Traduzione dell'articolo sito in: http://www.paulgraham.com/opensource.html

Quello che il mondo degli affari può imparare dall'"Open Source".


Agosto 2005

1 - Hobbisti
2 - Luoghi di lavoro
3 - Dal basso in alto
4 - Nuove imprese

(Questo saggio è derivato da un intervento tenuto all'Oscon 2005)

  Ultimamente le aziende stanno prestando sempre più attenzione all' opensource.  Dieci anni fa sembrava reale il pericolo che la Microsoft potesse estendere il proprio monopolio ai server.  Ora si può tranquillamente dire che l'opensource l'abbia impedito.  Un recente sondaggio ha rilevato come il 52% delle ditte stia sostituendo server Windows con server Linux.1

  Ancora più significativo, credo, è quali siano queste ditte. A questo punto, chiunque proponesse di far girare Windows su dei server dovrebbe essere preparato a spiegare che cosa sappia sui server che Google, Yahoo e Amazon non sanno.

  Ma la più grande lezione che il mondo degli affari deve imparare dall'opensource non riguarda tanto Linux o Firefox, quanto piuttosto le forze che li hanno prodotti. Alla fine queste avranno a che fare con molto più del software che si usa.

  Potremmo essere capaci di farci un'idea di queste forze triangolando dall'opensource e dai blog. Come avrete probabilmente notato, questi hanno molto in comune.

  Come l'opensource, i blog sono una cosa che la gente fa da sé, non pagata, semplicemente perché gli piace farlo.  Come gli smanettoni dell'opensource, i bloggari competono con gente che lavora per denaro, e spesso vincono.  Il metodo per assicurarsi della qualità è pure lo stesso: darwinistico.  Le ditte assicurano la qualità per via di regolamenti che impediscano ai dipendenti di fare casini.  Ma non c'è bisogno di questo quando si è in una platea dove si può comunicare gli uni con gli altri.  La gente è libera di produrre quello che vuole; le cose buone si diffondono e quelle cattive sono ignorate.  E in entrambi i casi i commenti e i suggerimenti dalla platea migliorano il lavoro più buono.

  Un'altra cosa che i blog e l'opensource hanno in comune è la Rete.  La gente è sempre stata ben disposta a fare dei gran bei lavori gratuitamente, ma prima dell'avvento della Rete era più difficile mettersi in contatto con una platea o collaborare a dei progetti.

Hobbisti

  Penso che la cosa più importante riguardo i nuovi princìpi che il mondo degli affari debba imparare è che la gente lavora molto di più sulle cose che gli piace. Beh, questa non è una novità per nessuno.  E allora, come posso sostenere che il mondo degli affari debba impararlo?  Quando dico che il mondo degli affari non lo sa, intendo dire che la struttura del mondo degli affari non lo rispecchia.

  Il mondo degli affari rispecchia ancora un modello vecchio, esemplificato dal termine francese per "lavorare": travailler. Questo [termine] ha un cugino inglese [e italiano], travaglio, che vuol dire tortura.2

  Tuttavia, sul lavoro non è stata detta l'ultima parola.  Arricchendosi, le società imparano una cosa del lavoro che è molto simile a quello che hanno imparato sulle diete.  Adesso sappiamo che la dieta più salutare è quella che i nostri antenati contadini dovevano mangiare per forza perché erano poveri.  Proprio come il cibo ricco, l'inattività sembra essere desiderabile solo quando non ce n'è abbastanza.  Penso che siamo stati progettati per il lavoro, proprio come siamo stati progettati per mangiare una certa quantità di fibre, e che ci sentiamo male se non lo facciamo.

  C'è una parola che indica chi lavora per il piacere di lavorare: hobbista [amateur].  Questa parola ha ormai assunto di tali connotazioni negative che se ne è dimenticata l'etimologia, per quanto ce l'abbiamo davanti agli occhi.  "Amateur" era in origine una parola piuttosto complimentosa.  Ma nel ventesimo secolo la foggia imperante era essere professionisti, cosa che gli hobbisti, per definizione, non sono.

