Traduzione di Alessandro Selli dell'articolo pubblicato su: http://www.ihr.org/jhr/v16/v16n3p-4_Weber.html
Ultima revisione: 16 agosto 2008

Institute for Historical Review

Journal of Historical Review

Perché i bombardamenti atomici potevano essere evitati

Era necessario Hiroshima?
Un memorandum segreto
Disponibilit
à alla pace
Giustificazioni
Voci critiche [saltato]
Autorevoli voci di dissenso
Il verdetto dell'Analisi dei Bombardamenti Strategici degli USA
Le considerazioni degli storici

Era necessario Hiroshima?


Di Mark Weber


[...]

  Tra i due bombardamenti la Russia sovietica si unì agli Stati Uniti nella guerra contro il Giappone.  Dietro la forte insistenza degli USA, Stalin ruppe il trattato di non aggressione del 1941 che il suo regime aveva con Tokyo.  Lo stesso giorno che Nagasaki fu distrutta le truppe sovietiche cominciarono a rovesciarsi nella Manciuria.  Per quanto la partecipazione sovietica contribuì poco o nulla nel cambiare le sorti della guerra, Mosca trasse un enorme beneficio dall'ingresso nel conflitto.

[...]

  Oltre alla questione morale sulla faccenda, erano militarmente necessari i bombardamenti atomici?  Sotto qualsiasi metro razionale, non lo erano.  Il Giappone era già stato sconfitto militarmente nel giugno del 1945.  Non rimaneva quasi nulla della già potente marina militare imperiale e l'aeronautica militare era stata totalmente distrutta.  Incontrando una resistenza solo simbolica, gli aerei militari americani scorrazzavano a piacimento sul paese e i bombardieri USA facevano piovere la devastazione sulle sue città, riducendole in poco tempo in briciole.

  Quello che rimaneva delle fabbriche e delle officine giapponesi si sforzava a produrre con irregolarità armi e altri strumenti lavorando materie prime inadeguate (i rifornimenti di idrocarburi non erano più disponibili da aprile).  A luglio circa un quarto di tutte le case giapponesi erano state distrutte e il suo sistema di trasporti era prossimo al collasso.  Il cibo era diventato così scarso che la maggior parte dei giapponesi si mantenevano su una alimentazione sotto la soglia della fame.

[...]

  Persino prima dell'attacco a Hiroshima il Generale dell'Aeronautica Militare USA Curtis LeMay si vantava che i bombardieri americani stavano "riportando [i giapponesi] indietro all'età della pietra a suon di bombe".  Henry H. ("Hap") Arnold, Generale Comandante dell'Aeronautica dell'Esercito, disse nelle sue memorie del 1949: "Ci era sempre apparso evidente, bomba atomica o no, che i giapponesi erano già sull'orlo del collasso".  Questo fu confermato dall'ex primo ministro giapponese Fumimaro Konoye, che disse: "Fondamentalmente, quello che condusse alla decisione di giungere alla pace furono i bombardamenti prolungati dei B-29".

  Mesi prima della fine della guerra i leader giapponesi riconobbero che la sconfitta era inevitabile.  Nell'aprile del 1945 un nuovo governo guidato da Kantaro Suzuki si insediò con il compito di portare a termine la guerra.  Quando la Germania capitolò ai primi di maggio, i giapponesi compresero che i britannici e gli americani avrebbero ora diretto l'intera furia della loro spaventosa potenza bellica esclusivamente contro di loro.

  Gli ufficiali americani, avendo da tempo scardinato i codici segreti giapponesi, sapevano da messaggi intercettati che i capi del paese stavano cercando di porre fine alla guerra su condizioni quanto più possibili favorevoli.  I dettagli di questi sforzi erano noti da trasmissioni segrete decodificate tra il Ministero degli Esteri a Tokyo e i diplomatici giapponesi all'estero.

