, nel quale non vi sono escrescenze7 verso
        questo mondo.»

###I riti sono detti al più fonte di un qualche grado di autodisciplina, ma non sono mai detti pratiche di rilievo ai fini del conseguimento del nibbana###.

In ultimo, traduco un breve estratto dal lungo, ricco e bell'articolo di Eisel Mazard su, anche ma neanche principalmente il vegetarianismo:


Testo originale Testo tradotto
The Buddha does not give us any sense that in the future soliders will cease to be soldiers, nor that kings will cease to be kings, nor that governments will cease to murder and torture people; quite the opposite, all of these things are described (repeatedly) as inevitable and constant features of life on earth.  Equally, the core canon is lacking in any sense of a "vegetarian society" of the future.  It may be important to mention in this respect that while the whole canon is full of invective against the caste system there is absolutely no suggestion that India will ever have a future without caste (this, too, is inevitable and constant, even if "bad" in so many ways).
http://a-bas-le-ciel.blogspot.in/2012/06/vegetarianism-and-theravada-orthodoxy.html
Il Buddha non ci da nessuna indicazione che in futuro i soldati smetteranno di essere soldati, o che i re smetteranno di essere re, o che i governi smetteranno di assassinare e torturare la gente; anzi il contrario, e tutte queste cose sono descritte (ripetutamente) come carattersitiche inevitabili e costanti della vita sulla terra.  Allo stesso modo nel nucleo del canone è assente in qualsiasi senso una futura "società vegetariana".  Potrebbe essere importante rilevare a questo proposito che mentre l'intero canone è pieno di invettive contro il sistema delle caste, non c'è nessunissima indicazione che l'India avrà mai un futuro in cui le caste non ci saranno (anche questo è inevitabile e costante, per quanto "cattivo" per tante ragioni).





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