  Questa è la ragione per la quale il mondo degli affari è rimasto talmente sorpreso dalla lezione che gli ha impartito l'opensource: che la gente che lavora per passione spesso supera quelli che lavorano per denaro.  Gli utenti non vogliono passare da Exlorer a Firefox perché vogliono smanettarne il codice.  Cambiano perché è un navigatore migliore.

  Non che la Microsoft non stia facendo del suo meglio.  Sanno che controllare il [mercato del] navigatore internet è una delle chiavi per mantenere il loro monopolio.  Il problema è lo stesso che stanno affrontando sul campo dei sistemi operativi: non possono pagare abbastanza della gente perché realizzi un prodotto migliore di quello che un gruppo di smanettoni ispirati realizzerebbe gratuitamente.

   Sospetto che la professionalità sia sempre stata sopravvalutata - non solo nel senso letterale del lavorare per un corrispettivo monetario, ma anche per connotazioni quali la formalità e il distacco.  Per quanto ciò sembrasse inconcepibile, per dire, negli anni '70, penso che la professionalità sia stata in gran parte una moda, dettata dalle condizioni che, guarda caso, sussistevano nel ventesimo secolo.

  Una di quelle più potenti fu l'esistenza dei "canali".  Che lo stesso termine fosse usato sia per i prodotti che per l'informazione è rivelatorio: c'erano canali di distribuzione e canali televisivi e radiofonici.

  Era la ristrettezza di tali canali che faceva sembrare i professionisti così superiori rispetto agli hobbisti.  C'erano pochi posti disponibili per i giornalisti professionisti, ad esempio, e così la competizione assicurava che il giornalista medio fosse abbastanza buono.  Mentre chiunque può esprimere le proprie opinioni in un bar.  E così la persona media che esprime le proprie opinioni in un bar sembra un idiota confronto ad un giornalista che scrive qualcosa sullo stesso argomento.

  Sulla Rete, la barriera per ottenere che le proprie idee siano pubblicate è ancora più bassa.  Non si deve comprare qualcosa da bere e lasciano entrare persino i ragazzini.  Milioni di persone stanno pubblicando on-line e il livello medio di quello che scrivono è, com'è facile aspettarsi, non molto buono.  Questo ha portato qualcuno dei mezzi di comunicazione di massa a concludere che i blog non siano una minaccia seria - che i blog siano solamente fuffa.

  In realtà la vera fuffa sta nella parola "blog", per lo meno in come la stampa la sta usando.  Quello che intendono con "bloggaro" non è una persona che pubblica in Rete in formato blog, ma chiunque pubblichi online.  Questo diventerà un problema quando la Rete sarà diventata il mezzo standard per pubblicare.  Per questo vorrei proporre una parola alternativa per quelli che pubblicano on-line.  Che ne dite di "autore"?

  Quelli della stampa che snobbano lo scrivere on-line per la sua bassa qualità media non colgono un punto importante: nessuno legge il blog medio.  Nel vecchio mondo dei canali aveva senso parlare della qualità media perché quello era quanto si otteneva che lo si volesse o no.  Ma adesso si può leggere quale autore si voglia.  Questo vuol dire che la stampa non è in competizione contro la qualità media degli scritti on-line.  Piuttosto, è in competizione con il meglio che si trova online.  E, come la Microsoft, sta perdendo la sfida.

  So queste cose dalla mia esperienza di lettore. Per quanto la maggior parte delle pubblicazioni stampate sia [disponibile] on-line, probabilmente leggo due o tre articoli sui siti personali di certi individui per ogni articolo che leggo sul sito di un giornale o di una rivista.

  E quando leggo articoli su, per dire, il New York Times, non ci arrivo mai dalla prima pagina del giornale.  La maggior parte li trovo attraverso aggregatori come Google News o Slashdot oppure Delicious.  Gli aggregatori mostrano quanto si possa fare meglio di un canale.  La prima pagina del New York Times è una lista di articoli scritti da gente che lavora per il New York Times.  Delicious è una lista di articoli che interessano.  Ed è soltanto adesso che si possono vedere fianco a fianco che si può notare quanto poco in comune abbiano i due.