  Nel suo studio del 1965: "Diplomazia atomica: Hiroshima e Potsdam" [Atomic Diplomacy: Hiroshima and Potsdam] (pagg. 107, 108) lo storico Gar Alperovitz scrive:

        Per quanto le antenne di pace dei giapponesi fossero state
        dispiegate già nel settembre del 1944 (e [il cinese] Chiang
        Kai-shek fosse stato contattato a proposito delle
        possibilità di resa nel dicembre del 1944), un autentico
        sforzo di porre fine alla guerra iniziò nella primavera
        del 1945.  Questo sforzo accentuò il ruolo dell'Unione
        Sovietica ...

        A metà aprile del 1945 il Comitato Congiunto dei Servizi
        Segreti [degli USA] riferì che i leader giapponesi
        stavano cercando una maniera di modificare le condizioni
        della resa per far finire la guerra.  Il Dipartimento di
        Stato era convinto che l'imperatore stesse attivamente
        cercando un modo di far cessare i combattimenti.

Un memorandum segreto

  Fu solamente dopo la guerra che il pubblico americano poté sapere degli sforzi dei giapponesi per concludere il conflitto.  L'inviato del Chicago Tribune Walter Trohan, per esempio, fu costretto dalla censura del tempo di guerra a nascondere per sette mesi una delle storie più importanti della guerra.

  In un articolo che fu finalmente pubblicato il 19 agosto del 1945, sulla prima pagina del Chicago Tribune e del Washington Times-Herald, Trohan rivelò che il 20 gennaio del 1945, due giorni prima della sua partenza per la conferenza di Jalta con Stalin e Churchill, il presidente Roosevelt ricevette un memorandum di 40 pagine dal generale Douglas MacArthur che tracciava cinque diverse offerte di resa da ufficiali giapponesi di alto rango (il testo completo dell'articolo di Trohan sta nella raccolta invernale del Journal del 1985-86 alle pagine 508-512).

  Questo documento dimostra che i giapponesi stavano offrendo delle condizioni di resa praticamente identiche a quelle accettate alla fine dagli americani alla cerimonia formale di resa del 2 settembre, ossia una resa completa di tutto tranne che della persona dell'Imperatore.  In particolar modo, i termini di questa offerta di pace includevano:
  È autentico questo memorandum?  Si sostiene che sia stato fatto trapelare a Trohan dall'Ammiraglio William D. Leahy, Capo del Gabinetto del presidente (si veda: M. Rothbard in A. Goddard, ed. Harry Elmer Barnes: "Il crociato erudito" [Learned Crusader] [1968], pagg. 327 e segg.).  Lo storico Harry Elmer Barnes ha dichiarato (in: "Hiroshima: assalto ad un nemico battuto" [Hiroshima: Assault on a Beaten Foe], National Review, 10 maggio 1958):

        L'autenticità dell'articolo di Trohan non fu mai
        contestata dalla Casa Bianca o dal Dipartimento di
        Stato, e per buonissime ragioni.  Dopo il ritorno
        del generale MacArthur dalla Corea nel 1951, il
        suo vicino alle Torri Waldorf, l'ex presidente
        Hoover portò l'articolo di Trohan al generale
        MacArthur e quest'ultimo confermò la sua accura-
        tezza in ogni dettaglio e senza riserve.

Disponibilità alla pace

  Nell'aprile e nel maggio del 1945 il Giappone fece tre tentativi, tramite i neutrali Svezia e Portogallo, di portare la guerra ad una fine pacifica.  Il 7 aprile, il Ministro degli Esteri Mandatario Mamoru Shigemitsu si incontrò con l'ambasciatore svedese Widon Bagge a Tokyo, chiedendogli di "assicurarsi quali condizioni per la pace avessero in mente gli USA e la Gran Bretagna".  Ma sottolineò che la resa incondizionata era inaccettabile e che "l'imperatore non deve essere toccato".  Bagge riferì il messaggio agli Stati Uniti, ma il Segretario di Stato Stettinius disse all'ambasciatore USA in Svezia di "non mostrarsi interessato né prendere iniziative atte a sviluppare la questione".  Iniziative simili del Giappone tramite il Portogallo il 7 maggio e di nuovo tramite la Svezia il 10 si dimostrarono ugualmente inutili.