  La maggior parte degli articoli dei canali di comunicazione è noiosa.  Per esempio, il presidente nota che la maggioranza degli elettori adesso pensa che invadere l'Iraq sia stato un errore, così tiene un discorso alla nazione per ravvivare il sostegno dell'opinione pubblica.  Dov'è l'"uomo morde cane" in questo?  Non ho sentito il discorso, ma credo che con ogni probabilità potrei dire esattamente che cosa abbia detto.  Un discorso così è, nel senso più letterale del termine, non una notizia: non c'è nulla degno di nota.3

  Non c'è nulla di nuovo, tranne i nomi e i luoghi, nella maggior parte delle "notizie" sulle cose che non vanno.  Un bambino è stato rapito; là c'è una tromba d'aria; un traghetto affonda; qualcuno è stato morso da un pescecane; un piccolo aeroplano si schianta.  E cosa s'impara del mondo da queste storie? Assolutamente nulla.  Sono solo punti di contorno; la stessa cosa che vi attrae l'attenzione li rende anche irrilevanti.

  Come nel software: quando i professionisti producono una tale spazzatura, non c'è da stupirsi che gli hobbisti facciano di meglio.  Se vivi nel canale, muori nel canale: se si dipende da un oligopolio, ci si incartapecorisce nelle cattive abitudini che sono poi dure da spazzare via quando all'improvviso arriva la competizione.4

Luoghi di lavoro

  Un'altra cosa che i blog e il software Open Source hanno in comune è che sono spesso fatti da gente che lavora a casa.  La cosa può non sorprendere.  Ma dovrebbe.  È l'equivalente ingegneristico di un aereo fatto in casa che abbatte un F-18.  Le ditte spendono milioni per costruire edifici da adibire ad uso ufficio perché servano ad un unico scopo: essere luoghi di lavoro.  Eppure gente che lavora a casa propria, che non è stata progettata per essere un luogo di lavoro, finisce con l'essere più produttiva.

  Ciò dimostra una cosa che in molti avevamo sospettato.  L'ufficio tipico è un posto orrendo dove lavorare.  E molte delle cose che rendono pessimi gli uffici sono le stesse qualità che si associano alla professionalità.  La sterilità degli uffici dovrebbe indurre all'efficienza.  Ma indurre all' efficienza è un'altra cosa rispetto all'essere veramente efficienti.

  L'atmosfera del tipico luogo di lavoro sta alla produttività quanto le fiamme dipinte sulle fiancate di una macchina stanno alla velocità.  E non è solo come si presentano gli uffici che è orrendo.  Il modo di fare della gente è altrettanto negativo.

  Le cose vanno diversamente in una nuova impresa. Più spesso che no, una nuova ditta nasce in un appartamento.  Invece di avere cubicoli beige tutti uguali hanno un'assortimento di mobilio comprato di seconda mano.  Ci si lavora in orari strani, indossando un abbigliamento alla bell'e meglio.  Si cerca qualsiasi cosa si desideri online senza preoccuparsi se sia prudente o no farlo dal lavoro.  Il linguaggio blandamente allegrotto dell'ufficio lascia il posto all'umorismo selvaggio.  E volete sapere una cosa?  La ditta è in questa fase al massimo della produttività di cui sarà mai capace.

  Forse non è una coincidenza.  Forse alcuni aspetti della professionalità sono veramente una netta perdita.

  Per me l'aspetto più demoralizzante dell'ufficio tradizionale è che ci si aspetta si sia presenti ad orari fissi.  Di solito sono poche le persone che proprio devono farlo e la ragione per la quale la maggior parte dei dipendenti lavora ad orari fissi è che la ditta non sa come misurare la loro produttività.

  L'idea di fondo riguardo l'orario fisso è che se non si può far lavorare la gente, per lo meno si può impedire che si divertano.  Se si costringono i dipendenti a stare in ufficio un certo numero di ore ogni giorno durante le quali è loro proibito il dedicarsi ad attività non lavorative, allora dovranno per forza lavorare.  In teoria.  In pratica trascorreranno un sacco di tempo in una terra di nessuno, un luogo dove né si lavora, né ci si diverte.

  Si potesse misurare quanto lavoro è svolto da ciascuno, molte ditte non avrebbero bisogno di orari fissi.  Si potrebbe semplicemente dire così: "Questo è quello che devi fare.  Fallo quando ti pare, ovunque ti pare.  Se il tuo lavoro ti richiede di parlare con certe altre persone in sede, allora potresti dover essere presente per del tempo.  Altrimenti non ce ne frega niente."

  Questo potrebbe sembrare utopico, ma è quello che dicevamo a chi veniva a lavorare per la nostra ditta.  Non avevamo orari d'ufficio fissi.  Io non arrivavo mai prima delle 11 del mattino.  Ma non dicevamo così per essere benevoli.  Quello che volevamo dire era: "Se vuoi lavorare qui, ci aspettiamo che tu faccia molto.  Non cercare di fregarci stando qui molte ore [a vuoto]."

  Il problema con il modello lavorativo standard non è solo che è demoralizzante, ma che la gente che fa finta di lavorare interrompe quelli che stanno lavorando per davvero.  Sono convinto che il modello lavorativo standard sia la ragione principale perché le grandi organizzazioni hanno così tante riunioni di lavoro.  Per capita, le grandi organizzazioni producono molto poco.  E però lo stesso tutte quelle persone devono essere in sede almeno otto ore al giorno.  Quanto da una parte se ne va così tanto tempo e dall'altra parte c'è così poco lavoro svolto, bisogna fare qualcosa.  E le riunioni sono il meccanismo principale per recuperare il divario.

  Ho lavorato per un anno al consueto ritmo nove-diciassette e ricordo bene la strana sensazione di leggerezza che prende durante queste riunioni.  Ero ben cosciente, per via della novità della cosa, di essere pagato per programmare.  Mi sembrava stupefacente, come se ci fosse stata una macchinetta sulla mia scrivania che tirava fuori una banconota da un dollaro ogni due minuti qualsiasi cosa facessi.  Persino mentre stavo in bagno!  Ma siccome questa macchinetta immaginaria stava sempre accesa mi sentivo di dover stare sempre a lavorare.  E così gl'incontri erano meravigliosamente rilassanti.  Contavano come attività di lavoro, proprio come il programmare, però era molto più facile.  Tutto quello che si doveva fare era stare seduti e avere l'aria attenta.

  Gl'incontri sono come l'oppio con un effetto di rete.  Tale e quale la posta elettronica, ma su scala ridotta.  Ma oltre al costo in termini di tempo c'è il costo in termini di frammentazione - il rompere la giornata lavorativa della gente in pezzettini troppo piccoli per essere di qualche utilità.

  Si può vedere quanto si è diventati dipendenti da qualcosa togliendolo improvvisamente di torno.  E così propongo questo esperimento alle grandi ditte.  Si dedichi un giorno in cui le riunioni sono proibite - un giorno in cui tutti debbano stare seduti alla loro scrivania e lavorare tutto il giorno senza interruzione su cose che ciascuno può fare senza dover parlare con nessun altro.  Un certo livello di comunicazione è necessario nella maggior parte dei mestieri, però sono sicuro che molti impiegati riescano a trovare abbastanza cose che possono fare da soli da tenerli occupati per otto ore.  Lo si potrebbe chiamare: "Il giorno del lavoro".