  Nella prima metà del mese di giugno sei membri del Consiglio Supremo di Guerra del Giappone incaricarono segretamente il Ministro degli Esteri Shigenori Togo di prendere contatto con i leader della Russia sovietica "con l'intento di portare a termine la guerra se possibile entro settembre".  Il 22 giugno l'Imperatore convocò una riunione che includeva il Primo Ministro, il Ministro degli Esteri e i principali comandanti militari.   "Ne abbiamo sentite abbastanza della vostra determinazione di combattere fino all'ultimo soldato", disse l'Imperatore Hirohito.  "Desideriamo che voi, leader del Giappone, vi sforziate ora di trovare i modi e i mezzi per portare a conclusione la guerra.  Così facendo, cercate di non essere costretti dalle decisioni che avete preso in passato".

  Ai primi di luglio gli USA avevano intercettato messaggi d Togo indirizzati all'ambasciatore giapponese a Mosca, Naotake Sato, a dimostrazione che lo stesso Imperatore stava prendendosi cura personalmente del tentativo di giungere alla pace e che aveva dato istruzioni che si chiedesse all'Unione Sovietica di fornire il suo aiuto per far terminare la guerra.  Gli ufficiali USA sapevano anche che l'ostacolo più forte per la fine della guerra era l'insistenza americana sulla "resa incondizionata".  I giapponesi erano disposti ad accettare quasi tutto tranne a rinunciare al loro imperatore semidivino. [...] I giapponesi in particolare temevano che gli americani avrebbero umiliato l'Imperatore, o che l'avrebbero persino condannato a morte come criminale di guerra.

  Il 12 luglio Hirohito convocò Fumimaro Konoye, che era stato Primo Ministro nel 1940-41.  Spiegando che "sarà necessario terminare la guerra senza indugio", l'Imperatore disse che sperava che Konoye avrebbe potuto assicurare la pace con gli americani e i britannici tramite i sovietici.  Come ricordò in seguito il principe Konoye, l'Imperatore lo istruì ad "assicurare la pace a qualsiasi prezzo, per quanto oneroso".

  Il giorno seguente, il 13 luglio, il Ministro degli Esteri Shigenori Togo inviò un cablogramma all'ambasciatore Naotake Sato a Mosca: "Incontratevi con [il ministro degli esteri sovietico] Molotov prima della partenza per Potsdam ... Comunicategli il forte desiderio di Sua Maestà di garantire la fine della guerra ... La resa incondizionata è il solo ostacolo alla pace...".

  Il 17 luglio un altro messaggio giapponese intercettato rivelò che per quanto i leader giapponesi ritenessero che la formula della resa incondizionata comportasse un disonore inaccettabile, erano convinti che "la situazione esigeva" la mediazione sovietica per la fine della guerra come assolutamente essenziale.  Ulteriori messaggi diplomatici indicano come la sola condizione che i giapponesi chiedevano fosse la conservazione della "nostra forma di governo".  Il solo "punto difficile", rivela un messaggio del 25 luglio, "è ... la formalità della resa incondizionata".

  Riassumendo i messaggi tra Togo e Sato, i servizi segreti della marina degli USA dicevano che i leader giapponesi, "nonostante ancora s'impuntino sul termine di resa incondizionata", riconoscevano che la guerra era persa e che erano giunti al punto in cui "non avevano obiezioni alla restaurazione della pace sulla base del Capitolo Atlantico [del 1941]".  Questi messaggi, disse il Segretario Assistente alla Marina Militare Lewis Strauss, "vincolavano in effetti solo alla conservazione dell'integrità della famiglia reale giapponese".