  L'altro problema del lavoro fittizio è che spesso sembra meglio del lavoro vero.  Quando scrivo sullo smanettamento dei sistemi informatici trascorro tanto tempo a riflettere quanto a battere sulla tastiera.  Metà del tempo sto seduto a bere una tazza di té o a camminare in giro per il vicinato.  Questa è una fase critica [del lavoro] - è quella in cui mi vengono le idee in mente - eppure mi sentirei in colpa a farlo nella maggior parte degli uffici, dove tutti gli altri sembrano indaffarati.

  È difficile rendersi conto di quanto sia negativo un modo di fare finché non si riesce a confrontarlo con qualcosa di diverso.  E questa è la ragione perché l'open source e anche, in certi casi, i blog sono importanti.  Ci mostrano com'è il lavoro vero.

  Stiamo finanziando adesso otto nuove imprese.  Un amico mi ha chiesto come se la stessero cavando nella ricerca di uno spazio ad uso ufficio ed è sembrato sorpreso quando gli ho detto che ci aspettavamo si mettessero a lavorare in quale appartamento si sarebbero sistemati a vivere.  Ma non abbiamo proposto questa sistemazione per risparmiare.  L'abbiamo fatto perché vogliamo che il loro software sia buono.  Lavorare dentro spazi informali rimediati è una delle cose che le neo-aziende beccano giuste senza neanche che se ne rendano conto.  Appena uno si trasferisce in un ufficio, il lavoro e la vita cominciano a prendere strade diverse.  Questo è uno dei princìpi chiave del professionalismo.  Il lavoro e la vita devono essere separati.  Ma questo, ne sono convinto, è un errore.

Dal basso in alto

  La terza grande lezione da imparare dall'"open source" e dai blog è che le idee possono emergere dal basso invece di scendere dall'alto.  L'open source e i blog funzionano così, dal basso in alto: la gente fa quello che vuole e i lavori migliori prevalgono.

  Non sembra un concetto nuovo, vero? È il principio dell'economia di mercato.  Ironicamente, per quanto il sofware opensource e i blog siano fatti gratuitamente, quei mondi hanno una netta caratteristica di economia di mercato mentre la maggior parte delle ditte, nonostante le tante parole profuse sui valori del libero mercato, sono gestite internamente come degli stati comunisti.

  Ci sono due forze che insieme guidano lo sviluppo: le idee sul cosa fare in seguito e l'imporre uno standard di qualità.  Nell'era dei canali entrambe discendevano dall'alto.  Ad esempio, gli editori dei quotidiani assegnavano i pezzi ai corrispondenti, quindi editavano quello che questi avevano scritto.

  L'opensource e i blog ci mostrano che non è detto che tutto debba funzionare in questo modo.  Le idee e finanche l'imposizione di uno standard di qualità possono scorrere dal basso in su.  E in entrambi i casi i risultati sono non solo appena accettabili, ma migliori.  Ad esempio, il software opensource è più affidabile proprio perché è opensource; chiunque può trovarne i difetti.

  La stessa cosa succede con gli scritti.  All'appressarsi della pubblicazione ero molto preoccupato dei saggi in "Hackers & Painters" ["smanettoni e pittori"] che non erano stati online.  Una volta che la pagina di un saggio è stata visitata un paio di migliaia di volte mi sento ragionevolmente sicuro che sia a posto.  Ma questi [che stavano per essere pubblicati] avevano subìto uno scrutinio letteralmente di ordini di grandezza inferiore.  Mi sentivo come stessi per distribuire un programma senza averlo testato.

  E questo valeva per ogni cosa che si pubblicava una volta.  Se riuscivi a far leggere il tuo manoscritto ad una decina di persone potevi ritenerti fortunato.  Ma ora sono talmente abituato a pubblicare online che il vecchio metodo mi sembra di un'inaffidabilità allarmante, come navigare a lume di naso una volta abituati al GPS.

  Un'altra cosa che mi piace del pubblicare online è che si può scrivere quello che si vuole e pubblicarlo quando si vuole.  Un po' di tempo fa quest' anno ho scritto un pezzo che sembrava idoneo ad essere pubblicato in una rivista e così l'ho spedito a un editore che conosco.  Mentre aspettavo il suo parere ho scoperto con mia sorpresa di augurarmi che ne rifiutasse la pubblicazione.  Così avrei potuto metterlo subito online.  L'avessero accettato non sarebbe stato letto da nessuno per mesi e nel frattempo avrei dovuto lottare parola per parola per impedire che fosse maciullato da qualche revisore di copia venticinquenne5.

  Molti dipendenti vorrebbero fare grandi cose per le ditte per le quali lavorano, ma più spesso che no i loro manager non gliele lasciano fare.  Quanti hanno sentito di storie di dipendenti che vanno dai manager dicendo: "Per favore, lasciateci fare questa cosa per farvi guadagnare soldi" e la ditta dice di no?  L'esempio più famoso è probabilmente Steve Wozniak che all' inizio voleva costruire microcomputer per quello che allora era il suo datore di lavoro, la HP.  Ma non accettarono la sua proposta.  Sull'idiotometro questa decisione sta sullo stesso rango della decisione della IBM di accettare una licenza non esclusiva sul DOS.  Ma credo che cose analoghe succedano in continuazione.  Non ne sentiamo parlare spesso perché per dimostrare di avere ragione bisognerebbe licenziarsi e fondare la propria ditta, come fece Wozniak.

Nuove imprese

  E così sono queste tre, credo, le grandi lezioni che l'opensource e i blog devono insegnare al mondo degli affari:
  1. la gente lavora di più sulle cose che a loro piace,
  2. l'ambiente lavorativo tipico dell'ufficio è molto improduttivo e
  3. che l'approccio dal basso in alto spesso funziona meglio di quello dall'alto in basso.
  Adesso m'immagino ci siano i manager a dire: "Ma che sta dicendo questo tizio?  A cosa mi giova sapere che i miei programmatori sarebbero più produttivi lavorassero a casa sui loro propri progetti?  A me serve che se ne stiano col culo qui dentro a lavorare alla versione 3.2 del nostro programma o non riusciremo mai a completarlo per la data stabilita!"

  Ed è vero, il beneficio che ogni dato manager può ottenere dalle forze che ho appena descritto è prossimo allo zero.  Quando dico che il mondo degli affari può imparare dal mondo dell'opensource non intendo dire che si possa farlo in ogni specifico settore.  Intendo dire che il mondo degli affari può imparare da questa nuova atmosfera così come lo fa un'ambiente genetico attivo.  Non intendo dire che le singole ditte possano diventare più furbe, ma solo che quelle che non staranno al passo moriranno.

  E allora, come sarà quel mondo degli affari che avrà assimilato le lezioni dell'opensource e dei blog? Credo che l'ostacolo più grande che c'impedisce di vedere il mondo degli affari del futuro è l'assunto che la gente che lavora deve per forza essere dipendente.  Ma si pensi a come in fondo stanno le cose: la ditta ha del denaro, ci paga il dipendente sperando che faccia qualcosa che valga più di quanto è stato pagato.  Beh, ci sono altri modi di organizzarsi.  Invece di pagare il tizio in forma di salario, perché non dargli quei soldi in forma d'investimento?  Allora, invece di venire nel tuo ufficio per lavorare sui tuoi progetti, potrà lavorare ovunque vorrà sui suoi propri progetti.

  Siccome pochi conoscono alternative, non abbiamo idea di quanto meglio potremmo lavorare al di fuori del modello tradizionale del datore di lavoro e del dipendente.  Tali abitudini evolvono con lentezza glaciale.  Il nostro modello datore di lavoro-dipendente ha ancora una grossa massa di DNA servo-padrone6.

  A me non piace essere in nessuno dei due estremi.  Mi faccio volentieri un culo così per un cliente, ma non mi piace quando c'è un capo a dirmi cosa devo fare.  E anche fare il capo è terribilmente frustrante; una volta su due è più facile farsi le cose da sé che farsele fare da qualcun'altro.  Farei quasi qualsiasi cosa per non dover effettuare o subire un' analisi delle prestazioni lavorative.