  Il Segretario della Marina Militare James Forrestal chiamò i messaggi intercettati "prova autentica del desiderio giapponese di uscire dalla guerra".  "Con l'intercettazione di questi messaggi", scrive lo storico Alperovitz (pag. 177), "non ci poteva essere più alcun dubbio sulle intenzioni giapponesi; le operazioni erano palesi ed esplicite e, soprattutto, erano atti ufficiali.  Koichi Kido, Alto Consigliere Speciale e stretto consulente dell'Imperatore, affermò in seguito: "La nostra decisione di cercare un modo di uscire dalla guerra fu presa a metà giugno prima che fosse sganciata qualsiasi bomba atomica e [quando] la Russia non aveva ancora fatto il suo ingresso nella guerra.  Era già la nostra decisione".

  Ciononostante il 26 luglio i leader degli Stati uniti e della [Gran] Bretagna emisero la dichiarazione di Potsdam che includeva questo bieco ultimatum: "Richiediamo al governo giapponese di proclamare adesso la resa incondizionata di tutte le forze armate e di garantire ogni assicurazione appropriata ed adeguata di buona fede in tale azione.  L'alternativa per il Giappone è la pronta e completa distruzione.".

  A commento di questo proclama draconiano o-questo-o-quello, lo storico britannico J. F. C. Fuller ha scritto: "Non fu pronunciata una parola a proposito dell'Imperatore, perché sarebbe stato inaccettabile per le masse americane nutrite di propaganda" ("Una storia militare del mondo occidentale" [A Military History of the Western World] [1987], pag. 675).

  I leader americani capivano la situazione disperata del Giappone: i giapponesi erano intenzionati a concludere la guerra a qualsiasi condizione, fintanto che l'Imperatore non sarebbe stato molestato.  Se i vertici degli USA non avessero insistito sulla resa incondizionata, cioè se avessero specificato chiaramente la loro buona volontà che all'Imperatore si sarebbe permesso di rimanere al suo posto, i giapponesi con ogni probabilità si sarebbero arresi immediatamente, risparmiando così molte migliaia di vite.

  La triste ironia è che, come in realtà accadde, i leader americani decisero lo stesso di mantenere l'Imperatore come un simbolo di autorità e di continuità.  Compresero, correttamente, che Hirohito era utile come personalità di prestigio a sostegno della loro stessa sovranità di occupazione nel Giappone del dopoguerra.

Giustificazioni

  Il Presidente Truman si affrettò a difendere il suo uso della bomba atomica sostenendo che "ha salvato milioni di vite" portando ad una rapida fine della guerra.  Per giustificare la sua decisione arrivò a dichiarare: "Il mondo noterà che la prima bomba atomica è stata sganciata su Hiroshima, una base militare.  Questo perché era nostro desiderio in questo primo attacco di evitare, per quanto possibile, l'uccisione di civili".

  Questa dichiarazione è completamente assurda.  Infatti quasi tutte le vittime erano civili e la "Analisi dei Bombardamenti Strategici" degli Stati Uniti (pubblicato nel 1946) dichiarava nel suo rapporto ufficiale: "Hiroshima e Nagasaki furono scelte come obiettivi per la loro concentrazione di attività [produttive, NdT] e di abitanti".

  Se la bomba atomica era stata sganciata per fare colpo sui leader giapponesi con l'immenso potere distruttivo di una nuova arma, questo avrebbe potuto essere stato ottenuto usandola su una base militare isolata.  Non era necessario distruggere una grande città.  E qualsiasi giustificazione avesse potuto esserci per l'esplosione su Hiroshima, è molto più difficile difendere il secondo bombardamento [, quello] di Nagasaki.