  Oltre alle sue origini che non promettevano nulla di buono, il rapporto di lavoro dipendente si è notevolmente infarraginato nel tempo.  La lista di quello che non si deve chiedere in un'intervista di lavoro è ora così lunga che per comodità l'assumo infinita.  In ufficio si deve camminare sui gusci d' uovo per paura che qualcuno non dica o che si faccia qualcosa che esponga la ditta ad una querela.  E Dio t'aiuti se mai licenzi qualcuno!

  Nulla meglio delle cause intentate contro le società per aver licenziato qualcuno dimostra come il rapporto di subordinazione non sia una relazione economica ordinaria.  In ogni relazione puramente economica si è liberi di fare quello che si vuole.  Se uno volesse smettere d'acquistare tubi d'acciaio da un fornitore per comprarli da un altro, non dovrebbe mettersi a spiegare perché.  Nessuno può essere accusato di aver cambiato fornitore di tubi senza giusta causa. La giustizia implica un qualche genere di obbligo paterno che non esiste nelle transazioni tra pari.

  La maggior parte dei vincoli legali imposti ai datori di lavoro esistono per proteggere i dipendenti.  Ma non si può esercitare un'azione senza provocare una reazione uguale ed opposta.  Non ci si può attendere da parte dei datori di lavoro una qualche responsabilità paternalista nei confronti dei dipendenti senza conferire ai dipendenti il ruolo dei bambini.  E questo non mi sembra un bel modo di fare le cose.

  La prossima volta che vi trovate in una città moderatamente grande, fate visita all'ufficio postale centrale e osservate il linguaggio del corpo di chi ci lavora.  Hanno lo stesso sordo risentimento dei bambini che sono stati messi a fare una cosa che non vogliono.  Il loro sindacato ha preteso un aumento di stipendio e limiti di lavoro che avrebbero destato l'invidia delle precedenti generazioni di dipendenti delle poste, eppure non sembrano minimamente felici di ciò.  È demoralizzante essere dalla parte di chi riceve una relazione di tipo paternalista, a prescindere da quanto siano rassicuranti i termini della relazione.  Chiedetelo a qualsiasi adolescente.

  Posso vedere gli svantaggi della relazione tra il datore di lavoro e il dipendente perché sono stato su entrambe le sponde di un tipo di relazione migliore: quella tra l'investitore e il fondatore [d'impresa].  Non dico non ci siamo mai dei dispiaceri.  Quando conducevo una ditta appena fondata il pensiero dei nostri investitori mi teneva sveglio la notte.  E adesso che sono io l'investitore il pensiero delle nostre nuove imprese mi tiene sveglio la notte.  Ma la sofferenza è minore quando non ci si aggiunge il risentimento.

  Ho vissuto la sventura di partecipare a quello che si è rivelato un esperimento controllato a dimostrazione di ciò.  Dopo che Yahoo aveva acquistato la nostra nuova società avevo cominciato ad andare a lavorare da loro.  Facevo esattamente lo stesso lavoro, ma questa volta c'erano i capi.  E con mio orrore avevo cominciato a comportarmi come un bambino: ero diventato scontroso e ribelle.  L'ambiente stava attivando in me meccanismi dei quali avevo dimenticato l'esistenza.

  Il grande vantaggio dell'investimento nei confronti della relazione di dipendenza, come rivelano gli esempi dell'opensource e dei blog, è che la gente che lavora sui propri progetti è enormemente più produttiva.  E una nuova impresa è un proprio progetto in due sensi, entrambi importanti: è il proprio progetto sia nel senso creativo che in quello economico.

  Google è un raro esempio di una grande ditta che funziona armonicamente con le nuove forze che ho descritto.  Si sono sforzati a fondo perché i loro uffici fossero meno sterili dei soliti aggregati di cubicoli.  Danno ai dipendenti che lavorano duro delle forti quote azionarie per simulare le gratifiche di una propria nuova ditta.  Permettono persino agli smanettoni di dedicare il 20% del loro tempo sui propri progetti.