  Ciononostante la maggior parte degli americani ha accettato, e continua ad accettare, la giustificazione ufficiale dei bombardamenti.  Abituati alla grezza rappresentazione propagandistica dei "giappi" come delle bestie virtualmente subumane, la maggior parte degli americani nel 1945 diede di cuore il benvenuto alla nuova arma che avrebbe spazzato via ancora di più degli odiati asiatici, e che avrebbe aiutato a vendicarsi dell'attacco giapponese di Perl Harbor.  Per i giovani americani che stavano combattendo i giapponesi in scontri cruenti l'attitudine era quella del "Grazie a Dio per la bomba atomica".  Quasi come un sol uomo mostrarono gratitudine per un'arma il cui impiego sembrava porre fine alla guerra e permettergli di ritornare a casa.

  Dopo la tempesta di fuoco che distrusse nel luglio 1943 Amburgo, l'olocausto di metà febbraio 1945 di Dresda e i bombardamenti incendiari di Tokyo e di altre città giapponesi, i leader americani, come commentò più tardi il Generale dell'Esercito Leslie Groves, "erano generalmente avvezzi alle uccisioni di massa dei civili".  Per il Presidente Harry Truman l'uccisione di decine [centinaia, NdT] di migliaia di civili giapponesi semplicemente non era da prendersi in considerazione nella decisione di usare la bomba atomica.

Voci critiche [saltato]


Autorevoli voci di dissenso

  I leader americani che occupavano una posizione tale da conoscere i fatti non credevano, né all'epoca dei fatti né in seguito, che il bombardamento atomico fosse necessario per finire la guerra.

  Quando fu informato a metà luglio del 1945 dal Segretario di Stato Henry L. Stimson della decisione di usare la bomba atomica, il Generale Dwight Eisenhower ne fu profondamente turbato.  Rese note le sue forti riserve sull'uso della nuova arma nel suo memoriale del 1963, "Gli anni della Casa Bianca: un incarico per il cambiamento, 1953-56" [The White House Years: Mandate for Change, 1953-56] (pagg. 312-313):

    Durante la sua [di Stimson] esposizione dei fatti
    rilevanti ero conscio di una sensazione di depres-
    sione e così gli espressi i miei gravi dubbi,
    innanzitutto per la mia convinzione che il
    Giappone fosse già sconfitto e che sganciare la
    bomba fosse completamente inutile, in secondo
    luogo perché pensavo che il nostro paese avrebbe
    dovuto evitare di scioccare l'opinione pubblica
    mondiale usando un'arma il cui impiego era, per
    me, non più obbligatorio come strategia per la
    salvaguardia di vite americane.  Era mia
    convinzione che il Giappone stesse, proprio in
    quel momento, cercando qualche modo di arrendersi
    con il minimo danno d'immagine."

  "I Giapponesi erano pronti alla resa e non era necessario colpirli con quell'arnese orrendo ... Ho odiato vedere il nostro paese essere il primo ad usare una tale arma", disse Eisenhower nel 1963.

  Poco dopo il "giorno del V-J", la fine della guerra nel Pacifico, il Generale di Brigata Bonnie Fellers riassunse in una nota per il Generale MacArthur: "Né il bombardamento atomico, né l'ingresso dell'Unione Sovietica nel conflitto hanno obbligato il Giappone alla resa incondizionata.  Era già sconfitto prima ancora che uno qualsiasi di questi eventi si materializzasse".

  Analogamente l'Ammiraglio Leahy, Capo del Gabinetto del Presidente Roosevelt e Truman, commentò in seguito:

    È mia opinione che l'uso dell'arma barbarica su
    Hiroshima e Nagasaki non fu di reale aiuto nella
    nostra guerra contro il Giappone ... I giapponesi
    erano già sconfitti e pronti alla resa a causa
    dell'efficace blocco marittimo e del successo
    della campagna di bombardamento con armi conven-
    zionali ... La mia sensazione era che nell'averla
    impiegata per primi abbiamo adottato uno
    standard etico in comune con quello dei barbari
    dei secoli bui.  Non mi era stato insegnato a
    fare la guerra in quel modo, e le guerre non
    possono essere vinte distruggendo donne e
    bambini.

  Se gli Stati Uniti avessero voluto attendere, disse l'Ammiraglio Ernest King, Capo delle Operazioni Navali degli USA, "l'efficacia del blocco navale avrebbe, con il tempo, affamato i Giapponesi fino a ridurli alla sottomissione per la mancanza di petrolio, riso, medicine e altri beni essenziali".

  Leo Szilard, uno scienziato nato in Ungheria che ricoprì un ruolo di primo piano nello sviluppo della bomba atomica, si espresse contro il suo uso.  "Il Giappone era in effetti sconfitto" disse, e "sarebbe un errore attaccare le sue città con le bombe atomiche come se le bombe atomiche fossero soltanto un'altra arma militare".  In un articolo pubblicato in una rivista nel 1960 Szilard scrisse: "Se i tedeschi avessero sganciato bombe atomiche su delle città invece che noi, avremmo definito l'impiego delle bombe atomiche sulle città un crimine di guerra e avremmo condannato i tedeschi responsabili di questo crimine a morte a Norimberga e li avremmo impiccati".

Il verdetto dell'Analisi dei Bombardamenti Strategici degli USA

  Dopo aver studiato la questione in ogni dettaglio, la "Analisi dei Bombardamenti Strategici degli USA" respinse la nozione che il Giappone gettò la spugna a causa dei bombardamenti atomici.  Nel suo autorevole rapporto del 1946 l'Analisi concluse:

    Le bombe di Hiroshima e Nagasaki non hanno
    sconfitto il Giappone, né, su testimonianza dei
    leader nemici che hanno portato a conclusione la
    guerra, hanno persuaso il Giappone ad accettare
    la resa incondizionata.  L'Imperatore, l'Alto
    Consigliere Speciale, il Primo Ministro, il
    Ministro degli Esteri e il Ministro della
    Marina Militare avevano deciso già nel maggio
    del 1945 che la guerra dovesse essere portata a
    termine anche se ciò avesse comportato
    l'accettazione della sconfitta alle condizioni
    degli alleati ...

    La missione del governo Suzuki, nominato il 7
    aprile del 1945, era di firmare la pace.  Fu
    mantenuta una parvenza di negoziazione per
    poter ottenere condizioni meno onerose della
    resa incondizionata per trattenere i [vertici]
    militari e elementi dell'apparato burocratico
    ancora determinati ad una finale difesa Bushido
    e, forse ancora più importante, per ottenere la
    libertà di creare una pace che comportasse il
    minore pericolo personale e contrarietà
    interna.  Sembra chiaro, tuttavia, che in
    extremis il partito della pace avrebbe avuto la
    pace, e la pace a qualsiasi condizione.  Questo
    era il succo delle indicazioni fatte avere da
    Hirohito allo Jushin a febbraio, la conclusione
    dichiarata di Kido ad aprile, la ragione
    sostanziale del tramonto di Kido ad aprile, l'
    ingiunzione speciale dell'Imperatore a Suzuki
    alla sua investitura a primo ministro che era
    ben nota a tutti i membri del gabinetto ...

    I negoziati per l'intercessione della Russia
    iniziarono ai primi di maggio 1945 tanto a Tokyo
    quanto a Mosca.  Konoye, indicato come emissario
    presso i sovietici, ha dichiarato all'Analisi
    che mentre doveva mostrarsi palesemente attivo
    nel negoziato, aveva ricevuto istruzioni dirette
    e segrete dall'Imperatore di assicurarsi la pace
    a qualsiasi costo, per quanto gravoso.

    Sembra chiaro che la supremazia aerea e il suo
    successivo sfruttamento sul territorio giapponese
    sia stato il fattore principale che determinò la
    tempistica della resa giapponese e che ovviasse
    a qualsiasi necessità di un'invasione.