  Perché non si dovrebbe permettere alla gente di dedicare il 100% del proprio tempo sui propri progetti e, invece di tentare di approssimare il valore di quello che creano, dargli il vero valore di mercato [di quello che creano]?  Impossibile?  Ma questo è proprio quello che fanno i capitalisti di ventura.

  E allora, sto forse sostenendo che nessuno debba più essere un dipendente, che tutti dovrebbero lanciare la propria impresa?  Naturalmente no.  Ma potrebbe farlo più gente di quanti adesso lo fanno.  Adesso anche gli studenti più brillanti escono dagli studi pensando di doversi trovare un lavoro.  In realtà quello di cui hanno bisogno è di fare qualcosa di valido.  Avere un lavoro è un modo di farlo, ma i più ambiziosi starebbero meglio prendessero denaro da un investitore piuttosto che da un datore di lavoro.

  Gli smanettoni tendono a pensare che gli affari siano roba da laureati con master in finanza.  Ma in una ditta nuova di lancio non si fa l'amministratore d'impresa.  Quello che si fa è la creazione dell'impresa.  E la sua prima fase è proprio la crezione del prodotto - cioè, lo smanettamento.  Questa è la parte più difficile.  È molto più difficile creare qualcosa che la gente adora che prendere una cosa che la gente adora e trovare un modo per farne soldi.

  Un'altra cosa che trattiene la gente dal fondare nuove imprese è il rischio.  Una persona con figli e un mutuo farebbe bene a pensarci due volte.  Ma la maggior parte dei giovani smanettoni non ha né l'uno né l'altro.

  E, come mostra l'esempio dell'opensource e dei blog, ci si diverte di più, anche quando si va incontro a un fallimento.  Si starebbe a lavorare sul proprio progetto invece di andare in un ufficio a fare quello che ci si dice di fare.  La propria ditta potrebbe far soffrire di più, ma farebbe meno male.

  Questo potrebbe essere l'effetto più rilevante nel lungo termine delle forze che agiscono dietro l'opensource e i blog: il rigetto definitivo della vecchia relazione paternalista tra il datore di lavoro e il dipendente, per sostituirla con quella puramente economica, tra pari.


Note
1 Sondaggio della Forrester Research apparso in prima pagina su Business Week il 31 gennaio 2005. Evidentemente qualcuno credeva che si dovesse cambiare l'intera macchina server per cambiare il sistema operativo.
2 Deriva dal termine tardo latino trepalium, uno strumento di tortura che aveva questo nome perché era costituito da tre pali. Non so come fossero usati i pali. "Travel" [viaggio] ha la stessa radice.
3 Farebbe molta più notizia, in questo senso, che il presidente tenga una conferenza stampa affrontando domande che non siano state preparate a tavolino.
4 Una misura dell'incompetenza dei giornali è fornita dal fatto che così tanti richiedano ancora di registrarsi per poter leggere gli articoli pubblicati. Devo ancora trovare un blog che tenti di fare una cosa così stupida.
5 Hanno accettato l'articolo, ma c'è voluto così tanto tempo perché gli mandassi la versione finale che quando l'ho fatto la rubrica della rivista per la quale l'avevano accettato era scomparsa a causa di una riorganizzazione.
6 La parola "boss" deriva dall'olandese baas, che vuol dire "padrone".


Grazie a Sarah Harlin, Jessica Livingston e a Robert Morris per aver letto le bozze di questo saggio.


Come sono stati resi alcuni termini:
business = mondo degli affari
hacker = smanettone
blogger = bloggaro
screw up = incasinare
feedback = commenti e suggerimenti
web = Rete
amateur = hobbista
media = mezzi di comunicazione di massa
fad = fuffa
online = on-line
startup = nuova/neo impresa
gene pool = ambiente genetico attivo
cruft = farragine

Tradotto in italiano da Alessandro Selli il 16 novembre 2005.
Ultima modifica: 13 febbraio 2010

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