    Sulla base di un'investigazione dettagliata di
    tutti i fatti e con il sostegno delle
    testimonianze dei leader giapponesi coinvolti
    sopravvissuti, è opinione dell'Analisi che il
    Giappone si sarebbe arreso certamente prima del
    31 dicembre 1945 e con ogni probabilità prima
    del novembre 1945 [la data pianificata per l'
    invasione americana], anche se le bombe
    atomiche non fossero state sganciate, anche se
    la Russia non fosse entrata in guerra e anche
    se non fosse stata pianificata o contemplata
    alcuna invasione.

Le considerazioni degli storici

  In uno studio del 1986 lo storico e giornalista Edwin P. Hoyt inchiodò il "grande mito, perpetuato da gente benintenzionata in tutto il mondo, che la bomba atomica abbia causato la resa del Giappone".  In: "La guerra del Giappone: il grande conflitto del Pacifico" [Japan's War: The Great Pacific Conflict] (pag. 420) spiegò:

    Il fatto è che per quanto riguardava i
    militaristi giapponesi la bomba atomica era
    soltanto un'altra arma.  Le due bombe atomiche di
    Hiroshima e Nagasaki erano la glassa sulla torta,
    e non fecero più danno di quanto fecero i
    bombardamenti incendiari sulle città giapponesi.
    La campagna di bombardamento incendiario con i
    B-29 aveva provocato la distruzione di 3.100.000
    abitazioni e lasciato 15 milioni di persone senza
    tetto, uccidendone circa un milione.  Era la
    spietatezza dei bombardamenti incendiari e la
    presa di coscienza di Hirohito che se necessario
    gli alleati avrebbero distrutto completamente il
    Giappone e ucciso ogni giapponese per ottenere la
    "resa incondizionata" che lo persuase a prendere
    la decisione di far finire la guerra.  La bomba
    atomica è invero un'arma spaventosa, ma non fu
    la causa della resa giapponese, per quanto questo
    mito persista ancora oggi.

  In un libro incisivo, "La decisione di sganciare la bomba atomica" [The Decision to Drop the Atomic Bomb] (Praeger, 1996), lo storico Dennis D. Wainstock concluse che i bombardamenti fossero non solo non necessari, ma che erano il frutto di una politica di vendetta che alla fine danneggiò gli interessi americani.  Scrive (pagg. 124, 132):

    Tempo l'aprile del 1945 i leader giapponesi
    compresero che la guerra era persa.  Il loro
    principale ostacolo alla resa era l'insistenza
    degli Stati Uniti sulla resa incondizionata.
    Avevano in particolare bisogno di sapere se gli
    Stati Uniti avrebbero permesso a Hirohito di
    rimanere sul trono.  Temevano che gli Stati Uniti
    l'avrebbero deposto, processato come criminale di
    guerra o persino messo a morte ...

    La resa incondizionata era una politica di
    vendetta, e colpì gli stessi interessi nazionali
    americani.  Prolungò la guerra tanto in Europa
    che in Asia e aiutò l'espansione del potere
    sovietico in queste aree.

  Il Generale Douglas MacArthur, Comandante delle Forze dell'Esercito degli USA nel Pacifico, dichiarò in numerose occasioni prima della sua morte che la bomba atomica era stata completamente inutile da un punto di vista militare: "Il mio staff era unanime nel ritenere che il Giappone fosse sul punto di collassare e di arrendersi".

  Il Generale Curtis LeMay, che era stato un pioniere dei bombardamenti di precisione sulla Germania e sul Giappone (e che più tardi comandò il Comando Aereo Strategico e ricoprì il ruolo di Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare), si espresse più succintamente: "La bomba atomica non ebbe nulla a che fare con la fine della guerra".

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Da: "The Journal of Historical Review", maggio-giugno 1997 (volume 16, n° 3), pagg. 4-11.
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